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La soglia oltre cui nasce una stella

Creato il 10 aprile 2014 da Media Inaf

LH_95Da dove vengono le stelle? Dietro a questa domanda, tra le più antiche e ancestrali che l’uomo si sia mai posto, oggi ci sono anni e anni di lavoro da parte degli scienziati di tutto il mondo. E da quando il primo telescopio fu puntato sul manto del cielo, moltissima è stata la strada fatta per capire l’origine e i meccanismi della formazione stellare.

Ora il mosaico si arricchisce di un altro piccolo tassello: un nuovo studio pubblicato stasera su Science ha individuato per la prima volta la soglia oltre la quale una nube molecolare, cioè l’accumulo di gas e polveri all’interno delle galassie, è in grado di dar vita a una stella.

Si tratta della cosiddetta soglia di densità, su cui gli astronomi stanno lavorando da un po’: la cosa certa è che la formazione stellare coinvolge una grande quantità di materia, in particolare gas, che per dare origine a una stella deve avere una densità sufficiente. Perché? Media INAF l’ha chiesto a Davide Elia, dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali.

“Le nubi di gas e polveri devono essere sufficientemente dense per far avvenire l’innesco del collasso gravitazionale, che determina la formazione delle stelle” spiega il ricercatore. “Infatti perché la gravità sia abbastanza, deve anche esserci una certa soglia di densità, superata la quale la nube può essere interessata da instabilità gravitazionale e quindi collasso. Queste sono le condizioni minime per la formazione delle stelle”.

Una densità, quella necessaria per il processo di nascita stellare, che però non ha nulla a che vedere con le misure familiari alla fisica terrestre.

“Noi parliamo di densità probabilmente inferiori al vuoto più spinto che si può ottenere sulla Terra” precisa Elia. “Si tratta di densità nell’ordine di 104 particelle per centimetro cubo: numeri bassissimi, che non si riuscirebbero mai a raggiungere in un laboratorio terrestre”.

Per lo spazio questa misura corrisponde invece a una densità decisamente elevata, abbastanza da innescare la formazione stellare. Ma fino ad ora non si era riusciti ad attribuire un numero preciso a questa soglia di densità.

“Ci sono stime varie e discordanti. I calcoli puramente teorici e le evidenze osservative spesso non sono in accordo” prosegue il ricercatore. “Questo perché le osservazioni fatte fino ad ora sono di carattere bidimensionale: si fa una mappa del cielo, che però non riesce a includere informazioni sulla materia lungo  la terza dimensione, la profondità. Quindi si può misurare solo la somma di tutta la materia che c’è entro una certa area del cielo. Una sorta di densità media, che però non corrisponde alla densità effettiva”.

Ed è proprio questo il punto su cui si differenzia la ricerca pubblicata da Science. Lo studio, la cui prima firma è Jouni Kainulainen del Max-Planck-Institute, propone un metodo innovativo per aggirare questo limite sull’assenza della terza dimensione.

“Hanno fatto un’operazione di deproiezione” spiega Elia. “In pratica hanno trasformato le informazioni bidimensionali in informazioni tridimensionali: questo ha permesso di passare dal punto di vista della cosiddetta densità di colonna (in 2D) a quello della densità di volume (in 3D).”

Un vero e proprio cambio di prospettiva, che ha permesso di misurare in centimetri cubi ciò che prima si poteva misurare solo in centimetri quadrati. I ricercatori hanno così identificato una funzione chiamata PDF (probability density function, ossia funzione di probabilità della densità) che definisce appunto la soglia del volume di densità oltre la quale può avvenire la produzione stellare.

Il prossimo passo sarà ora trovare delle evidenze sperimentali che confermino la soglia di densità teorizzata dallo studio su Science. Un obiettivo a cui sta lavorando lo stesso Davide Elia, che collabora con la missione Herschel dell’ESA, tra i cui obiettivi c’è anche studiare la formazione delle stelle e la loro interazione con le polveri interstellari.

“Il nostro approccio è complementare a quello descritto nello studio di Science” racconta l’astrofisico. “Va a indagare la struttura delle nubi non tanto per cercare le soglie di formazione stellare, quanto per estrarre dati osservabili e confrontarli ulteriormente con i modelli”.

I risultati di questo metodo compariranno in uno studio già accettato da Astrophysical Journal, che verrà pubblicato il 20 maggio.  E così il mosaico di conoscenze sulle stelle e i meccanismi della loro formazione si amplierà di un altro tassello.

Fonte: Media INAF | Scritto da Giulia Bonelli


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