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La responsabilità dei leader

Da Anna
La responsabilità dei leaderMarco, Sara e Giusy sono soci di una palestra di arti marziali. Si sono conosciuti al tempo dell’Università e da allora si sono sempre impegnati nel progetto di far incontrare pratiche occidentali con quelle orientali. La loro passione si è trasformata nel loro lavoro e dopo 10 anni, possono essere soddisfatti di aver costruito una realtà riconosciuta che da’ lavoro ad altre 6 persone.Come in tutte le realtà piccole che poi si ingrandiscono, avvertono il peso delle responsabilità e la fatica di gestire un gruppo di persone che fanno questo lavoro per passione ma in modo del tutto “indisciplinato.Vengo coinvolta in un progetto rivolto alle segretarie per gestire meglio la comunicazione con il front office e la gestione dei clienti. Durante il percorso emergono degli elementi di riflessione che riguardano l’organizzazione. La stessa formazione viene allargata a tutto il team che si descrive come una “grande famiglia”. Sinceramente, quando sento certe affermazioni in ambito lavorativo, cerco sempre di comprendere cosa significhi e quali possono essere le implicazioni. Le metafore organizzative ci danno una bellissima chiave di lettura su come le persone vivono gli ambienti di lavoro. Così ho cavalcato questo suggerimento e ho cercato di fami raccontare come ciascuno di loro si viveva e in quale ruolo, quali sono le responsabilità, le aspettative e via dicendo.Il quadro è molto chiaro. Ma perché  la famiglia non può essere una metafora aziendale efficace?
In effetti l’ organizzazione interna e la divisione dei ruoli potrebbero far pensare ad una buona analogia.La famiglia è dotata di un insieme di capacità adattive o risorse che possono consentirle di fronteggiare totalmente oppure solo parzialmente gli eventi stressanti portatori di cambiamento. Tale paradigma porta a riconoscere la famiglia come socialmente competente cioè in possesso di risorse e di abilità per affrontare gli stress sia interni che esterni.L’Approccio dello Sviluppo basa il suo concetto di cambiamento familiare sull’idea che la famiglia è una realtà sociale che evolve attraverso il superamento di stadi precisi e definiti lungo il suo ciclo vitale. Il cambiamento è qualcosa di automatico perché è inserito all’interno di un percorso prevedibile e per nulla traumatico che è formato da stadi precisi e definiti. Il compito della famiglia è un compito di crescita intesa nel senso di formazione di un nuovo individuo riadattato che emerge dal superamento di un evento destrutturante, ed è congiunto perché interpella tutto il sistema familiare e accomuna tutti i membri della famiglia.Seppur interessante il paragone, ci sono delle differenze sostanziali tra questo piccolo gruppo e le aziende che hanno come scopo un obiettivo preciso:gli scopi di queste organizzazioni sono la produttività e l’efficienza mentre quelli della famiglia sono lo sviluppo dei singoli membri e della famiglia come un “tutto” e  l’assolvimento dei compiti intergenerazionali. Nelle organizzazioni aziendali la Leadership è delle figure che gestiscono il processo e il raggiungimento degli obiettivi e le relazioni dovrebbero essere regolate in un rapporto tra colleghi in vista dell’obiettivo. L’aspetto relazionale ed affettivo sono regolati da uno scopo e dal bisogno di stima reciproca che in un rapporto familiare non sono necessari.Nella famiglia la dominanza e la responsabilità sono della coppia genitoriale che regola la vita organizzativa e affettiva dei membri. La dimensione temporale è rilevante nei gruppi di lavoro in quanto le relazioni finiscono o si trasformano quando termina il compito. Per la famiglia è di importanza cruciale.  La famiglia è anche definita “un piccolo gruppo naturale con storia”, dove l’ importanza della storia passata e presente ne definiscono la prospettiva futura. In questa dimensione  le relazioni sono virtualmente permanenti. Inoltre la relazione genitore/ figlio determina una dinamica di dipendenza che, nonostante l’età e il passare del tempo, rimane costante fino a quando il genitore non viene a mancare e spesso anche quando il figlio esce di casa. Se le aziende si pongono come obiettivo quello di essere snelle, efficienti ed  efficaci, questo tipo di metafora potrebbe essere controproducente proprio perché la dinamica relazionale è tale da mantenere un rapporto di dipendenza permanente e un coinvolgimento emotivo che oltrepassa il confine determinato dall’obiettivo produttivo.I collaboratori come i dipendenti, si aspettano un certo livello di coinvolgimento ma nonostante ciò vogliono comunque una figura che li diriga.Nel caso dei nostri soci Marco, Sara e Giusy, si chiedeva loro di cambiare la prospettiva. Non più un clima d’amicizia ed informale ma un ambiente più organizzato, con compiti ben precisi e regole indiscutibili, non per il puro gusto di esercitare il proprio potere, ma per riprendersi quella responsabilità che è propria di chi dirige una qualsiasi realtà.In questi casi, oltre ad un lavoro sulla base, sto seguendo i tre soci per ristabilire un certo “ordine” e una certa leadership, che altrimenti si perderebbe nella notte dei tempi …

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