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La signora ammazzatutti

Creato il 21 luglio 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

La signora ammazzatutti

Seppure protagonista e prima donna indiscussa, tuttavia Beverly Sutphin (Kathleen Turner) rimane una psicopatica che è meglio non contraddire mai. Anzi l’ideale sarebbe non incontrarla proprio.

Basta infatti un piccolo screzio – come non riavvolgere le videocassette del negozio dove lavora il figlio, oppure rovinarle una gita fuori città convocando il marito, dentista, per una finta emergenza – ed ecco che l’amorevole e tipica casalinga americana si trasforma in un serial killer inarrestabile.

Sembra infatti un terminator, in alcuni frangenti, questa donna che, coltello alla mano, corre veloce quanto un ragazzo, salta staccionate, non è mai in affanno e ha i capelli sempre in ordine. Tutti indizi di una ironia di fondo per alcuni talmente esagerata da finire in macchietta.

E forse Beverly è troppo matta. Kathleen Turner è un’attrice eccezionale, riesce a restituire allo schermo la psicopatica definitiva. Resta il dubbio che la poca consapevolezza del personaggio – le basta davvero pochissimo per trovare un’arma disponibile e ammazzare – possa sminuirne le imprese sanguinolente, e di conseguenza sfavorire il guilty pleasure dello spettatore, a vantaggio della compassione per una donna malata di mente. Aspetto che poco si sposa con le letture di Beverly, quelle sì scelte con cognizione di causa: biografie e memorie di assassini seriali famosi.

La signora ammazzatutti

Il film di John Waters, però, rimane una godibilissima commedia nera, che non risparmia frecciatine alla borghesia, e che riesce persino in un gioco metacinematografico.

Le didascalie iniziali che rimandano a una storia vera, e persino data e ora precisa che appaiono per ogni omicidio commesso, non sono altro che invenzioni pure. La storia vera non esiste. All’epoca tutto si giustificò come trovata pubblicitaria. Ma cosa non lo è. D’altra parte è ormai conclamato il filone ispirato a oppure tratto da, e non si dica che queste avvertenze non siano una questione di marketing.

Alla fine ci sente tutti come la famiglia di Beverly: le si vuole bene, in quanto madre e moglie, durante i pranzi perfetti, le discussioni di interesse generale, la vita coniugale di due sposi ormai maturi; se non fosse che ormai si è a conoscenza di quella seconda metà assassina, pronta a emergere da un momento all’altro.

Marco Parlato


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