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La palestra di pugilato

Creato il 03 giugno 2012 da Darioanelli @dalmessico

La palestra di pugilato Non so se ve l'ho già detto ma sto collaborando, in qualità di formatore, a degli incontri rivolti alle colonie. Il programma si chiama: “Convive Feliz”, un tentativo da parte del Municipio di ridurre la conflittualità di alcune zone della città facendo sensibilizzazione.
Affianco una psicologa. Pur non avendo una formazione specifica di sociologo, vi partecipo, perché i temi trattati non sono di per sé difficili (Valori, diritti umani, equità di genero); l'abilità sta nel presentarli ad un pubblico composto principalmente da nonne e casalinghe. Si tratta solo di fare un po' il simpatico, fare in modo che la gente parli e condivida il proprio punto di vista.
La settimana scorsa, dopo il consueto incontro ad Alta Vista, un ragazzo ha proposto a me e alla psicologa di visitare la palestra di pugilato di suo fratello.
La boxe in Messico è uno sport piuttosto popolare, specialmente del Distretto Federale. Vi si avvicinano ragazzi di ceti bassi alla ricerca disperata di una possibilità di riscatto sociale. Giovani che avranno fatto sì e no la quinta elementare, a cui propongono lavori a termine di tre o quattro giorni. Giovani che vedono crescere, poco distante da casa loro il progresso e il benessere, ma sanno di esserne esclusi. Gente che vive quotidianamente la tensione sociale e famigliare, che mettono insieme le monete per comprare da mangiare.
Gente che per mesi si alza la mattina e non ha di meglio da fare che sedersi sul marciapiede e dar un po' di brivido all'esistenza annusando colla, rapinando passanti e attaccando briga con giovani nelle stesse condizioni.
Una palestra di pugilato è una possibilità. I giovani entrano, si tolgono la maglietta e si allenano al sacco e alla pera. Saltano la corda per acquisire elasticità. Qualcuno con un po' di esperienza spiega i rudimenti del combattimento, come tenere la guardia e come colpire l'avversario.
Poi, ogni tanto, si organizzano incontri. Nell'ambiente si affermano solo i più bravi, così ogni ragazzo che entra in palestra si pone un obiettivo: diventare un pugile in gamba e questo lo aiuta a tenersi alla larga dalla delinquenza.
Insomma, il tizio della colonia ci invita e noi accettiamo.
Ci andiamo in macchina. La palestra è situata in una vietta interna fra case e negozi di alimentari; poche macchine parcheggiate ai lati della strada. Si tratta di un unico stanzone con le pareti di mattoni a vista e pavimento di cemento. 
Il soffitto è così basso che posso toccarlo alzando una mano. La maggior parte dello spazio è occupato da un ring artigianale fatto di corde elastiche ricoperte da un tubo di gomma arancione. Il pavimento del ring è una vecchia stuoia grigia. Vedo anche due sgabelli agli angoli e un enorme riproduzione della vergine di Guadalupe appesa alla parete. E' strano vedere la Madonna a mani giunte in un luogo dedicato alla lotta.
Lampadine nude illuminano fiocamente il locale. Sono le nove di sera e stanno per chiudere, mi spiegano, per questo non ci sono molti pugili.
Un tizio che indossa un paio di scarpe da ginnastica e un paio di jeans si sta allenando con la pera. E' di pelle scura che luccica di sudore e, quando si avvicina, vedo anche la sua faccia.  E' una di quelle che di frequente compaiono sulle foto del giornale con un buco in fronte e gli occhi rovesciati all'indietro. Il giovane muscoloso con la faccia da ergastolano mi sorride e mi tende la mano: “Benvenuto!” mi dice. E' uno degli istruttori che si turnano durante il giorno.
Come dappertutto, un allenatore riveste un ruolo chiave nei giovani perché oltre a trasmettere i segreti dell'arte, ne tempra anche il carattere.
Il proprietario della palestra che, per vivere, stampa magliette, ci mostra i guantoni consumati dei ragazzi. “Ci alleniamo con questi”. Dice.
“La quota di iscrizione è di quaranta pesos a settimana (2 euro)” Mi spiega: “Però solo il dieci percento degli iscritti ha i soldi per pagare. Ma non c'è problema. Accogliamo tutti. Con l'incasso paghiamo la luce e l'acqua.”
Proprio in quel momento arriva un altro allenatore. Indossa un cappellino con un paio di occhiali da sole e, dalle orecchie, gli pendono gli auricolari di un riproduttore mp3 (Dubito fosse un I-pod).
E' allegro. Ci racconta che sessanta ragazzi frequentano quasi quotidianamente la palestra. Il livello atletico cresce di giorno in giorno. Peccato che non ci sono fondi per ampliarne un po' la struttura. Poi si rivolgono alla psicologa e le chiedono se può aiutarli ad organizzare una chiacchierata con i ragazzi. Qualcosa di motivazionale che li aiuti un po' a credere in loro stessi, a capire che sono persone e a volersi bene (in psicologia, si dice aumentare la propria autostima).
Non c'è problema, dice la psicologa. Allora il proprietario ci dice che qualche volta il municipio organizza qualche corso di autosuperazione personale, ma non vi partecipano in molti. “Il problema”, dice: “E' che ci trattano come bambini idioti e questo non va. Non puoi dire ad uomo di credere in se stesso e allo stesso tempo trattarlo da ritardato.”
La psicologa dice che non c'è problema. Si può pensare a qualcosa. Tutti sembrano soddisfatti e si stringono le mani. La psicologa allora scherza e chiede se posso iscrivermi anch'io. L'istruttore mi guarda e fa si con la testa. Non mi sta prendendo in giro. Probabilmente se mi presentassi con i quaranta pesos dell'iscrizione mi farebbe saltare la corda e poi irrobustirmi al sacco.
A pensarci bene non è una brutta proposta. Mi immagino bello tonico e muscoloso dire a qualcuno: “Ehi amico, guarda che ho imparato a fare a pugni, in una palestra di Altavilla, non ti ci mettere con me.”
Purtroppo però abito troppo distante. Fuori, seduto sul marciapiede incontriamo un ragazzo di circa sedici anni che indossa la divisa di una scuola preparatoria. 
E' taciturno e ci guarda senza espressione. L'istruttore lo conosce di nome e lo saluta. Questo ragazzo, ci spiega, da qualche settimana viene qui. 
Vuole cominciare ad allenarsi ma allo stesso tempo ha dubbi e paure. Noi non gli facciamo pressione, lo lasciamo combattere la sua lotta interiore.
Un giorno, quando si presenterà alla porta, noi gli daremo un paio di guantoni.

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