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La Stampa: Polanski e le donne poco romantiche. Parola di fuggitivo.

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Su La Stampa del 26 maggio scorso uno dei tanti articoli sul Festival di Cannes ( molti più quelli di gossip che non di cinema, si intende ) racconta della splendida accoglienza riservata a Roman Polanski per il suo film in concorso “Venere in pelliccia”.

Già dal titolo, l’attenzione però è tutta rivolta a tutt’altro che la pellicola

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Sorvolando su ogni giudizio strettamente cinematografico sulla filmografia di Polanski, rapiscono l’attenzione alcune dichiarazioni del regista, fedelmente riportate dalla giornalista

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La Stampa, 26/05/2013

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Samantha Geimer nel 1977

La giornalista non commenta queste dichiarazioni, perchè si sa, dirà qualcuno, il giornalismo non è dare la propria opinione se non negli editoriali, bisogna solo riportare la notizia con stile british. Non è però nemmeno veicolare informazioni incomplete, manipolare il senso di una dichiarazione non fornendo tutti gli elementi necessari ad interpretarla. Ogni volta? Sì, ogni volta.

Così non ricordare a chi legge che chi pronuncia queste affermazioni – già di per sè stantie e banali – è un regista osannato dalla critica ( soprattutto di sinistra ) ma Polanski è anche tato accusato nel 1977  dello stupro di una ragazzina di tredici anni ( lui ne aveva più di 40 ) con l’ausilio di stupefacenti. Samantha Geimer, una giovanissima modella figlia di una conduttrice televisiva.
Il processo ridusse l’accusa “rapporto sessuale extramatrimoniale con persona minorenne” su spinta anche dello stesso avvocato della ragazzina, che preferì evitare di deporre pubblicamente in tribunale.  Polanski si dichiarò colpevole di aver compiuto un atto sessuale non lecito, salvandosi così dalla condanna per stupro.

Dal momento che la vittima era giovanissima, fu ordinata una perizia psichiatrica per Polanski per la quale fu detenuto per 90 giorni in California. Dopo soli 42 giorni, il regista venne rilasciato, consigliando la condizionale, ma il giudice non accettò la proposta e decretò che dovesse finire di scontare il mese e mezzo di detenzione previsto.

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Sicuro, ho drogato e stuprato una bambina.
Ma è stato secoli fa e sono talentuoso.

Roman Polanski quindi decise di scappare dagli USA rifugiandosi prima in Inghilterra, poi in Francia ed evitando da quel momento di tornare negli Stati Uniti o in quelle nazioni nelle quali rischierebbe l’estradizione.

Per anni quindi il regista ha vissuto serenamente in Europa, osannato dal pubblico e dall’intellighenzia che tutto sommato ne coglie quasi un lato romatico, titanico, di quella fuga, una solidarietà soprattutto maschile, un volerci passar sopra, fingere di poter essere cinici e intellettuali e poter dire: “non importa il passato di quest’uomo, ora fa il suo dovere di artista”.
Pochissimi di loro direbbero lo stesso di un uomo che dopo aver comiuto un reato anche minore, fosse condannato al carcere, scontasse la sua pena ( lui sì )  e poi cercasse di reinserirsi nella società.

Meglio essere tolleranti con un ricco cinematografaro con la passione per le bambine.

Nel 2009 si riapre la vicenda: Polański venne arrestato all’aereoporto di Zurigo in base al mandato di cattura internazionale emesso nel 2005 su richiesta delle autorità giudiziarie statunitensi, che riprende quello ancora in atto dal 1978.

La spada di Damocle della giustizia non aveva infatti frenato la vanità del regista dal recarsi in Svizzera per ritirare un premio alla carriera.
Ironia della sorte, una volta saputo della premiazione, gli USA avevano fatto domanda di estradizione.
Dopo soli due mesi di detenzione, il tribunale ha accolto il ricorso di Polanski concendendogli la pena domiciliare elettronicamente controllata e disponendo come ulteriori misure di garanzia il ritiro dei documenti di identità e una cauzione di 4,5 milioni di franchi svizzeri.

L’arresto di Polanski ha dato il la alla reazione del mondo del cinema: pochissime parole di condanna, nessuna vicinanza alla vittima, nessun riferimento alla vigliacca fuga e all’Europa colpevole di assistenza, tutt’altro. “Artisti” come Isabel Huppert, Milan Kundera, Salman Rushdie, Woody Allen, Martin Scorsese, Pedro Almodovar, ma anche il ministro della cultura francese, Mitterrand, hanno firmato una petizione a favore della liberazione di Polański.

Tra i più noti del cinema, solo Luc Besson è stato invece capace di far notare la gravità dell’accusa rivolta a Polanski, augurandosi l’uguaglianza di tutti davanti alla giustizia.

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Polanski a Cannes con la moglie, Emmanuelle Seigner, fedelissima al suo fianco nonostante le accuse di stupro. Ha dichiarato mesi fa di essere molto lusingata dal fatto che il fidanzato di sua figlia ( 19 anni ) la abbia definita una MILF.   Che bella famiglia.

Tutta questa storia non c’è nell’articolo, sarebbe quasi giusto se fosse un pezzo di cinema, se davvero parlasse del film e basta, solo quello, non si può mica uscire fuori tema.
Invece, l’articolo de La Stampa parla dell’opinione non richiesta di Polanski sulle donne di oggi.

Troppo poco romantiche, hanno già la parità, troppo mascolinizzate, sarà per quelle pillole di cui si imbottiscono ( quelle contraccettive ).

Considerando la veneranda età di Polanski, diciamo che si tratti di uno sbalzo arteriosclerotico, diciamo che non si sia reso conto che questa opinione è stata detta e ridetta dai peggiori amanti del patriarcato contemporaneo per giustificare un po’ tutti gli aspetti della vita maschile: la progressiva perdita di sicurezze dell’uomo che sarebbe alla base dei divorzi, dei tradimenti, delle violenze, dell’impotenza, dell’eiaculazione precoce, della mentalità reazionaria, magari per qualcuno anche della fame nel mondo.

Quello che stupisce è che una giornalista riporti questi vaneggiamenti senza metterli minimamente in relazione con il passato del regista, senza almeno evocare una possibile autoassoluzione tentata con queste argomentazioni, senza magari  dire che

no, non è colpa delle pillole, sono semplicemente finiti gli anni ’70 e stiamo provando a prenderci tutto, anche quella che un vecchio stupratore chiama “mascolinità”, cerchiamo semplicemente di essere noi stesse, di cercare la parità dei sessi, che no, ancora non c’è, ma è ovvio che un uomo accusato e poi fuggito per lo stupro di una tredicenne, queste sottigliezze non riesca a coglierle.

Il giornalismo non dà la propria opinione, oppure lo può fare su ogni più piccolo dettaglio degli scandali sessuali nostrani ed essere distratto sugli esteri?

Il giornalismo non dà la sua opinione, va bene.
Ma nemmeno deve per forza riportare ogni astrusa opinione altrui, solo per poter titolare ad effetto ed accaparrarsi qualche lettore in più.



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