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La storia di Pourì.

Creato il 22 novembre 2011 da Enricobo2
La storia di Pourì.Quella di Pourì è una storia più dura, anzi si fa anche un po' fatica a raccontarla, anche se in fondo è piuttosto frequente in questa parte del mondo. Certo non è facile capire cosa c'è dietro il sorriso triste di questa ragazza, che parla poco e non ha la stessa esuberanza allegra delle altre venditrici di collanine che popolano la grande spiaggia. La percorre ogni mattina avanti ed indietro, avvicinandosi agli scarsi turisti seduti davanti all'Oceano, con una specie di ritrosia non insistente e inconsueta e davanti ai dinieghi se ne va adagio, affondando i piedi nella sabbia umida quasi con fatica. E non certo a causa del fagottino che porta appeso alla schiena, due occhietti semichiusi di bimba che indovini dalle corte treccioline fermate da pallini colorate, che appoggiano due guanciotte piene sulla sicurezza della schiena materna. Ha sempre gli occhi tristi Pourì. E' quasi come se portasse un peso, di cui non ci si riesce a liberare mai, una sofferenza subita, resa ancor più dura dal fatto che non se ne può parlare. Pourì è una fulana magra, ma non così alta come lo sono di solito le donne peul, dalla pelle color nocciola chiaro e dal mento appuntito, reso scuro dal tatuaggio consueto presso la sua gente.  E' cresciuta in un villaggio di pastori, in mezzo alla brousse, di quelli con poche capanne che intravedi al di fuori della pista, quasi sempre semideserti, popolati di bambini e qualche vecchio, mentre le donne sono in giro a prendere l'acqua e gli uomini lontani, anche per mesi, con le loro mandrie di bianchi zebù dalle corna immense. 
Una infanzia serena, fatta solo di gioco e di aiuto ai lavori femminili, seguendo madre e zie attorno alle capanne quadrate dal tetto di paglia. Un giorno, la madre la prese per mano e disse che l'avrebbe portata a diventare grande, come devono fare tutte le brave ragazze, così avrebbe potuto trovare un bravo marito. Camminarono fino ad un piccolo villaggio vicino sotto il sole pesante dell'estate del sahel, ma Pourì non sentiva la fatica, era abituata a camminare a lungo quando accompagnava la madre al pozzo ed era anche un po' incuriosita per quanto sarebbe successo. Quando arrivarono alla capanna di frasche, era ormai passato mezzogiorno e la vecchia le fece entrare oltre la tenda. Accadde tutto in fretta. La madre ed un altra donna entrata alle sue spalle la tennero ferma con forza dopo averla stesa a terra e liberata della fascia di stoffa che ormai portava lunga fino ai piedi. La vecchia si mise tra le sue magre gambine tenendo nelle mani una scheggia di vetro con il bordo tagliente come un coltello. Sentì un dolore fortissimo mentre la vecchia la mutilava con cura. C'era sangue dappertutto, ma Pourì non si ricorda quasi nulla di quanto successe poi, quando le venne la febbre alta per l'infezione che per poco non se la portò via. Né del tanto dolore che venne dopo, specialmente quando arrivò sua figlia e alla fatica che fece per farsi strada in quei poveri tessuti induriti e cicatrizzati malamente. Ricorda solo il tradimento delle parole della madre e che, quando le chiese perché, le rispose: "Non vorrai essere una bikaloro, una donna priva di ogni maturità, come dicono i Bambara"; ma all'amica italiana con cui è riuscita a confidarsi, ha promesso, con una piega amara che intristiva ancora di più il suo piccolo viso: "Non lo farò mai alla mia bambina:"

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