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LA SARDEGNA PRENURAGICA #preistoria #neolitico #archeologia

Creato il 03 ottobre 2014 da Albertomax @albertomassazza

monte d'accoddi

Attestata fin dai tempi del Paleolitico Inferiore, come da ritrovamenti avvenuti in particolare nel sassarese, la presenza dell’uomo in Sardegna si fece verosimilmente meno sporadica dal periodo di massima espansione dei ghiacciai (e conseguente massimo abbassamento del livello dei mari) nell’ultima glaciazione, a partire da circa 18000 anni fa. Alle fasi finali del Paleolitico Superiore (circa 12000 a.C.) è ascrivibile l’insediamento umano della Grotta Corbeddu di Oliena, mentre è stato attribuito al Mesolitico (10000-6000 a.C.) quello della Grotta de su Coloru di Laerru. Di difficile datazione risulta quello che è probabilmente il più antico manufatto artistico sardo, la cosiddetta Venere di Macomer, primo esempio isolano di raffigurazione della Dea Madre, con un’attribuzione che oscilla dalle ultime fasi del Paleolitico Superiore al Neolitico Antico. Le attività preistoriche umane iniziarono ad essere più diffuse dall’inizio del VI millennio, quando anche la Sardegna venne interessata dal fervore diffusionista conseguente alla rivoluzione neolitica che dall’oriente propagava le innovazioni dell’agricoltura, dell’allevamento e della ceramica verso l’ovest. Tale fervore, nell’isola, venne amplificato dal commercio dell’ossidiana, pietra vulcanica a rapido raffreddamento che, in virtù delle sue qualità di resistenza, duttilità e bellezza estetica, recitò un ruolo fondamentale nella produzione di utensili e manufatti ornamentali, fino alla prima età dei metalli. L’esistenza dei più vasti giacimenti di ossidiana del Mediterraneo nel Monte Arci, nella parte centro-occidentale dell’isola, mise la Sardegna al centro di una fitta rete di scambi commerciali, determinando il vivace dinamismo culturale caratteristico del Neolitico sardo.

Ai flussi orientali della neolitizzazione sono direttamente riferibili le prime testimonianze culturali neolitiche dell’isola, con la produzione di Ceramica Cardiale (vale a dire attraverso l’impressione a caldo della conchiglia  di un mollusco marino, il Cardium ), originaria delle coste tessaliche e siro-libanesi e diffusasi velocemente nell’occidente mediterraneo. In questa temperie, si svilupparono le prime culture autoctone sarde:  Su Carroppu,  nella zona di Carbonia; Grotta Verde, ad Alghero; Filiestru, nel territorio di Mara. Le ricerche archeologiche effettuate negli insediamenti hanno fatto emergere, accanto alla produzione ceramica, caratterizzata da una tendenza alla diversificazione locale dei motivi decorativi, una dieta basata sulla cacciagione (cervi, cinghiali e il Prolagus, roditore endemico estinto), sulla pesca, sulla raccolta e sui primi tentativi agricoli. Tra i motivi decorativi, alcune anse di vasi farebbero pensare ad una stilizzazione antropomorfa. Dall’esperienza di Filiestru si sviluppò nel Neolitico Medio, a cavallo tra il V e il IV millennio, la Cultura di Bonu Ighinu, la prima a diffondersi in modo omogeneo su buona parte dell’isola. Fu un periodo caratterizzato da un notevole progresso della tecnica in ogni campo, con un relativo miglioramento delle condizioni di vita che si riflesse nella produzione ceramica sempre più raffinata e in quella artistica, dominata dagli idoletti della Dea Madre steatopigia (dalle forme abbondanti), nello stile volumetrico-naturalista di ascendenza Egeo-Anatolica. Questa fioritura culturale fu sicuramente stimolata dall’esplosione commerciale dell’ossidiana, esportata verso le coste italiane e francesi come principale merce di scambio.

Dopo un periodo di impoverimento nelle decorazioni, manifestatosi nella Cultura di San Ciriaco (Terralba), si arrivò alla fase più duratura e florida del neolitico sardo, la Cultura di Ozieri o di San Michele, diffusa in maniera capillare in tutta l’isola. In questa fase si affermarono alcune tipologie monumentali tra le più caratteristiche della preistoria sarda. In primo luogo le Domus de Janas, sepolture ipogeiche o rupestri, isolate o raggruppate in necropoli, sviluppate su modelli  già sperimentati nelle precedenti culture di Bonu Ighinu e San Ciriaco. Inoltre, sempre in quest’ambito culturale, prese l’avvio il ricco e diversificato fenomeno del Megalitismo sardo, caratterizzato da originali interpretazioni degli impulsi provenienti dall’esterno: Dolmen a corridoio, Menhir antropomorfi,  Betili iconici e aniconici, circoli funerari. Le statuette della Dea Madre passarono dalle forme abbondanti e particolareggiate degli idoletti di Bonu Ighinu a una stilizzazione geometrica, con attributi femminili appena accennati e una caratteristica forma a croce. L’inizio della metallurgia mise in crisi il commercio dell’ossidiana, mettendo fine al lungo periodo di floridezza della Cultura di Ozieri. La successiva fase, denominata Sub Ozieri, a fronte del primo sviluppo della metallurgia con l’utilizzo del rame, mostrò un impoverimento nella ricerca estetica.

L’età dei metalli produsse inevitabilmente un aumento dell’aggressività dei popoli, sia per le aumentate potenzialità offensive fornite dalla nuova tecnologia, sia per la necessità di garantirsi gli approvviggionamenti minerari. Difatti, con le culture di Filigosa (Macomer) e Abealzu (Osilo) le statue-menhir assunsero prerogative militaresche, segno di un probabile culto funerario degli eroi-guerrieri. Alla fase finale di Abealzu, intorno alla metà del III millennio, è stata attribuita l’edificazione del monumento più enigmatico dell’antichità sarda, l’Altare a terrazza di Monte d’Accoddi, tra Sassari e Porto Torres, caratterizzato da evidenti suggestioni mesopotamiche. A conferma delle condizioni di generale belligeranza, con la Cultura di Monte Claro (Cagliari) apparvero le prime fortificazioni, come a Monte Baranta (Olmedo). Questa cultura si diffuse su tutto il territorio con aspetti localmente diversificati (facies) e svolse un ruolo fondamentale nell’evoluzione verso la Civiltà Nuragica. Successivamente, la Sardegna fu interessata dalla diffusione del Vaso Campaniforme, fenomeno che aveva già interessato buona parte del continente europeo, caratterizzato, oltreché dalla tipica forma a campana della produzione ceramica, dal gran numero di brassard, braccioli in pietra levigata utilizzati dagli arcieri per attutire il contraccolpo dell’arco, segno di un’evoluzione nelle tecniche belliche. La Cultura Campaniforme sarda si sviluppò in quella di Bonnanaro, in cui videro la luce protonuraghi e pseudonuraghi, mentre la tipologia dolmenica si evolse nelle Allée Couverte, stadio germinale delle Tombe dei Giganti. Per questi motivi, Bonnanaro è da considerarsi, più che una cultura prenuragica, la fase iniziale della Civiltà Nuragica.



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