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La Regina dell’Avana: non voglio imparare a ballare!

Creato il 29 febbraio 2012 da Astonvilla

La Regina dell’Avana: non voglio imparare a ballare!

 RACCONTO DA CI SONO STATO .IT 

Dicembre 2009 - gennaio 2010

CUBA VENCERÁ, LOS QUINCE VOLVERÁN
Conoscevo Cuba attraverso le storie di Pedro Juan Gutierrez, il trasgressivo scrittore considerato il Bukowski del Caribe, che ho conosciuto con mucho gusto al Salone del Libro di Torino. Per questa ragione ero preparata alla sporcizia, al tanfo, alla trascuratezza, all'abbandono, al sudore, alla carenza d'acqua, all'arrabattarsi, al rum economico e allo sfacelo.
Però avevo in testa una valanga di altri ritagli che non sapevo bene in che parte del puzzle sistemare: cartoline delle spiagge di Varadero, soggiorni nella perla dell'arcipelago Cayo Largo, mojitos e havana club, aragoste e Cohiba, turisti protetti dalla polizia e fidanzatine di una settimana, rumba e son, Compay Segundo e Ibrahim Ferrer, congas, gardenias e carreteros, l'hombre sincero che coltiva la rosa bianca, guajira guantanamera, il Che morto con cento colpi in un giorno d'ottobre in terra boliviana, Venceremos adelante... lì, alla fine, ho trovato decine di altre Cuba e il puzzle, in un certo senso, ha cominciato a prendere forma; anche se temo che diverse tessere faticherò molto a collocarle.

 VIVO EN UN PAIS LIBRE
Il nostro uomo all'AVANA si chiama Manuel. Ci aiuta a rintracciarlo il cugino di Silvia, una meravigliosa donna cubana bianca dall'incantevole accento ispano-veneto, con la quale ho condiviso il sorvolo dell'Atlantico. La sua fortuna è stata andare a studiare nella Germania dell'Est prima della caduta del Muro e lì conoscere quello che sarebbe divenuto suo marito (ricco costruttore, proprietario di villa con piscina e cani e bambini stupendi).
È l'una di notte all'aeroporto "Josè Martì" della capitale cubana, ma nessuno pare farci caso; tutti fumano e sorridono. Un chofer baffuto accompagna los cinco in hotel.
Avendo dormito ben otto ore in aereo, mi sono vista costretta ad attendere l'alba al bar dell'albergo, sorseggiando le due birre preferite dai cubani, la Cristal e la Bucanero. Ne smezzo un paio con un giovane tecnico telefonico alla vigilia delle vacanze natalizie: l'indomani infatti sarebbe partito per Las Tunas, dove vive la sua famiglia. Naturalmente per prima cosa mi monetizza il suo stipendio, argomento che ogni cubano tira fuori pochi istanti dopo le presentazioni. Nel suo caso ammonta all'equivalente di 14 euro, cioè 17 pesos convertibili - i cosiddetti CUC, la moneta che dal 2004 ha sostituito il dollaro per tutti quei commerci legati all'economia non socialista. Una lattina di birra invece costa poco più di un euro.
Stabilito chi offre le birre, può raccontarmi del suo percorso scolastico. In questo Paese di secchioni è obbligatorio avere il diploma di scuola superiore per ottenere un lavoro e, poiché se non lavori puoi addirittura essere arrestato, va da sé che sono tutti come minimo diplomati. Per verificare che tutto ciò sia vero somministro al tecnico installatore qualche esercizio di analisi logica: sufficiente.
Nel frattempo ho appreso che le trasmissioni che possiamo aprovechar in quel momento sui due maxischermi, i cubani non le possono guardare a casa propria, perché la TV satellitare è vietata e se vengono scoperti sono costretti a pagare una multa di 1500 euro. Deduco quindi che il mio amico non ami le telenovelas, le lezioni di ingegneria meccanica, le partite di baseball e l'altra consueta programmazione "rivoluzionaria" delle reti nazionali. D'altra parte vive con la vecchia nonna, perché - come se non bastasse - le case non si possono comprare né vendere. E non si possono nemmeno affittare, almeno ufficialmente. Lo scenario comincia a delinearsi.
LA REGINA DELL'AVANA

La prima giornata da turista scopro che qui è tutto truccato. I muri scoloriti mi avvisano che vinceremo patria o muerte, mi annunciano che il socialismo si difende unidos y combativos, mi comunicano trionfali che la revoluciòn è in ogni quartiere e affermano con baldanza che loro la justicia la esigono. La bandiera nazionale monostella sventola con persistenza accanto agli eroi a cavallo e alla sfilza di lampioni liberty. Allungando lo sguardo, da una parte si intravedono i grattacieli, dall'altra, in lontananza, il forte del Morro, che si trova all'altra estremità della baia dell'Avana. E dovunque la decadenza. I condomini hanno facciate da antologia, ma sono in rovina, gli intonaci sono scrostati, l'abbandono non potrebbe essere più evidente. In pratica, l'Avana cade a pezzi.
Siamo all'inizio del quartiere Vedado. Il famoso Malecon è a pochi passi e il mare blu intenso non è agitato da ondate paurose come lo immaginavo, per cui si può tranquillamente pescare in piedi sull'argine o addirittura tuffarsi e arpionare le prede a mani nude. Lo sfondo è costituito da nuvole bianche molto fotogeniche e il mio sollievo è enorme, considerati gli ultimi miei viaggi tropicali funestati da monsonici cieli grigi cancella-colori.
Mentre pensavo che la temperatura fosse quella che ogni essere umano desidererebbe e che avrei camminato su questo lungomare per sempre, mi interrompe Damiano, guidatore autorizzato di calesse. Questo ometto col cappello a visiera ci istiga a fare un giro della durata di un'ora cubana alla scoperta della consistenza habanera. In pratica: ci porta dall'amico che spreme la canna da zucchero, ci aggiunge un dito di ron e fa pagare questo pregiatissimo cocktail 3 CUC; ci racconta che la mamma lavora alla fabbrica di sigari e che ha la possibilità di farci lo sconto del 300% (tutti gli operai delle fabbriche di sigari vendono innumerevoli pezzi sottobanco), ci indica un ristorante gelido e scarsamente illuminato, impietosendoci con la storia che gli regalano il dentifricio e la saponetta.
Dal calesse era un avanti veloce di daiquiri e mojitos bevuti da Hemingway, fabbriche di sigari e rum, chiese cattoliche e piazze, palazzi color pastello e murales e ragazzi in divisa all'ultimo giorno di scuola, mentre percorrevamo l'HABANA VIEJA e l'Avenida del Puerto affacciata sull'Atlantico. Dopo il pranzo, finalmente di nuovo alla luce del sole, percorriamo a passi lenti il classico itinerario turistico: la Plaza das Armas con i venditori di libri d'occasione e con la ceiba (l'albero sacro per la santería intorno al quale bisogna girare tre volte esprimendo tre desideri), la Cattedrale dedicata a Cristoforo Colombo, la Bodeguita del Medio, la chiesa di San Francisco de Asís, l'imprescindibile calle Obispo affollata di localini in cui suonano dal vivo, il Castillo della Real Fuerza e così via. In giro è pieno di queste signore mascherate da habaneras che vogliono i soldi per la foto mentre fumano un sigaro gigantesco, e di altri tristi personaggi come il Che Guevara canuto, l'uomo immortalato nella foto di copertina della Lonely Planet, uno svitato che gira con due bassotti travestiti da umani, il giovane studente di medicina che - chiacchierando con quella cantilena ipnotizzante che hanno loro - ci scrocca un mojito in questo bar dell'Avana Vecchia dove suonano gli ennesimi sosia dei Buena Vista Social Club... insomma, ti si stringe il cuore.

Avendone abbastanza del patrimonio storico ridipinto con i colori originali grazie ai soldi dell’Unesco, abbandono definitivamente il set dell'Habana Vieja ed entro in Centro Habana. In questo bar in calle San Rafel ordino una Bucanero extra, che bevo al tavolino sui centrini di pizzo, tra puzza di fritto e musica non cubana. Mentre sollevo gli occhi per osservare una vecchia malridotta che si aggira furtivamente cercando di vendere un pacchetto di chewingum, mi sento osservata: De donde eres?, mi chiede sorridendo una dignitosa signora seduta al tavolo accanto, in compagnia del figlio e della nuora. Beata te che puoi viaggiare! dice lui col cappello da baseball e lo sguardo lontano, Noi non siamo liberi. Questa cena non la possiamo pagare con i nostri stipendi, aggiunge la giovane moglie. Intanto arrivano le loro enormi pizze e mi invitano a mangiare con loro. Favorite! è come se mi dicessero.
Ma io devo andare alla Casa de la Musica nella calle Galliano. Antonio (un cameriere uguale a Banderas che stava sulla porta a fumare) mi indica la strada. Sul palco suona dal vivo un nutrito gruppo di tamarri. D'altra parte anche in pista le magliette più di moda sono elasticizzate, stampate nei colori moda oro e argento e chi se lo può permettere sfoggia scritte Armani e Dolce & Gabbana in ogni dove (oltre a catenoni d'oro e occhiali da rabbrividire).
Questa ragazza apparentemente minorenne, priva di mutande e in pratica priva anche di gonna, si dimena indefessamente davanti a Lorenzo, il quale, imbarazzato e insieme quasi tentato dalle inequivocabili posizioni, cerca di distogliere lo sguardo. Ma tutto finisce a tarallucci e vino (complicità femminile e sigarette in regalo).
YO SOY UN HOMBRE SINCERO

Manuel doveva palesarsi a las nueve de la mañana in hotel, dunque – intuito rapidamente l'andazzo generale - possiamo stare tranquilli che come minimo fino a mezzogiorno la nostra querida presencia non sarà richiesta.
Ce ne possiamo andare a zonzo e raggiungere Plaza de la Revolución, una delle piazze più grandi del mondo. Più di un milione di cubani si sono radunati qui durante importanti celebrazioni politiche, ma anche per ascoltare Jovanotti che canta Penso positivo.
Su un lato della piazza svetta il monumento a Josè Martì, eroe, patriota, rivoluzionario, intellettuale, storico, sociologo, poeta, martire e chi più ne ha più ne metta. Si tratta di una torre alta più di cento metri accompagnata da un'enorme statua bianca dell'ometto, accigliato e compreso nel suo ruolo come si conviene. Con l'ascensore si può arrivare al punto panoramico più alto dell'Avana e ammirarla in tutto il suo splendore di grattacieli e giardini e quadras e mare bluissimo in fondo, mentre gli enormi avvoltoi che svolazzano si ritagliano uno spazio in quasi ogni foto. Se vuoi portare con te la macchina fotografica il prezzo del biglietto (mezzo stipendio medio di un cubano) raddoppia e già lì ti girano un po' le palle. Quando arrivi su e ti accorgi che tutti gli affacci sono protetti da vetri di una sporcizia incommensurabile, ti senti definitivamente preso per il culo.
Sulla via del ritorno passeggiamo pigramente nel quartiere, schivando le palle da baseball colpite con eccessiva veemenza dai ragazzini e spiando gli acquisti al mercado agropecuario. Compro un gelato con un peso convertibile invece di un peso cubano (in poche parole gli pago 25 gelati). Non avevo pensato che il gelato potesse essere pagato in moneta nazionale. Questa doppia moneta è un sistema veramente assurdo e immorale che trasforma ogni cubano in un potenziale ladro.
Tornati in hotel cerco di raccogliere informazioni sulla Playa del Este, ma gli interpellati sono troppo impegnati ad appendere enormi angeli dorati a mo' di decorazioni per la festa in programma per la sera e poi il volume dei video dei Van Van è troppo alto per riuscire a capirci qualcosa. Nell'indecisione ordino una Cristal. In quel mentre sopraggiunge al bancone Lazaro, il quale per prima cosa dice che conosce un po' di italiano perché sua sorella vive a Milano. Ripensandoci, la consequenzialità logica tra le due affermazioni non è così evidente come mi era sembrato in quel momento.
Questo medico specializzando in Neurochirurgia sta in paranoia per due motivi: 1) gli hanno rubato il cellulare; 2) vuole diventare il più grande chirurgo di tutti i tempi. Nel frattempo studia su dei libroni di antiquariato pieni di polvere e - come tutti i cubani un po' svegli - si arrangia come può. Infatti ci conduce al paladar "La Tasquita", un ristorante autorizzato dallo Stato di norma situato praticamente dentro una normale casa. Il cibo è, come promesso, una exquisita comida criolla.
Lazaro cita il fatto di cronaca italiano del momento: Berlusconi colpito al volto da un souvenir a forma di Duomo di Milano (a scriverlo così sembra una barzelletta, ma è successo veramente). Se mentre parla Fidel - fa lui - un uomo non dico lancia un Capitolio in miniatura, ma soltanto fa il gesto di lanciarlo, in tre secondi è circondato da un plotone armato. .

 A DOMANI...CONTINUA


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