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La sindrome di Caligola

Creato il 24 agosto 2011 da Casarrubea
La sindrome di Caligola
Caligola

Presi singolarmente, alcuni potrebbero rendersi utili in qualche colonia estiva. Messi assieme costituiscono un pericolo pubblico. Il pericolo deriva dall’ignoranza che fa coppia costante con l’arroganza. La prima è direttamente proporzionale alla seconda ed entrambe hanno come effetto l’inerzia. Cioè il non far nulla. Attività disdicevole nella cosa pubblica o, per meglio dire, nell’amministrazione che diventa fannullona, distratta, scialacquatrice e allegra anche in tempo di crisi. Tutto per colpa delle cosiddette mele marce, della frutta bacata.

Ora se un organismo è con il verme dentro, l’animale lo caratterizza tutto e se uno scialacqua, tutti diventano scialacquatori. La cosa si aggrava con il denaro pubblico, naturalmente. Mai con quello delle tasche dei paperoni.

In considerazione degli effetti collaterali, questo sarebbe il danno minore se Partinico fosse, come Verbania Intra, o Stresa sul lago Maggiore, o una comunità balneare del nostro Bel Paese. Ma, per sua sventura, si trova in Sicilia e per giunta a mille anni luce dalla vicinissima Alcamo, e persino da paeselli come Trappeto e Balestrate, oggi ridenti cittadine della nostra costa. Non sembri un paradosso, ma tra questi centri, grandi o piccoli che siano, e il nostro c’è un abisso. Lì, ad esempio, riscontri allegria, e gli abitanti non conoscono più un comportamento anacronistico come l’annacata. A Partinico, invece, tira sempre aria di funerale e quel portamento è non solo assai diffuso, ma persiste come virtù prescelta a stile di vita.

Si annacano molte persone quando passeggiano e si annacano i loro rappresentanti al Comune, quando amministrano. Così, quest’atto connotativo corrisponde in pieno con il massimo risparmio di energie, l’afa, l’abbandono e l’ozio, il padre dei vizi. 

Ad aggravare il quadro, si aggiunge un’altra piccola questione: la mafia. Un fenomeno complesso che spiega tante cose. Tra le caratteristiche che hanno i mafiosi, ad esempio, una, determinante, è quella di mediare. La mediazione è la cosa più naturale che un parassita possa fare. Il pizzo, inventato da don Vito Cascio Ferro alla fine dell’Ottocento, in quel di Bisacquino, e poi diffuso su scala planetaria, ne è un esempio.

Il mafioso che si cimenta con questo lavoro modulato dalle zecche, non fa altro che mediare tra chi lavora e produce e la società, promettendo servizi che spettano invece allo Stato. Il mafioso media tra Stato e produzione. A costo zero, ricava lauti introiti.

Dalla dea mediazione derivano universi culturali complessi e persino i comportamenti individuali e collettivi. Falcone, primo tra tutti, ci mise in guardia. Una cosa è la mafia e altra cosa è la mafiosità. Allo stesso modo una cosa è l’atto criminale o l’associazione a delinquere e altra cosa è il comportamento sociale diffuso. Ma una società che volesse cambiare dovrebbe cominciare a cambiare i suoi modelli comportamentali. O no?

L’annacata è una mediazione tra chi ti dà una spinta e l’ambiente circostante. E’ il movimento della naca, la culla dove nelle società contadine le madri tenevano i neonati dondolandoli come se passeggiassero, ma lasciandoli di fatto fermi in un punto. Appendevano le nache dovunque. Sopra gli alti letti matrimoniali, su due chiodi tra una parete e l’altra, ecc. O la ricavavano su un rudimentale letto a dondolo.

Non pensiamo che sia un salto arbitrario ritenere che esistano forti correlazioni tra l’inerzia sociale e quella espressa da certi pubblici amministratori. Anche loro si agitano con il risultato finale di restare sempre fermi. O peggio, di distruggere, con la loro inerzia, il mosaico dei valori su cui affondano le loro radici le nostre storie, ciò che siamo, come siamo stati.

La presenza di qualche assessore contribuisce a dare alla giunta comunale che abbiamo  l’idea che si muova, che stia facendo qualcosa. L’effetto ottico del movimento fa a pugni con la triste realtà. Tutto è mantenuto rigorosamente fermo, oscillante sul suo asse principale: l’inerzia più totale. O, peggio, la disattenzione sul processo distruttivo che investe, giorno dopo giorno, il nostro patrimonio storico, urbanistico, architettonico, antropologico, ideale. Nella totale privazione di futuro delle nuove generazioni. E delle presenti.

C’è da sperare che qualcuno ponga mano a qualche rimedio. Ma l’assessore alla pubblica istruzione, ad esempio, preposto alla questione, sembra in tutt’altre faccende affaccendato. A tutto pensa, tranne che a occuparsi di istruzione. Cioè di scuole, di progetti, di cultura e di memoria, di ripresa delle nostre tradizioni. Predilige le attività ludico-estive, convinto, forse, che il popolo si governa con feste farina e forca, come pensavano i napoletani al tempo di re Ferdinando I di Borbone. Nessuno sa quanto pagano i partinicesi per simili programmi di distruzione e nessuno può immaginare il grave miscuglio di sacro e di profano che l’assessore riesce a combinare per mettere assieme Madonne e cantanti, programmi festaioli locali e festival di San Remo. Tant’è che tutti i gruppi consiliari gli hanno chiesto di fornire un cortese resoconto dei costi da lui sostenuti per quella che egli chiama estate partinicese. Già, l’estate per i partinicesi la fa l’assessore e non madre natura con le sue stagioni. L’assessore vi imprime il suo suggello di ceralacca, le dà il timbro della gaiezza, la rende più viva e interessante. Non è la natura che ci pensa. E’ lui, l’assessore, a produrre l’effetto creativo del programma estivo. Si è fissato tanto con questo suo presunto potere divino che pare si possa definire una nuova casistica di afflitti. Gli ammalati con la sindrome di un nuovo malanno: quello dell’imperatore Caligola che, succeduto a Tiberio, dimostrò una concezione assolutistica del potere, imponendo le sue stravaganze, dandosi a pazze spese e condannando il prossimo in modo arbitrario. Piace la cosa ai sacri congregati della Madonna del Ponte che si sono dati da fare per raccogliere fondi per un cantante di San Remo? O l’assessore ha scambiato la città dei fiori per un santo venuto in persona a Partinico per perorare a suo favore un posticino in paradiso nelle prossime elezioni comunali? Ecco perché, per fare spazio al supposto santo, si è pure acconsentito che fosse tagliata una vecchia palma che da lungo tempo se ne stava tranquilla davanti al sagrato della Chiesa madre! Lì bisognava costruire un palco per il nuovo pellegrino di San Remo. E tra il santo e la palma c’era poco da fare questioni di lana caprina. Con la beata complicità di tutti.  Tanto c’è sempre un ragno rosso che rompe le palle.

Ma i vecchietti che sostano dalla mattina alla sera a piazza Duomo su quelle panchine che nessuno ha ancora capito come si siano difese dalle aggressioni del traffico, dicono nella loro ingenuità: – Ma è possibile che in tutto il territorio di Partinico nessuno sia riuscito a trovare un donatore di una nuova piccola palma da sostituire a quella “malata”? – Ed è possibile che delle due palme collocate davanti alla scalinata della Chiesa madre, una sia perfetta e l’altra così malata da essere soppressa? Una cosa analoga successe qualche tempo fa ai vecchi platani di via stazione. Sparirono d’un colpo da un giorno all’altro. E forse nessuno se ne è mai accorto.

E’ evidente che qui, a nientopoli, dove nulla si crea e tutto si distrugge, tutto è possibile.

GC

 


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