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La Repubblica senza i partiti

Creato il 18 settembre 2014 da Bernardrieux @pierrebarilli1
La Repubblica senza i partitiSi sono versati i classici fiumi d’inchiostro sulla “repubblica dei partiti”, ma forse è venuto il momento di chiedersi quali prezzi paghiamo per la sua dissoluzione. Non perché rimpiangiamo i partiti dell’ultima fase: sarebbe da masochisti. Piuttosto perché i partiti, così come erano stati concepiti dal nostro disegno costituzionale originario, servivano a garantire alcuni nodi fondamentali per garantirne il funzionamento. La loro sostanziale scomparsa inceppa inevitabilmente quegli ingranaggi che dipendevano da loro.
Gli studiosi ogni tanto ci avvertono che sta avvenendo quello che negli USA si è realizzato da un secolo: fine dei partiti come grandi aggregazioni di identità sociale, come luoghi di costruzione del consenso attraverso canali di partecipazione al dibattito politico. Al loro posto “macchine politiche” che servono solo per accedere alle candidature per le tornate elettorali ai vari livelli. Vinte quelle, il rapporto dell’eletto col partito tende a svanire.
Si dirà: ma in Italia siamo lontani da quella realtà. Temiamo che lo siamo meno di quel che sembra. La vicenda delle votazioni di ieri per la Corte Costituzionale e per il CSM ha mostrato un parlamento che i partiti non riescono a governare. In presenza di lotte intestine nei due partiti chiave, PD e FI, si è aperta la strada per tutti i giochetti di potere possibili. Che a fare da garante della bagarre fosse il M5S non stupisce, se si considera che questo è esattamente un non-partito nel senso tradizionale del termine: una aggregazione di “umori elettorali” che in parlamento non conduce altra battaglia se non quella di mostrarsi lo scapestrato di turno.
Il fatto è che i partiti oggi non sono più in grado di usare la loro arma di controllo sui propri parlamentari, cioè l’accesso alla possibilità di essere eletti. Può sembrare incredibile in un sistema che probabilmente si appresta a mantenere le liste bloccate decise dai caminetti di partito. Se si guardano le cose con realismo, si vede però che la possibilità di essere eletti sfugge ormai largamente al controllo di quelle istanze. Ciò avviene per almeno due ragioni. Oggi nessun partito controlla più in maniera ferrea la sua quota di elettorato e di conseguenza: 1) chi ha buon radicamento in qualche quota di elettori può tranquillamente imporsi al suo “caminetto” che non può permettersi di mettere a rischio pacchetti di voti che, come si dice, rischiano di fare la differenza; 2) oggi è facile cambiare casacca, passare da un partito all’altro, inventarsene di nuovi mettendo a rischio così gli equilibri esistenti, perché ormai non esiste più la condanna sociale verso chi rompe con la sua precedente “ortodossia”.
Aggiungiamoci che attualmente, con la riforma del Senato che appare in dirittura d’arrivo, ci sono centinaia di persone che sanno di non avere chance di ritorno in parlamento, sicché il loro risentimento non è certo frenato dalla paura di perdere un posto che tanto hanno già perduto. In più la stretta che, causa la crisi economica, si annuncia sul sistema del sottogoverno (partecipate municipali e regionali, agenzie e via dicendo) fa sfumare anche il classico mezzo di recupero in extremis dei politici che non ce la fanno insediandoli in qualche poltronificio.
Come è evidente la politica ormai la fanno quelli che stanno al governo: sia il governo effettivo, sia il “governo ombra”, che da noi non esiste come istituzione , ma che esiste invece nei fatti e riguarda le ristrette cerchie dell’opposizione con cui dialogano e si confrontano i vari centri di potere della società e della burocrazia. Gli altri fanno scenografia, anche se l’attuale sistema in fase di transizione lascia loro il potere di buttare di tanto in tanto un po’ di sabbia negli ingranaggi.
Da questo punto di vista Renzi è stato abile a pilotare una operazione nel suo partito che ha l’apparenza di una grande apertura alla gestione unitaria, ma che in realtà è al momento una distribuzione di titoli di cavaliere a cui corrisponde poco potere. Curiosamente di questo non ci si rende molto conto: un po’ perché quelli formatisi nel vecchio PCI credono ancora alla “ditta”, un po’ perché comunque fa comodo a tutti ottenere nomine che ti portano un momento di notorietà sui media e probabilmente ti garantiscono il seggio alle prossime elezioni. Ovviamente per pochi sarà invece un trampolino di lancio per mettersi in luce per l’ascesa al vero luogo di potere, cioè al governo.
Resta il fatto che bisognerà pur prendere in considerazione il fatto che la nostra Carta Costituzionale è stata scritta avendo in mano un tipo forte di partiti, molto radicati nella società, portatori di sistemi di ricambio delle classi dirigenti, capaci di elaborare ideologie che costruivano il consenso anche a prescindere dalla possibilità di fare grandi promesse ai propri elettori
Se però oggi quel tipo di partiti è in via di estinzione, per non dire già estinto, bisogna prenderne atto e pensare alla costruzione di un nuovo equilibrio costituzionale.

(Paolo Pombenihttp://feeds.feedburner.com/BlogFidentino-CronacheMarziane

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