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La relazione tra maestro e allievo

Da Certifiedmentalcoachitalia

Uno degli aspetti più importanti della relazione tra maestro ed allievo, ossia l’aspetto comunicativo tra queste due figure, che dovrebbe invece essere parte integrante del loro rapporto.

Chi è un maestro? Chi è un allievo?

Un qualsiasi dizionario della lingua italiana fornirà genericamente le seguenti definizioni:

  • “maestro è colui che insegna un’arte, una scienza, una dottrina; chi eccelle per scienza o per abilità in qualcosa tanto da poterla insegnare ad altri o da essere preso a modello”
  • “allievo è colui che viene educato, istruito da qualcuno in una disciplina o in un’arte”

Una definizione forse più realistica e calzante potrebbe essere quella che viene proposta dalle filosofie orientali.

Il termine giapponese che indica il maestro è “sensei” che significa letteralmente “nato prima” ed esprime al meglio il concetto secondo cui il Maestro è colui che si è incamminato prima degli altri, una guida che essendosi avventurata in un percorso di crescita umana, tecnica, morale e spirituale da più tempo, possiede l’esperienza necessaria per poter indirizzare e condurre altri, i suoi allievi, verso il cammino in precedenza da lui intrapreso.

Tutte queste asserzioni forniscono la cifra secondo cui, da tempi remoti ad oggi, si basa la metodologia dell’insegnamento nella cultura, nell’arte e nello sport.

Esse appaiono però piuttosto superficiali ed anche poco realistiche: non sempre infatti colui che fu un grande atleta, è stato poi un grande Maestro. Si trascura in queste definizioni proprio uno degli aspetti più importanti della relazione tra maestro ed allievo, ossia l’aspetto comunicativo tra queste due figure, che dovrebbe invece essere parte integrante del loro rapporto.

Tralasciando quindi l’aspetto nozionistico, spesso limitativo e talvolta fuorviante di queste definizioni, si dovrebbe cercare di rivalutare e riconsiderare il rapporto tra queste due figure.

Un maestro non è una semplice “macchina” che trasmette delle conoscenze ma deve essere una persona in grado di rapportarsi con gli allievi e tirare in ballo i pensieri, le emozioni e sentimenti propri e degli allievi. Il maestro più che convincere deve guidare l’allievo, deve esortarlo affinché raggiunga degli obiettivi, non può limitarsi a dare “nozioni” poiché gli allievi hanno bisogno di qualcuno che li coinvolga, che parli con una certa espressività e che susciti in loro emozioni.

È proprio la forza esortativa, la capacità di trasmettere non solo le proprie conoscenze, ma anche le singole emozioni, suscitandone così negli allievi di nuove e di diverse, che fa sì che un maestro riesca a far brillare quella luce che rende un semplice sportivo in un atleta.

Come direbbe Alberoni “In questa maniera un maestro diventa colui “che ti guida nel mondo, che ti fa crescere, che ti aiuta a diventare ciò che puoi diventare. Ma senza opprimerti, facendo fiorire le tue potenzialità. E lo fa con un rapporto personale, dove entrambi entrano con la loro umanità. E’ importante che gli allievi sentano che voi ci credete, che vi impegnate e che volete lavorare insieme, che volete inventare insieme e realizzare un’opera comune, un’opera collettiva. E che siete esigenti con voi stessi prima che con loro, perché tutto deve essere perfetto. Devono sentire che voi sapete dove andare, ma che loro sono liberi di scegliere ogni volta di seguirvi, e voi li ascoltate, prendete sul serio quello che dicono. Solo allora diventate un maestro: quando tracciate tutti insieme la strada da percorrere.”

L’allievo non è quindi un recipiente vuoto da riempire con il sapere altrui ma un essere umano con i suoi pensieri, le sue emozioni e il suo bagaglio di esperienze, che chiede di essere giustamente stimolato affinché possa sprigionare, in libertà, tutte le propria potenzialità a volte inespresse.

Un allievo e in particolar modo un allievo bambino impara più attraverso il piacere che attraverso la sofferenza, più grazie ai suggerimenti e alle spiegazioni che agli ordini. Impara tramite l’affetto, l’attenzione, l’amore, la pazienza, la comprensione, il senso di appartenenza, il fare e l’essere, ma soprattutto impara con l’esempio che noi maestri diamo. In virtù di questo, dovremmo cercare di focalizzare la nostra attenzione, le nostre energie ed anche la nostra quotidiana attività d’insegnamento, sulle relazioni che regolano il rapporto tra l’entità maestro e l’entità allievo.

Sono queste relazioni, ed il modo con cui esse si costruiscono nel tempo, le fondamenta su cui deve basarsi un progetto d’insegnamento che abbia come traguardo la crescita e l’arricchimento non solo dell’allievo ma anche del maestro.

Il ruolo del maestro è molto difficile perché egli non si limita a trasmettere delle informazioni, come potrebbe superficialmente apparire, ma deve essere capace di trasmettere emozioni e carpire quelle dei suoi allievi, deve intuire quali sono le difficoltà di ognuno, che spesso vanno al di là delle difficoltà di apprendimento.

Il maestro risulterà tanto più efficace, quanto più riuscirà a stabilire un rapporto positivo con gli allievi.

Ma cos’è che permette al maestro di centrare quest’obiettivo?

A mio avviso le fondamenta di un rapporto costruttivo, si basano nella capacità, da parte del maestro, di comunicare con gli allievi in maniera ottimale.

A tal fine trovo interessante quanto proposto da Gordon nel suo metodo. Tale metodo pone l’accento su tre aspetti fondamentali che sono:

  1. Le barriere alla comunicazione
  2. L’ascolto attivo
  3. Il messaggio in prima persona (o “messaggio Io”).

Per barriere alla comunicazione, si intende tutti quei tipi di messaggio che ostacolano la comunicazione, per il fatto che, al di là del loro contenuto esplicito, esprimono intrinsecamente da parte del maestro rifiuto, giudizio, valutazione o denigrazione; oppure denotano l’intenzione di risolvere un problema dell’ allievo fornendogli la soluzione, o al contrario evitando di affrontare il problema o negandone addirittura l’esistenza. L’eliminazione di tali barriere rappresenta una priorità assoluta.

Gordon individua e descrive in tutto dodici barriere:

  1. Ordinare, comandare, esigere
  2. Avvisare, minacciare
  3. Fare la predica, rimproverare
  4. Consigliare, dare soluzioni o suggerimenti
  5. Redarguire, ammonire, fare argomentazioni logiche
  6. Giudicare, criticare, disapprovare, biasimare
  7. Definire, stereotipare, etichettare
  8. Interpretare, analizzare, diagnosticare
  9. Apprezzare, convenire, dare delle valutazioni positive
  10. Rassicurare, mostrare comprensione, consolare, sostenere
  11. Contestare, indagare, mettere in dubbio, sottoporre ad interrogatorio-
  12. Eludere, distrarre, fare del sarcasmo, fare dello spirito, cambiare argomento.

Le ripercussioni negative generate dalle dodici barriere sono molteplici. Prima fra tutte, il determinarsi negli allievi di un atteggiamento difensivo nei confronti del maestro, ma soprattutto la mortificazione di ogni autonomia- sotto tutti i punti di vista- degli allievi.

L’eliminazione delle barriere costituisce la parte cosiddetta negativa del “Metodo Gordon” ed è uno dei suoi aspetti fondamentali; tuttavia la vera chiave di volta della proposta metodologica di Gordon è costituita dalla sua parte positiva: l’ascolto attivo e il messaggio in prima persona (“messaggio Io”).

Per quanto riguarda l’ascolto attivo il maestro, di fronte all’allievo che mostra un problema, manifesta un’istanza o più in generale un’esigenza, si pone in un atteggiamento d’ascolto, cercando di interferire il meno possibile e usando eventualmente elementi facilitanti la comunicazione (atteggiamenti ed espressioni, verbali e non verbali, che incoraggiano l’allievo a comunicare); in questo modo, il maestro individua spesso e volentieri la realtà del problema, e può così dare un aiuto effettivo ed efficace; l’allievo, da parte sua, quasi sempre perviene da solo alla soluzione. Alla luce di queste considerazioni è facile comprendere come l’ascolto attivo favorisca negli allievi l’autonomia, il senso critico e la crescita dell’autostima. Gordon prospetta l’ascolto attivo sul versante del processo comunicativo che vede il maestro impegnato in primo luogo quale destinatario del messaggio; nell’ipotesi in cui il maestro assume il ruolo precipuo di emittente del messaggio la proposta consiste nel messaggio in prima persona.

Quest’ultimo, o “messaggio Io”, costituisce la logica soluzione ai problemi che scaturiscono dalle barriere alla comunicazione. Il motivo principale per cui queste ultime ostacolano la comunicazione risiede nel fatto che da esse derivano “messaggi in seconda persona, ossia messaggi che contengono implicitamente il “tu”. Il comando “smettila!” (Barriera n.1: ordinare, comandare), per esempio, veicola il messaggio: “(tu) smettila!”; in questa maniera il maestro scarica sugli allievi la responsabilità di quanto accade. Questo tipo di messaggi concentrano tutta l’attenzione sull’ allievo, ma non dicono nulla sullo stato d’animo del maestro; tali messaggi creano una sorta di specchio, nel quale l’allievo vede riflessa l’immagine che il maestro ha di lui (in questo caso l’allievo potrebbe pensare che il maestro lo consideri un maleducato).

I messaggi in prima persona invece possono essere paragonati a un vetro trasparente che permette di vedere oltre; il messaggio contenuto nell’ordine dell’esempio precedente potrebbe essere formulato con la frase: “questo comportamento provoca in me frustrazione”. Il maestro che comunica messaggi in prima persona ottiene così, tre risultati cruciali ai fini dell’instaurarsi di una comunicazione e quindi di un rapporto ottimale:

  1. stimola con più facilità nell’allievo la volontà di cambiamento;
  2. riduce al minimo gli elementi di carattere valutativo (anche quelli negativi);
  3. evita di pregiudicare il rapporto.

Alla luce di quanto detto risulta chiaro che se il maestro intende ottenere il massimo risultato nell’insegnamento, dovrà necessariamente iniziare un duro lavoro di introspezione; egli dovrà intraprendere un percorso che lo porterà inevitabilmente a mettere in discussione se stesso e tutte le sue convinzioni radicate nel tempo.

Per comprendere il linguaggio dell’allievo, infatti, bambino o adolescente che sia, il maestro deve regredire al suo livello e lasciarsi libero di confrontarsi con una parte di sé molto profonda che fa emergere quel bambino o quell’adolescente che è in ciascun di noi.

Si tratta di una vera e propria regressione indice di maturazione e strutturazione dell’Io, che è quindi in grado di gestire allo stesso tempo sia il ruolo del bambino sia quello dell’adulto, in una condizione di equilibrio che permette addirittura di ampliare la sfera della propria personalità.

Di conseguenza il rapporto che si instaura non è strutturato da ragioni di tipo logico, ma è bensì un legame emozionale molto intenso.

In conclusione, questa è, secondo me, la diversa concezione di quello che dovrebbe essere l’insegnamento rivolto ai giovani.

Un modo nuovo d’intendere la figura del maestro non più basata su vecchie concezioni spesso dogmatiche ma che pone le fondamenta sulla sfera delle relazioni interpersonali tra i due soggetti coinvolti, maestro ed allievo.

Un bravo maestro non è colui che ha una vasta conoscenza e dall’alto dei suoi successi si pone a modello di riferimento, ma colui che riesce a stimolare l’allievo, indipendentemente dal grado di abilità o doti naturali che esso ha innate, ad esternare al massimo le sue potenzialità, il suo modo di essere, il suo modo di vivere.

Nel mio percorso sportivo fatto da amatore, agonista ed anche da istruttore, ho sempre creduto che il fine ultimo che ogni maestro dovrebbe prefiggersi, aldilà del campo in cui opera, è quello di contribuire con il suo operato quotidiano alla formazione di persone sane e consapevoli, rispettose della dignità altrui, che siano in grado di contribuire al miglioramento della nostra società.


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