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La Scomparsa di Patò

Creato il 24 febbraio 2012 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

La Scomparsa di Patò

 

Anno: 2010

Distribuzione: Emme Cinematografica

Durata: 98’

Genere: Drammatico

Nazionalità: Italia

Regia: Rocco Mortelliti

È il 1890. Nell’immaginaria città di Vigàta sta per essere messo in scena, come ogni anno durante il Venerdì Santo, il “Mortorio”, vale a dire la Passione di Cristo. Non tutti i dilettanti attori che vi si cimentano possono tuttavia vantare un nutrito gruppo di ammiratori come Antonio Patò, alias Giuda, direttore della sede locale della banca di Trinacria. A lui si deve, anno dopo anno, l’acme della rappresentazione, l’impiccagione, momento in cui, accompagnato dagli improperi degli astanti, il protagonista deve lasciarsi cadere in una botola costruita ad hoc. Lapalissiano, il titolo la dice lunga e suggerisce che stavolta qualcosa non quadra. Al termine del ‘mortorio’, infatti, fra i più scaltri c’è già chi allude alla morte del malcapitato, chi alla sua fuga. Del resto si sa, il titolare di una banca fa sempre gola e con la mafia in giro mai dire mai; intanto la gente mormora…

A fare luce sul caso saranno i due bislacchi investigatori incarnati da Nino Frassica e Maurizio Casagrande, appartenenti rispettivamente alla schiera dei Carabinieri e alla PS. I due dovranno muoversi dentro la scena ricomponendone i cocci tra mille difficoltà e ostacoli non senza ostentare le reciproche inimicizie. Qui il regista Rocco Mortelliti apporta la sua personale variazione al romanzo mutando la provenienza di uno dei due personaggi dal sud al nord (la Napoli di fine ottocento, centro economico e culturale) per inasprire i toni dell’indagine-competizione. Per il resto, sebbene la sceneggiatura sia stata scritta da Mortelliti e Maurizio Nichetti, l’ossatura del film proviene dal lavoro di Camilleri e a questo rimane fedele. Ma cosa vuole rappresentare Camilleri dietro la maschera di Patò? Un uomo di malaffare capace di arrivare a truffare persino la mafia o il paradosso di quelle indagini parallele e inconcludenti, come se ne vedono spesso, di poliziotti che odiano i carabinieri? Patò è una figura metaforica, il simulacro di tutte le ipocrisie e dei secolari ingranaggi di un Paese diviso a metà, fra nord, sud e poi in città e città.

La Scomparsa di Patò

Ma tornando ai ‘numeri’ del film, dopo molteplici romanzi e fiction di montalbaniana memoria lo scrittore siciliano approda per la prima volta sul grande schermo con un’onesta trasposizione cinematografica operata da Mortelliti il quale può vantare, oltre al legame di sangue, una trentennale amicizia con Camilleri, suo maestro di teatro all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”. La narrazione è di tipo circolare e si chiude riallacciandosi con l’incipit iniziale, in pieno stile investigativo, risultando piacevolmente scorrevole, forse troppo poiché si giunge presto alla conclusione, sciogliendo anzitempo le trame che avvolgono il protagonista. Tuttavia, persiste nello spettatore la curiosità morbosa di carpire ogni dettaglio del caso, di rimanere incantato fino ai titoli di coda dove si può ascoltare “La canzone di Patò” musicata da Paola Ghigo. Sempre in tema di musicalità, il film è una vibrante polifonia di registri che variano dal burocratese al dialetto, proprio come l’originale testo camilleriano caratterizzato da un rigoglioso sperimentalismo linguistico. Curiosa persino la genesi del romanzo stesso che, come confidato dall’autore, deriva da un’altra opera siciliana: “A ciascuno il suo” di Leonardo Sciascia dove, tra le ultime righe, si accenna proprio alla scomparsa di un certo Patò.

La Scomparsa di Patò

Impeccabile la ricostruzione scenografica e la scelta degli interpreti provenienti dal palcoscenico, fra cui Flavio Bucci, Gilberto Idonea, Roberto Herlitzka, Simona Marchini e Giovanni Calcagno. Anche se a tener banco, durante i 98’ di pellicola, sono Nino Frassica e Maurizio Casagrande; dapprima in conflitto, in seguito alleati, tra un sopralluogo e un’incursione nei fatti sono essi a scandire con le loro deduzioni i ritmi del film. Tuttavia, sebbene rotondo il risultato in verità tradisce un imprint televisivo per le atmosfere e le scelte di regia che richiamano molte produzioni del piccolo schermo. Ma l’opera, realizzata in collaborazione con Rai Cinema e distribuita in sala da Emme Cinematografica dal 24 febbraio, pur essendo connotata dalle usuali tinte di giallo dell’autore di Montalbano, si rivela fortemente attuale per la denuncia dei misfatti all’italiana.

In un mondo dove non sempre la verità rende liberi, l’integerrimo scrittore afferma che “Patò è il ritratto dell’eterno farabutto, il tipico simbolo dell’Italia oltre che del Meridione. Per capirlo basta sfogliare i giornali. Inevitabile ogni riferimento alla mafia contro la quale vale ancora la pena lottare, anche se spesso nel nostro Paese a mancare è la volontà politica di combatterla”.

G. M. Ireneo Alessi


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