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La Ragazza del Festivalbar

Da Danielevecchiotti @danivecchiotti

La Ragazza del FestivalbarTutti gli anni a inizio giugno vengo preso da un’irresistibile fantasia letteraria.
Mi coglie il desiderio folle, incontrollabile di scrivere un grande romanzone lungo almeno (almeno!) quanto “Guerra e pace” per celebrare l’estate in tutti i suoi più banali e meravigliosi luoghi comuni. Una specie di grande saga familiare che racconti però, anziché la storia di una stirpe, l’evolversi della stagione calda dagli anni ‘50 a oggi, il cambiamento delle abitudini balneari, e un mondo che, pur modificandosi e indossando ogni anno il costume usa-e-getta della moda del momento, rimane sempre perfettamente identico a se stesso.
Insomma una specie di perverso incrocio tra Proust e i fratelli Vanzina, un po’ “Alla ricerca del tempo perduto” e un po’ “Sapore di mare”.
E non ci sono dubbi: la protagonista unica di una’opera del genere non potrebbe che essere lei, la Ragazza del Festivalbar creata a metà degli anni ’70 dall’artista Gianni Trincanato e rimasta per oltre due decenni l’immagine-simbolo della manifestazione musicale di Vittorio Salvetti con cui, almeno all’origine, si premiavano le canzoni più suonate nei juke-box.
Come già raccontato
anni fa su questo stesso blog
, ho sempre avuto una specie di ossessione erotica, per la fanciulla con la margherita nei capelli che, da dietro la vetrina dei giradischi a moneta, invitava chi stava succhiando una granita menta-e-orzata a gettonare una delle hit del momento; ogni volta che la rivedo, avverto sulla pelle la sensazione della salsedine, risento l’odore di metallo e plastica scaldati dal sole che usciva dal juke box mentre la ruota girava per far partire una selezione. Nel mio inconscio scatta immediata la reazione automatica: subito immagino la vita come la si rappresentava negli spot del cornetto Algida, un trionfo di giovanilismo, allegria e scenette romantiche. E non posso fare a meno di pensare che avevano proprio ragione quei grandi poeti dei Righeira, quando sostenevano che l’esistenza si misura in ombrelloni, e che ci si rende conto di essere diventati grandi solo quando arriva di nuovo settembre.
Ancora oggi, non appena arriva il mese di giugno, carico nell’Ami-Rowe che tengo in salotto tutti i 45 giri d’epoca con il logo originale del Festivalbar, inserisco la monetina, pigio i pulsanti della selezione, e in un attimo avverto dentro il calore dei ricordi che tornano a rinfrescarmi l’anima, facendomi tuffare nelle atmosfere di quando adolescente lo ero davvero, e una canzonetta da spiaggia racchiudeva nei suoi tre minuti di microsolco tutte le mie emozioni.
Così, anche quest’anno,  eccomi di nuovo a lasciare che la mia immaginazione si abbronzi sdraiata sotto la voglia di mettermi al lavoro per un bel romanzo che racconti l’estate nei suoi ingredienti più semplici e, insieme, più deliziosi.
Chissà che questa non sia la volta buona. Chissà che, se davvero riuscirò a trasformare in realtà questa fantasia di scrittura, a Settembre io non mi ritrovi ancora circondato da chili di bozze e appunti a sentire che, una volta tanto, l’estate non sta finendo.


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