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La prima pagina degli invisibili

Creato il 11 agosto 2011 da Albertocapece

La prima pagina degli invisibiliAnna Lombroso per il Simplicissimus

Cameron – qualcuno l’ha detto in questi giorni – è un aristocratico e i nobili  sono come le patate il loro buono sta sottoterra,  avi capostipiti e memorie. Anche gli occhi, si direbbe, così non vedono  la realtà che li circonda e che preferiscono interpretare a suon di stereotipi. La sua plebaglia  degli slums, degli squallidi suburbi, diseredati più espropriati dei minatori di Lawrence e più esclusi dei trovatelli di Dickens, sono colpevoli per i suoi occhi dietro al pince nez. Pura criminalità ha definito la loro protesta. E per reprimerla, lo dice il TG1 di Minzolini sodale, ha chiamato 16 mila poliziotti molto british e li ha schierati a Londra, poco lungimirante perché l’insurrezione degli straccioni spesso poco anglosassoni e piuttosto colorati aveva già preso la strada del  nord.

Ha ragione il Simplicissimus, Cameron insorge quando gli insorti rompendo il vetro delle vetrine per qualche esproprio sottoproletario infrangono la proprietà, il capitale,  e insieme l’immaginario e tutto il  circuito di rassicurazioni offerto dalla macchina consumistica che riteneva  di quietare e appagare anche i più marginali.

Li ha mostrati a tutto il mondo quei saccheggi a testimoniare del carattere violento della rivolta e a accreditare l’elegante ineluttabilità della repressione.

È che se l’accesso temperato ai consumi poteva bastare alla prima generazione di immigrati ingombranti, la seconda generazione ritiene molto più ingombrante l’esclusione cui è soggetta, i piccoli oggetti del desiderio e dell’inclusione privilegiata sono sempre meno accessibili, ancorchè esibiti e appetiti, il ricatto della politica di sussidi e le banche dell’ira, come vengono chiamate le istituzioni che erogano contributi compensativi, non bastano più a mitigare il rancore e sopratutto non costituiscono un deterrente alla ribellione. Ci vuol altro che l’”economia del risentimento”  per sostituire chiese, ideologie, speranze e spegnere il senso di perdita di chi pur nato in un paese si sente straniero, pur regolare si sente clandestino, pur di madrelingua si sente incompreso.

Non producono non consumano e prima d’ora erano invisibili.  Nei film di Loach, nel free cinema  infatti dormono di giorno, il sussidio è domiciliato, escono di notte e si confondono con le tenebre. A chi non ha quasi nulla da perdere, ai dimenticati cosa resta se non imporre la proprio vista e imprimere l’immagine della rabbia nelle coscienze e nelle memorie?

E il  cazzotto dei perdenti ad un benessere diminuito ma non del tutto perduto è il furto, la rapina allegorica dei suoi simboli: grossi televisori che infrangono trascinandoli via ma chi se ne importa. Sono, ci raccontano, più attenti con i pc, con i cellulari,  con gli smartphone,  che comunque sono l’ultima illusoria speranza di comunicare in una società che li ha offesi e che ora loro offendono colpendola nei suoi emblemi.

Ma nulla temo li possa risarcire e certamente non vuole farlo Cameron. Noi li guardiamo con preoccupazione e abbiamo ragione di esserne turbati.

Per poco tempo ancora il nostro mediocre privilegio è in salvo.  Perché il nostro privilegio è il ritardo: i migranti sono di prima generazione e  per quanto umiliati non sono ancora traditori agli occhi dei loro figli per averli fatti nascere qui. E i nostri figli per poco ancora forse non ci rinfacciano di averli fatti nascere. Ma c’è poco tempo davanti a noi per recuperare il futuro


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