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La prigione del pensiero

Da Straker
La prigione del pensiero
La malvagità si può forse ancora tollerare, la stupidità no.
L’alfabeto dei veleni
E’ arduo immaginare un’età più tossica di quella in cui viviamo. Dall’A di alluminio alla Z di zinco, l’ambiente rigurgita di veleni. Aggiungiamo le radiazioni nucleari, i pesticidi, la diossina, il benzene, gli additivi, gli edulcoranti artificiali… ed il quadro sarà... incompleto. Quando respiriamo, quando beviamo e ci nutriamo, sappiamo che respiriamo morte, sappiamo che ci alimentiamo con la morte.
Come se non bastasse, a guisa di complemento, l’attuale coscienza dell’umanità è “inquinata alle radici” (I. Svevo). Il bombardamento che la coscienza subisce per opera dei media non è meno deleterio della contaminazione fisica. Proprio come non si riesce più a contemplare un cielo naturale, azzurro e solcato da nuvole vaporose, così è diventato utopico accostarsi alla vita collettiva, senza restare invischiati nell’”informazione” e nella “cultura” di regime. Tutto è filtrato, distorto, stravolto, sfigurato come in un quadro di Francis Bacon. L’erudito di un tempo poteva compulsare fonti più meno attendibili e veridiche; oggi, prima di reperire un documento genuino, uno studioso deve sciropparsi centinaia di resoconti spuri, di bolse sceneggiature.
Una volta si distingueva tra cronaca e storia (meglio storiografia): la prima, pur nel suo corto respiro, nel suo limitato orizzonte, presupponeva il dignitoso e difficile lavoro dell’inviato che in loco raccoglieva testimonianze e notizie circa il “fatto” per poi scrivere il suo pezzo. Da tempo la storiografia è defunta, ma ormai anche la cronaca è agonizzante.
Se oggi nascesse un Tacito, riuscirebbe a ricostruire e ad interpretare un periodo quale il nostro, in cui la più fanatica finzione e la propaganda più delirante hanno soppiantato la genesi e la concatenazione degli eventi? Dovrebbe affidarsi a Fichipedia ed a scartafacci simili: il risultato sarebbe disastroso.
Ormai ad inficiare qualsiasi indagine non è solo la censura, quanto la composizione di “romanzi mediatici”, al cospetto dei quali scemeggiati televisivi come “Ultimo”, risultano più credibili e coerenti.
Il servizio pubblico è snaturato ad impudico disservizio, l’informazione è degenerata in quotidiana montatura. Non si salva più alcunché: la ricerca scientifica è ostaggio di baronie universitarie, le scuole, quando non sono prigioni del pensiero, sono agenzie turistiche in cui insegnanti-tour operators si affannano per cercare mete che non siano teatri del prossimo false flag.
La prigione del pensiero
Le facoltà intellettive dell’umanità sono state azzerate. Prima è stata distrutta la fantasia, la capacità di creare ed immaginare, poi sono state erose le abilità dialettiche: persino il sistema aristotelico, con la sua binaria e rigorosa semplicità, è stato intaccato in modo irreversibile a tal punto che è difficile imbattersi in una persona dotata di un pur embrionale “organo” logico.
Oggidì gli uomini non pensano: in vece loro, ad elaborare “concetti” e ad esprimersi è la televisione. Si ripetono i luoghi comuni del piccolo schermo, persino usando lo stesso telidiota idioletto.
Il dissenso non è possibile, non in quanto la scure del controllo si sia abbattuta sulla libertà d’opinione, ma perché tale libertà non si manifesta più, sostituita dal livellamento, dall’abitudine a “ragionare” tutti allo stesso modo, a reagire secondo schemi pavloviani. L’unica reazione è l’assuefazione.
Soprattutto gli uomini non avvertono più né l’esigenza di conoscere né quella di palesare le proprie idee, perché non ne hanno più. Questo panorama desolante sembra coinvolgere ogni classe sociale, ogni generazione in maniera indistinta.
Decenni fa si levava qualche voce critica (si pensi a Montale o a Pasolini): la classica vox clamantis in deserto non era ascoltata, ma si levava. Attualmente le voci tacciono e nella waste land non si ode un’eco che sia una.
Vero è che esistono le eccezioni, ma una rondine non fa primavera. Tra l’altro anche le rondini e le primavere sono soltanto un pallido ricordo di un tempo per sempre tramontato.
Nessuno va alla recherche di un tempo che non si è neppure consapevoli di aver perduto.
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