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La sera domenicale

Creato il 24 luglio 2011 da Lucas
La sera domenicaleA Filippo: lui sa chi è, lui sa perchéLo so: lo spazio di un post esige una misura contenuta, altrimenti la lettura si affatica e il lettore giustamente rinuncia; a meno che il blogger non sia capace di tenere il lettore incollato fino in fondo, fino all'ultima riga.
Ora, dato che ciò che andrò sotto a riportare non è mio, ma di quella magnifica scrittrice che è Elsa Morante, vi prego di leggere tutto il componimento poetico, tutto.
Sappiate che l'ho trascritto io, che non l'ho copiaincollato da qualche parte. Per cui, anche per gratificare questa mia "fatica", vi ri-prego (e che il mio prego valga mille, come disse Dante) di andare fino in fondo, fino all'ultimo verso della domenica morantiana.
Leggendo vi sentirete trascinati in un gorgo di preveggenza, di chiarificazione di eventi umani che ci scuotono, e il pensiero vedrete dove correrà. Ma troverà rifugio, statene certi.

Per il dolore delle corsie malatee di tutte le mura carcerariee dei campi spinati, dei forzati e dei loro guardiani,e dei forni e delle Siberie e dei mattatoie delle marce e delle solitudini e delle intossicazioni e dei suicidie i sussulti della concezione e il sapore dolciastro del seme e delle morti,per il corpo innumerevole del doloreloro e mio,oggi io ributto la ragione, maestàche nega l'ultima grazia,e passo la mia domenica con la demenza.O preghiera trafitta dell'elevazione,io rivendico per me la colpa dell'offesanel corpo vile.Stàmpami nella mente malcresciutala tua grazia. Io ti ricevo.
E ricomincia la piccola strage.Il sudore la nausea il freddo dei polpastrelli l'agonia delle ossae la ridda delle astrazioni meravigliosenell'orrore della scarnificazione.La solita pavonessa funesta detta Sheerazadespiega la sua ruota di trafitture,piume e flore subito pietrificatenella vertigine dei colori contro natura, linciaggio lacerantedi sassi puntuti. Nessuna via di fuga.La gamma dell'illimitato è un'altra legge carcerariapiù perversa di ogni limite. Ma ancoradi là da un'era glaciale la norma quotidianasi riaffaccia a intervalli col suo povero viso domesticomentre la mescolanza dei regni della naturascioglie le vene a ondate come il primo mestruo infantilefinché la linfa è bruciata. La febbre carnale è consumata.La coscienza è ormai solo una tignola che batte nel buio micidialein cerca di un filo di sostanza. L'estate è morta.Addio addio recapiti e indirizzi papi bestiari e numerazioni,Via della Scimmia, la Navona, Avenue Americas.Addio misure, direzioni, cinque sensi. Addio doveri servi e diritti servi e giudizi servi.Rifùgiati alla cieca dall'altra parte, inferi o limbi non importa,piuttosto che ritrovarti nel tuo domicilio laidodove ti schiacci fra le pareti bruttate dalle tele dipinteche si riconoscono stracci e polveri di Sindoni degradate.Il pavimento è un fango sanguinoso che ribollealle stanze,, ossari che si sfanno, nell'ultimo balenodi un piatto d'ottone deformato, dove i limonisi gonfiano a bolle di plastica. E dallo specchioti fissa con le occhiaie polverose qualcosa di estraneo ma pureprossimo intimo, squama oscura di qua da ogni incarnazione,che nega anche lo scheletro e tutta la vicendadelle genesi e delle epifaniee dei sepolcri e delle pasque. Non tentare l'itinerariostorpio e rovinoso della scala, che per te è un'ascensione di secoli,e di sopra e di sotto c'è sempre l'inferno.Il cielo decaduto è la bassa tenda cenciosadel lazzaretto terrestre. E il flauto mozartianoè un saltarello maligno, che ti ribattefin dentro il bulbo dell'occhio la sua triviale mimicadi un'aritmetica ossessiva che non significa altro...Nessun cielo ulteriore si scopre. Non s'apre il loto dei mille petali.Tu sei tutta qui. E non c'è altro.Assisti a questo. E cessa di chiamareamanti morti, madri morte.Denudàti, più poveri ancora di te, loro non frequentano questané altre dimensioni. Ultima loro dimoraresta soltanto la tua memoria.
Memoria, memoria, casa di penadove per cameroni e ballatoi desertiun fragore di altoparlanti non cessa di ripetere(il meccanismo s'è incantato) sempre il punto amarodegli Elì Elì senza risposta. L'urlo del ragazzoche precipita accecato dal male sacro.Il giovane assassino che smania nel folle dormitorio.La mozza litania cristiana nel depositodell'ospedale, intorno alla vecchia ebrea mortache scostò la croce con le sue manine deliranti.SENZA I CONFORTI DELLA RELIGIONE. Questa casa è piena di sanguema il sangue stesso, tutti i sangui, non sono che vapori larvaliconformi alla mente che li testimonia.E quando per te venga l'ora del requiem, così sarà per quelle grida.La domenica sconsacrata ormai declinale lune della peste sono giù calantila siepe spinata rigermoglia, i tuoi sensi scampanano a cinque voci.Riaffréttati, riaffréttati all'incontro dei tuoi poveri domani consuetie del tuo solito corpo morituro.È l'ora di cena. O fame di vita, nùtritiancora alla sostanza quotidiana delle stragi.Rinasci alle forme e confidenze e cori arbitrarialla coscienzaalla saluteall'ordine delle dateal tuo posto.
Nessuna Rivelazione (Lo spettacolo, anche illegale,dipende sempre dalla fabbrica collettiva degli arbitrii).Nessun peccato (La macchina architettata per il supplizionon ha colpa dei supplizi, o poveri peccatori).E nessuna grazia speciale.(Unica grazia comune è la pazienzafino all'amen della consumazione).Vàttene contenta. Assolta, assolta, benché recidiva.Buona sera, buona sera.Anche questa domenica è passata.
Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, Einaudi, Torino 1968

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