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La Puglia allo specchio: il sole, il mare, l’eternit

Creato il 10 agosto 2013 da Sulromanzo
Autore: Leonardo PalmisanoSab, 10/08/2013 - 11:30

Pantanagianni, PugliaIl footing è un’attività che mi piace praticare soprattutto d’estate, all’alba, quando il sole si leva sull’Adriatico, a meno di tre chilometri dall’oasi di Torre Guaceto. Mi sveglio, mi preparo un caffè, trascuro di fumare la prima sigaretta, indosso pantaloncini, maglietta e scarpe, ed esco dal villino di mia madre senza far rumore. Saluto il vigilante – questa strana creatura da residence, un po’ guardiano un po’ guardone – e lui mi risponde augurandomi il buon giorno con malcelata ironia. Lui s’è fatto la notte in guardiola, io lottando tra calura e zanzare. Siamo entrambi stanchi.

Appena fuori del villaggio – tra due contrade che costituiscono Pantanagianni, frazione di Carovigno, comune da sempre dentro il territorio reale della Sacra Corona Unita – saluto gli schiavi neri e bianchi che da un’ora almeno raccolgono verdura e pomodori, strizzo l’occhio a quell’omone che riposa alla guida di un furgoncino – il caporale – e comincio lentamente a muovere le gambe. Percorro uno stradone, supero una decina di alberi di fichi e mi inoltro nelle contrade dove gli alberi nascondono piccole grotte naturali colme di spazzatura. Sono dieci anni che frequento questi posti e ho visto spuntare come funghi ville, parcheggi, lidi, un resort, un albergo e distese di fotovoltaico dove millenni fa già c’era una civiltà antichissima.
Mi stupisce, invece, trovarmi a correre su una strada più larga del solito, dove adesso si son messi a costruire nuovi muretti a secco al posto dei vecchi in mattoni e cemento. Trovo su un campo di erbacce metri accatastati di asfalto vomitato come fosse il reperto di un’era preistorica, pezzi sparsi di lamiere di eternit e di mattoni, tubi sottili di cemento, telai di ferro e ringhiere, copertoni bruciati sotto alberi di fico. Mi guardo intorno, ci sono troppe case in costruzione per capire da dove venga quel materiale.

- Lo gettano la notte.
Una voce, alle mie spalle. È un uomo, dall’accento uno di qui. Mi volto e lo guardo. Ha più o meno cinquant’anni, un asciugamano e una sacca.

- Va al mare?
- Prima che arrivi la folla… A quest’ora il mare è uno spettacolo.
Non posso che essere d’accordo.
- Ma perché gettano qui ‘sta roba?, gli domando, quasi intenzionato ad andare a fare un bagno con lui.
- Lo fanno per risparmiare. Sono quelli di qua e di altri comuni. I muratori, poi qui le ville appartengono… ci siamo capiti. Si sono messi in testa che devono allargare le vecchie case. Si fanno le villone, i lidi. Guarda qua.
Mi indica una villa con annesso lido-parcheggio che l’anno scorso non c’era e che ora ci obbliga e una deviazione dal percorso naturale che porta al mare.

- Hanno intenzione di affittare ai turisti o di farsi una bella casa grande da vendere chissà quando. Qualcuno prende pure i soldi dal comune per ristrutturare.
- Ma così distruggono tutto!
L’uomo, che deve averne viste tante in questo pezzo di Puglia, fa di sì con la testa e sbuffa.

- Qui c’è eternit, ci sono mattoni…, dico.
- Manca la testa, risponde fermandosi dopo aver battuto più volte l’indice sulla tempia.
Siamo sotto una duna e, prima di inerpicarci, mi invita a guardare indietro. Lo spettacolo è bellissimo. Campi verde oro, alberi, piccole discese e l’accenno di una lama.

- In Puglia ti devi avvicinare alle cose per capire dove sta il problema.
È proprio vero. Da lontano questa terra è un paradiso, ma basta avvicinarsi, aguzzare la vista e magari incontrare una guida come lui, per cogliere piccole e grandi increspature che ammazzano un pezzo di paesaggio. Saliamo sulla duna, una sabbia sottile che s’insinua nelle pieghe delle mie scarpe ginniche. Non mi capitava dalla mia ultima passeggiata nel Sahara, dieci anni fa. Come Proust, torno indietro nel tempo. Allora vedevo il sole morire nella sabbia, adesso sorge dalle acque come un dio.

- Ma il mare è pulito?
Per tutta risposta lui si tuffa e comincia a nuotare andando incontro al sole. Almeno il mare deve essere pulito. Torno sui miei passi, risalgo la duna al contrario e riprendo a correre. Adesso incontro qualche bottiglia, un televisore e una lavatrice: i cascami del progresso che fu negli anni Ottanta. Quando arrivo sullo stradone, mi accorgo che per impedire il parcheggio libero ai villeggianti hanno usato ammassi di mattoni a chiudere gli ingressi. Tra cumuli di terreno, tutte le bocche del vecchio parcheggio – tutte salvo quella presidiata dal nuovo parcheggiatore abusivo del lido – sono state ostruite dai mattoni. E anche qui qualche sparuto cimelio di lamiera, di eternit, e due pseudo vigili che sonnecchiano. Hanno le facce antiche della Puglia che non c’è più e quelle moderne di un’indolenza tutta italiana. Così procedo senza fermarmi, col sudore sulla fronte e tanta amarezza nel mio cuore di pugliese.

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