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La scienza in cucina – Essicazione

Creato il 22 aprile 2014 da Narratore @Narratore74

tutori-della-scienzaSapete, a volte non si riflette sulle cose fino a quando qualcuno non ci viene a dire come farlo. Stavolta è toccato a Gianluca Santini, con la sua iniziativa, Tutori della Scienza, a spingermi a esaminare quello che normalmente faccio ogni giorno sotto un’ottica differente.
La sua idea di parlare di scienza, come divulgazione portata avanti nel proprio piccolo, è di per se geniale. Perché la scienza è ovunque, anche nelle abitudini di tutti i giorni, e visto che il mio lavoro si basa quasi esclusivamente su fenomeni fisici o chimici, prendere la palla al balzo è stato davvero facile.

Il problema è che una volta aperto il vaso, non sai quello che può uscirne.
Da un’idea ne sono nate almeno altre due valide, perciò ho deciso di utilizzare l’iniziativa di Gianluca per creare una nuova rubrica, in cui parlerò, di volta in volta, di vari aspetti della cucina (e del cucinare) per quel poco che ho imparato da quando sono dietro ai fornelli.

Ogni commento o feedback sarà gradito, di imparare non si finisce mai…

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La scienza in cucina è onnipresente, fin dalle prime fasi che compongono la preparazione di qualsiasi piatto.
Quindi non solo cottura, che rimane uno dei processi di trasformazione maggiormente utilizzato, ma anche conservazione, pulitura e via dicendo.
Prendete l’esempio della mela: se la tagliamo e lasciamo che la parte esposta rimanga a contatto con l’aria, la troveremo, dopo pochi minuti, annerita, scura, fino a diventare di un marrone marcato dopo qualche ora. Questo in realtà non avviene per colpa dell’aria (componente comunque fondamentale per l’avvio del processo) ma bensì grazie a un enzima contenuto nelle cellule della mela, la tirosinasi, in grado di produrre melanina una volta tagliata. Infatti, se utilizziamo del succo di limone (in grado di abbassare il PH) o eliminando il contatto con l’aria (attraverso gelatine o metodi di sottovuoto) la nostra mela rimarrà così com’era una volta aperta.
Molti ortaggi o frutti contengono tirosinasi, ecco perché dopo averli tagliati, prima di ammuffire o seccare, assumono quella colorazione poco invitante.Questo ci pone costantemente alla ricerca di un metodo per conservare il cibo. I vari sistemi che possiamo utilizzare si riducono, nella maggior parte dei casi, ai tre principali: essiccazione, surgelazione e cottura, spesso utilizzati anche in combinazione fra di loro.

L’essiccazione è una delle più antiche, ancora oggi utilizzata per la produzione e la vendita di molti generi alimentari. Il principio è semplice: abbassare il rapporto fra materia solida e materia liquidia.
Prendiamo in esame la mela di prima: l’avete appena tagliata e adesso avete diverse possibilità a vostra scelta. Mangiarla subito rimane l’azione migliore, visto che dopo un qualsiasi trattamento, per quanto bene venga fatto, le proprietà nutritive caleranno in ogni caso.
Ma se voleste conservarla il metodo migliore potrebbe sarebbe proprio l’essiccazione, e questa può avvenire in tre modalità, ben differenti fra loro ma comunque mirate allo stesso scopo.

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La potreste irradiare di calore mediante un flusso costante di aria calda (metodo più diffuso), che permetta allo stesso tempo di far evaporare l’acqua contenuta nella mela e di disperdere il vapore che si verrebbe a formare.
Oppure potreste bombardarla di radiazioni (per esempio utilizzando un forno a microonde), ma questo è un metodo poco utilizzato perché le radiazioni indotte provocherebbero, oltre che l’essiccamento, anche una modifica sostanziale alla struttura dell’alimento, tutto però con un dispendio minore di tempo.
O infine potreste metterla a contatto con una fonte di calore costante e prolungata (una pietra riscaldata, o semplicemente al sole su un panno asciutto). Questo è il sistema più lento e quindi anche questo meno preferibile al primo, che garantisce un risultato ottimale.

L’essiccazione è un processo delicato, in cui gli equilibri sono da regolare in maniera pressoché perfetta.
Il primo passo consiste nel portare l’alimento a una temperatura elevata, a volte anche sopra i 150°. Questo permette all’acqua contenuta all’interno di spingersi verso l’esterno, utilizzando i cunicoli naturali, fino a  fuoriuscire trasformandosi in vapore. Ma ad un certo punto, la parte esterna, quella a contatto primario con il calore, subisce una modifica. I cunicoli si restringono, fino a chiudersi completamente, impedendo al processo di arrivare a termine.
Quando questo avviene la temperatura deve subire un drastico calo, spesso portandola a livello ambientale. Questa fase è più lenta perché l’acqua residua, non potendo più sfruttare i cunicoli, deve uscire adattandosi alla microporosità dell’alimento.

Ovviamente bisogna anche assicurarsi che l’ambiente in cui effettuiamo questa procedura sia il meno umido possibile (10-20% al massimo).

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Di cose da dire ce ne sarebbero parecchie altre; andare a fondo di alcuni passaggi, vedere come si trasforma l’alimento e, nel caso, constatare quali differenze si vengono a creare (a volte, permanenti), ma visto che non sto scrivendo un trattato, e questo è solo il primo articolo, mi fermo qui.
La prossima volta parleremo di congelamento e surgelazione, e delle loro principali caratteristiche.


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