Magazine Diario personale

La primavera… prima viene, meno è vera

Da Maddalena_pr

INALO LA SOTTILE ECCITAZIONE ALL’IDEA DI INAUGURARE LA STAGIONE, COME UNA BOCCATA MARLBORO AI TEMPI DELLE PRIME SBRONZE

La primavera… prima viene, meno è vera

uffizi.org

Indotta all’uscita da un sole promettente, chi poteva recarsi all’attiguo parco anzitempo?
In mezzo al silenzio secondo solo a quello di un monastero di clausura, abbandonati i sicuri marciapiedi dove le sole sfide si configurano in resti mal composti di bisogni canini, lasciate a casa le incombenze e la (troppo) facile routine di un Masha e Orso pre-sonnellino della petiteChi poteva, se non io, essere così ingenua da canticchiare: “È primavera, svegliatevi bambine!”?

Un berretto da vecchia nel colore e nella forma, calcato sulla testa e calante sulle sopracciglia quanto basta da incurvare oltre misura i miei occhi già vittime di avanzata ptosi palpebrale (ogni tanto con una presa certa lo tiro indietro, sentendo e godendo per un vacuo istante di un illusorio lifting), la giacca ben allacciata fino all’ultimo bottone strozzacollo, il maglioncino, sotto, la zip che non risparmia la trachea: sono pronta. Certa – e su questo non sbagliavo – che per il primissimo giro di stagione e a battesimo del nuovo anno, in pochi incroceranno la mia strada e in ancor meno noteranno lo sfascio trasandato cui solitamente mi consegno per il piacere di fare due passi. In tenuta semi-sportiva: abbastanza sportiva da essere del tutto priva di classe, e tanto “semi” da rasentare lo sfigato assoluto.

E siamo fuori: il vezzo degli occhiali da sole dettato inizialmente dall’obbligo autoimposto a mascherare la ptosi di cui sopra, si rivela sin da subito alquanto saggio: il sole, alle ore 14, è già sulla via del tramonto, ossia sparato dritto nelle pupille. Ma avevo ragione sulla dolcezza del clima. Mi spiace per i prevenuti che si stipano in casa. Per i timorosi che s’incollano a un termosifone. Per le madri in preda a neonati ululanti. Io inalo la sottile eccitazione all’idea di inaugurare la stagione, come una boccata Marlboro ai tempi delle prime sbronze.
Tanto che sì, c’è il laghetto, sì, ti ho promesso le papere, ma no, non scendi subito, Isabelle. E ti faccio il giro largo con la scusa dei nani.
“Hai visto i nani? Eccoli!” senza nemmeno slegarti né tentare di fare tutti e 7 i nomi di questi gnomi addossati al casolare incomprensibilmente tinti di rosso.

La mia malvagità viene punita duecento metri più in là, quando la stradicciola sterrata passa tra gli alberi e, nell’ombra che si direbbe perenne, rivela in tutta la sua viscida fangosità alcune indiscusse verità:

  1. Non c’è nessuno in giro, perché non si riesce a camminare, cara.
  2. La primavera, prima viene (o sembra), meno è vera.

Ora tutto è chiaro.

Il fondo dei miei calzoni-da-passeggiata penzola nel fango, si intinge in ogni possibile pozzetta, recupera briciole di terra e ghiaia. Non sono da meno le ruote del passeggino, per pulire le quali prevedo un secondo giro di almeno tre chilometri prima di darmi il permesso di entrare in casa (dove è obbligo riporlo da che i vicini si sono lamentati e da che, ancor peggio, un gatto ci ha pisciato su).
Non ho un cracker, non ho una caramella, non ho un ciuccio: ho solo fango, scarpe che scivolano, un passo ai limiti del fantozziano (ora l’opera “La Sfigata” – che non è La Stangata – è davvero compiuta), e un’infante che inizia a friggere per scendere.

Chi dice di uscire anche in inverno e/o con qualsiasi tempo forse si riferisce al mero cemento: avevo dimenticato che per uscire nella natura, a quest’epoca, non basta un giorno di sole. Ce ne vogliono almeno dodici: di fila.

Raggiunta l’agognata sponda del lago, di papere neanche una. Le mie scuse per tenere buona la piccola si diradano. Quando finalmente siamo all’ultima spiaggia (in tutti i sensi) ecco un gregge di volatili starnazzanti: scendo la Isa, buttiamo sassi bagnati, e in men che non si dica siamo comunque un ritratto del Botticelli: altro che primavera.

Peccato venir via di corsa, inseguita da due oche. E poi ancora di corsa, la Isa debitamente riposizionata nel passeggino, che reclama “Orri!”
“Ah, ti piace quando corro, eh?”
“Orri!”
Amore più di così non je la fo (quando mai per distrarla mi son messa a correre).
“Orri!”

Per poi capire che si riferiva a sé stessa, dicendo Orri!


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