Magazine Diario personale

La smania

Da Silvia

La smania
La smania di vivere l'aveva travolta.
La smania di prendere, guardare, afferrare, cambiare.
Avrebbe voluto ancora più bellezza, sempre più bellezza.
Una vita da miserabili, non la voleva più.
La vita da miserabile l'avviliva, non era correlata alla sola mancanza di denaro,intorno a lei da troppo tempo si accumulava un'apatia purulenta, si respirava un'aria di morte, di assenza di energia, nessuna iniziativa, poca voglia.
Lei di voglia invece ne aveva moltissima e spesso la subiva, lasciava che le attraversasse il corpo e la testa, permetteva che la voglia la tramortisse, lasciandola stanca ed insoddisfatta.
Alcune mattine, prima dell'alba, la voglia la destava bruscamente.
Era un bel risveglio però, forte ma ricco, aprire gli occhi e goderne era così piacevole.
Si guardava i piedi fuori dalle coperte, li trovava pallidi ed eleganti, affusolati e femminili.
Poi c'erano le cavigle subito sopra a rovinare un pò il disegno della gamba, una gamba forte, massiccia, tonda.
Ogni giorno avrebbe voluto andare, partire, scoprire, leggere e guardare.
Era affamata,voleva creare con le mani, cucinare, camminare a lungo, prendersi tutto il tempo che invece non aveva mai.
Voleva arrivare a piedi fino al giornalaio, comprare il suo settimanale preferito, sedersi davanti ad una tazza calda di te', e metterci un'infinità a togliere il cellophane, ad annusarlo, a sfogliarlo, poi a leggerlo tutto, fino in fondo per una volta almeno.
Non voleva più orari ed impegni, ma solo tante cose da vivere, anche faticose, ma non obbligatorie, voleva cose belle per sè e per i suoi bambini.
Basta con quella corsa folle di ogni giorno, detestava l'idea di dover timbrare il proprio tempo, di lavorare con i piccoli pazienti con una durata esatta ed impersonale, qualcuno aveva bisogno di tempi più corti e malleabili, altri ancora necessitavano di un tempo più lungo, ma non importava a nessuno, ci si atteneva.
Attenersi l'annoiava, le toglieva la capacità di decidere, di distinguere, attenersi l'appiattiva.
A lei piaceva cogliere le differenze e regolarsi di conseguenza.
Voleva accoglienza e vicinanza, non vedeva quasi più negli occhi dei maestri e degli allenatori dei suoi figli, la passione, il passaggio, la testimonianza, vedeva solo la fabbrica, la folle fabbrica di bambini tutti scolarizzati, tutti a dorso, tutti a tuffarsi uno dopo l'altro, infondo,le pareva che nessuno li vedesse davvero.
Ci voleva tempo per guardare ed accorgersi, ci voleva pazienza e desiderio.
Lei voleva quella possibilità.
Ci si mandavano tantissimi messaggi in un giorno, un pò con chiunque e non ci si abbracciava quasi mai, non si andava più insieme da qualche parte, verso qualcosa.
La fame di momenti preziosi non si placava in lei, ne voleva di più, di meglio, di più intensi, di più veri.
Detestava il falso, il tanto per fare, il come si conviene.
Voleva brutalmente amare ed essere amata dalle sue amiche, dal suo uomo, dai propri bambini.
Avrebbe falciato convenzioni, luoghi comuni, banalità per balzare in piedi ed afferrare per sè, l'essenza dell'altro che le stava vicino.
"Guardami in faccia" le veniva da dire alle persone che aveva intorno, io sono qui, tu dove sei?
Molte le sembravano bugie, meccanismi di difesa, scarichi di coscienza, meschinerie.
Pensava che per il sublime avrebbe rischiato qualsiasi cosa, allontanando chi non voleva rischiare come lei.
La pochezza la sfiniva, la superficialità la rendeva aggressiva, era sempre più una belva intollerante, e la spinta a vivere davvero, la catapultava nel mondo.
Non iniziava davvero a fare l'amore perchè temeva il momento in cui sarebbe finito, allora languiva godendosi l'inizio, l'attesa, l'incontro.
L'affetto vero la scaldava fino in fondo alle ossa, le imitazioni o le brutte copie la raggelavano.
Diventava una signora con la foga di una bambina.
Iniziava a mettere i tacchi e voleva fare capriole.
Curava gli altri come solo un'adulta sa fare e contemporaneamente si sarebbe rannicchiata per giorni e notti dentro l'abbraccio caldo dell'uomo che sapeva capire la sua lingua, che parlava le sue stesse parole, che in fin dei conti la voleva com'era.
Stava invecchiando ed aveva sempre più voglia di vivere.

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