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La preesistenza del cinema: il Found Footage (e l’occhio femminile)

Creato il 31 maggio 2012 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

La preesistenza del cinema: il Found Footage (e l’occhio femminile)

Prima parte (forse)

Al Rome Indipendent Film Festival di questa edizione (2012), la sezione Metraje encontrado mi ha catapultata nel riciclo-riuso della materia filmica dispersa-sconosciuta-conosciuta, dentro un atto creativo solitario e sovrapposto, compiuto nell’amore-delirio-volontà di potenza, nell’inconscia fame e sete di un oltre visivo-visionario che supera l’immanenza. Le meraviglie e le magie oblique del Found Footage. L’incontro-scontro non poteva essere meglio propiziato.

Color perro que huye (2011) [http://www.youtube.com/watch?v=1QgWOfqX8bk], lungometraggio di Andrès Duque, appare lontano sia dagli estremismi sperimentalisti che hanno segnato l’avvio di questa tecnica-modalità del guardare, che dalla deriva pseudo-commerciale che è riuscita ad inglobarla. Andrés Duque, venezuelano naturalizzato spagnolo (vive a Barcellona da anni), ha dato luce nuova all’eredità spagnola del found footage attraverso il suo collage estremamente ‘verista’-‘simbolista’, sia tecnicamente (attraverso l’impiego di formati che vanno dal vhs al 16 mm, al super 8 al digitale) che narrativamente (nella scelta del ‘rubatocreato’), fondendo piano personale ed oggettivo dentro un montaggio che imbriglia-cattura l’occhio in piccole percezioni-illuminazioni, sapientemente costruite dall’autore stesso nel rimaneggio di propri filmati e immagini altrui, dentro le quali, con ‘semplicità’ ed estremo intuito spaziale-materiale-temporale, dà vita a poesia, ironia, consapevolezza, e sospensione dalla realtà…

Il Found Footage contiene in sé svariati meandri di esplorazione, è il buco nero da cui pescare tutto ciò che l’occhio può sovraimprimere di nuovo (e trasformarlo in Novus): bobine affossate nel vuoto del dimenticatoio di scantinati o lasciate fermentare in zone di sosta varie e variegate, cinema ‘preistorico’, documentari sociali, filmini amatoriali, cinematografia ufficiale, b-movie… A partire già dalla fine degli anni ‘20 fu avviata la prassi di impiegare, manipolandolo nel senso e nel significato, un cinema-immagine preesistente: Maurice Lemaître, Bruce Conner, Ken Jacobs, Matthias Müller, Morgan Fisher, Phil Solomon, Malcolm Le Grice, i nomi più sperimentali in tal senso. Anche le donne hanno giocato un ruolo speciale in tale ambito: dalle pioniere Jane Shimane e Anita Thacher, fino ad arrivare a Cécile Fontaine, Peggy Ahwesh, Louise Bourque.

La preesistenza del cinema: il Found Footage (e l’occhio femminile)

Pure nel recondito sperimentalismo del F.F. le donne hanno subìto l’emarginazione innata: le loro pellicole, dotate di alto pathos critico e decostruttivo, hanno circolato poco e male nello stesso limbo che le ha partorite. Seguono le disvelatrici di stereotipi-modelli, dotate di una tecnica del montaggio altamente originale: Lana Lin, Deborah Stratman, Caroline Avery, Cathy Joritz, Barbara Meter. Altre hanno impiegato il F.F. quale mezzo di resistenza ed opposizione allo sguardo maschile, nel rivendicare una libertà di determinazione femminile che anche nell’occhio non c’è, vivisezionando la proiezione per eccellenza dell’occhio altro sul corpo di donna: il porno. Anita Tatcher in Permanent Wave (1966) lo fa in chiave ironica, mentre Martha Colburn in Skelehellavision (2002) predilige la componente orrorifica, con la quale scarta il visivo pornografico privandolo di carne, svuotandolo a pure ossa. Naomi Uman ne fornisce una chiave di lettura più allargata nel suo Removed (1999) [http://www.youtube.com/watch?v=QEkMKdf_9Fs] : con un’operazione di sbiancamento-cancellazione (merito di candeggina e smalto per unghie) la Uman interviene sui fotogrammi pornografici, eliminando di colpo la donna immaginata-stereotipata, lasciando inalterato l’attorno,  costringendo-stringendo l’occhio sul nucleo-meccanismo del desiderio.

E pensare che ero partita da Andrès Duque… Magie oblique del Found Footage, appunto. Mi sa che ci ritornerò in quel buco nero: vedremo che porterò fuori con me, la prossima volta.

Maria Cera

Letture:

William C. Wees, Recycled Images: The Art and Politics of Found Footage Films, New York, Anthology Film Archives, 1993.

Nicole Brenez, Montage intertextuel et formes contemporaines du remploi dans le cinéma expérimental, in “CiNéMAS », a. 13, n. 1-2, autunno 2002, pp. 49-67.

La preesistenza del cinema: il Found Footage (e l’occhio femminile)
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