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La sindrome della Camusso

Creato il 04 gennaio 2012 da Faustodesiderio

C’è chi dice no. Chi è? La Cgil con Susanna Camusso. Nostra signora del sindacato non vuole sedersi a un tavolo con il governo per un colloquio bilaterale ossia non vuole sedersi faccia a faccia con Elsa Fornero, nostra signora del Welfare, e discutere il da farsi e non da farsi in materia di ammortizzatori sociali, contratti nazionali e territoriali, di occupati e disoccupati e di tutto quanto riguarda il lavoro e la sua incentivazione per far ripartire l’Italia. La Camusso vuole andare sì a discutere ma vuole farlo insieme con gli altri tre più importanti sindacati: Cisl, Uil e Ugl. Dice, la Camusso, che quello del governo è ancora il “metodo Sacconi” che parlava con tutti ma non con la Cgil così mentre tutti apparivano buoni la Cgil faceva la parte dei cattivi. Ma è vera questa lettura della segreteria della Cgil?

In realtà, il “metodo Sacconi” è diventato per la Camusso la “sindrome Sacconi”: la Cgil ne soffre ancora, ne è praticamente prigioniera a tal punto da somatizzarle. Non è solo il governo, infatti, ad aver detto ai sindacati “venite, parliamo e facciamo presto che non c’è tempo da perdere”, anche il presidente della Repubblica lo ha fatto a più riprese: lo ha fatto in modo solenne nel tradizionale discorso di San Silvestro facendo appello al senso di responsabilità e alla stessa storia del sindacalismo, ed è tornato a battere sullo stesso tasto anche ieri dicendo “vanno rivisti gli ammortizzatori sociali”. Ma come si fa a rivedere insieme gli ammortizzatori sociali se la Cgil prende cappello e dice “no, non vogliamo incontri bilaterali ma corali”? Se si è invitati a casa di qualcuno non si dice “vengo a condizione di venire insieme a tutti gli altri” ma o si va o si sta a casa assumendosi la responsabilità del diniego. Intrappolata ancora mentalmente nella “sindrome Sacconi” la Camusso sta facendo prima di tutto la figura della signora poco cortese che si rifiuta di parlare con chi la sta invitando ad una conversazione fattiva sull’Italia. Non è detto che la conversazione debba giungere a buon fine, ma è auspicabile che la Cgil cambi atteggiamento e si più disponibile al dialogo e al confronto che sono i prerequisiti per decidere. Certo è che se dovesse scegliere di stare alla finestra, allora, non potrebbe poi gridare all’esclusione perché è evidente a tutti che prima ancora di iniziare a discutere, la Cgil si è già tirata fuori e auto-esclusa.

La storia del governo Monti è iniziata con il passo indietro dei partiti. Preso atto della loro inadeguatezza a formare un esecutivo nuovo per dare all’Europa e al mondo le risposte che da anni tutti, mercati compresi, si attendevano dall’Italia, i partiti hanno scelto responsabilmente di far funzionare il Parlamento dando la fiducia al governo Monti che ha presentato un programma di risanamento dei conti pubblici sulla base delle richieste avanzate dall’Europa all’Italia e che i governi italiani precedenti già conoscevano per filo e per segno ma non avevano mai adempiuto ai loro doveri comunitari. Su questa falsariga possiamo dire che ora il passo indietro e l’assunzione di responsabilità tocca alla parti sociali, Confindustria e sindacati. Il secondo tempo dell’azione di governo, una volta messi i conti pubblici in sicurezza, si sposta sul versante della crescita e dell’economia reale. E’ su questo terreno al contempo economico e sociale che le “parti” devono dare il loro contributo ognuno facendo  – come ha ripetuto Napolitano -  la propria “parte”. Se la Camusso la vorrà fare seduta o in piedi faccia lei, importante è che la faccia.

tratto da Liberal del 4 gennaio 2012



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