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La scena musicale di Palermo

Creato il 15 febbraio 2012 da Mazzaforno @mazzaforno

Palermo, da un punto di vista musicale, ha sempre vissuto male il confronto con Catania. Il capoluogo etneo è sempre stato vivo e propositivo, ha proposto nel corso degli anni autori che sono, poi, diventati dei big della musica italiana. I primi nomi che vengono in mente sono Carmen Consoli, Mario Venuti, Franco Battiato, autori che hanno saputo coniugare ricercate sonorità e testi impegnativi.

Ma una nuova primavera musicale sembra arrivare anche a Palermo con una generazione di musicisti che sta raccogliendo adesso i raccolti di un lungo e, spesso, frustante investimento. Frustante perché Palermo vive da un bel po’ di tempo un lungo e deprimente abbandono infrastrutturale e culturale. Se mancano gli spazi per i grandi concerti come il Palasport, abbandonato a se stesso dopo i danni causati dal maltempo di qualche lustro fa, di certo la situazione non migliora per i gruppi che devono, invece, farsi conoscere. La città sembra addormentata, sembra vivere in un lungo letargo culturale che investe non solo la cultura cosiddetta alta ma anche quella popolare. Le istituzioni latitano e sembrano indifferenti: la città non è così cool come dichiaravano, invece, certi manifesti pagati dai contribuenti e fatti appendere qualche anno fa da un caro ed amatissimo sindaco.

Oggi chi vuole suonare lo fa in sale prova arrangiate alla meglio. Molto spesso si tratta di magazzini, di garage privati risistemati alla bell’e meglio. I pochi locali dove esibirsi sono, oggi, i Candelai, il Palab, il Jackass e poco altro. Più spesso, se non si vuole rimanere nei confini isolani, si preferisce andare appunto a Catania al The Cave Studio, uno dei luoghi più amati dell’indie siciliano, a dimostrazione di quanto, invece, la città che vive ai piedi dell’Etna sia più attenta agli aspetti culturali. Molto più spesso, invece, si preferisce attraversare lo Stretto ed i confini dello Stivale.

Nonostante tutto, però, a Palermo stanno nascendo fenomeni sempre meno underground. Due anni fa i Pan del Diavolo, con il loro folk, si sono fatti conoscere con il loro lavoro “Sono all’osso“: i richiami a Rino Gaetano si mescolavano con una rabbia punk.

Di Martino, invece, inserendosi nella tradizione cantautoriale italiana, si è affacciato alla ribalta nazionale lo scorso anno con il CD “Gli eroi non escono il sabato“, un lavoro che lui stesso definisce autobiografico.

Carnesi, invece, si è fatto produrre il suo album da Malintenti Dischi, etichetta palermitana che fa capo a Sergio Serradifalco degli Akkura e produttore.

Passando alle band, ricordiamo gli Hank, ottimo gruppo indie – pop frenetico e grottesco. Il loro leader, Francesco Pintaudi, lamenta assieme a Carnesi, il venire meno di parecchi locali, “si sta creando un fossato tra quelli che suonano fuori città e quelli che hanno smesso perché magari hanno raccolto poco“.

I Second Grace appartengono a quella massa di musicisti che ha preferito fare il grande passo ed hanno cominciato a fare tour internazionali in Germania, USA, Messico, Olanda. La loro natura nomade si è manifestata nell’ultimo album “Rooms”, lavoro che manifesta un’anima acustica ed uno spirito zingaro guardando sia all’America sia all’Africa.

I Waines, invece, hanno portato la loro musica in giro per l’Europa. Il cantante, Fabio Rizzo alterna la sua attività di musicista a quella di produttore con l’etichetta 800A Records.

Rientrano nella scena sperimentale due autori particolarmente innovati come Herself e Marco Monterosso

Herself, pseudonimo di Gioele Valenti, oltre che musicista anche scrittore, musica sonorità folk a bassa fedeltà ispirandosi alla tradizione cantautoriale americana. Il suo ultimo lavoro, appunto Herself, riesce a mescolare una parte sporca, registrata da solo in casa ad un’altra che è nata in uno studio di registrazione.


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