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“La Terra, il Sangue, le Parole”: il conflitto israelo-palestinese attraverso gli occhi del professor Petermann e del generale Pistolese

Creato il 20 agosto 2015 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Due prospettive tanto autorevoli quanto differenti e ricche di spunti di riflessione vengono offerte dalle pagine dell’ultimo lavoro del professor Simon Petermann e del generale Pietro Pistolese La Terra, il Sangue e le Parole. Israele e Palestina: un percorso minato verso la pace (Stefano Termanini Editore, 25 euro). I due autori, coinvolti con vesti diverse in alcune missioni istituite nell’ambito delle varie fasi del conflitto israelo-palestinese, forniscono al lettore un mosaico di testimonianze sul campo che contribuiscono a dipingere il quadro complessivo dei temi centrali e più critici del conflitto e del “processo di pace”. Partendo dagli accordi di Oslo, le pagine ci conducono fino alla recente attualità delle operazioni militari israeliane a Gaza. Con un’amara osservazione: “Più di vent’anni dopo, in seguito a nuove missioni nella regione, e al momento di scrivere questo libro, la situazione è ancora in fase di stallo, la pace rimane un pio desiderio e ad essa, forse, credono ormai in pochi“.

La città di Hebron è senz’altro uno dei teatri più emblematici e significativi del libro, “microcosmo del conflitto” in cui, più di ogni altra area, gli elementi del dissidio si concentrano nei loro caratteri più evidenti. Con i suoi circa centoventimila abitanti palestinesi ed i seicento coloni ebrei che abitano il centro storico, è la città in cui la mattina del 25 febbraio del 1994, Baruck Goldstein, colono ebreo, sparò raffiche di mitra uccidendo ventinove arabi inginocchiati in preghiera alla Tomba del Patriarca. L’episodio, in quel frangente, con il rischio ulteriore di far deragliare il processo di Oslo da poco inaugurato, portò all’istituzione della Temporary International Presence in the City of Hebron (TIPH), di cui il generale Pietro Pistolese assunse il comando operativo. Una missione – iniziata ufficialmente l’8 maggio 1994 – in cui l’Europa “non colse l’occasione per dimostrare di essere un interlocutore internazionale capace di offrire un efficace contributo alla pace“, osserva il generale. Oltre all’Italia, infatti, solo Norvegia e Danimarca furono i paesi europei impegnati.

Il libro lega in una coerente trama temporale le esperienze dei due autori agli eventi del conflitto. Un riferimento obbligato sono i già citati accordi di Oslo, forse la fase più importante ed esemplificativa di un “processo di pace” mai sbocciato. Tra le tappe che si svilupparono sul canale norvegese vi è l’interim agreement, il c.d. Oslo II, firmato a Washington il 28 settembre 1995. L’accordo suddivideva, in attesa di un incontro di volontà sullo “status finale”, la Cisgiordania e Gaza in tre zone. Come ricorda Simon Petermann – professore emerito dell’Università di Liegi e Bruxelles – “chi si trovasse a passarvi (nei Territori Occupati), potrebbe veder a perdita d’occhio villaggi palestinesi ed insediamenti israeliani fittamente distribuiti come macchie su una pelle di leopardo. Gli abitati palestinesi sono come tante isole in un mare ostile fatto di insediamenti, coltivazioni, serre, impianti industriali e tante strade di aggiramento degli agglomerati palestinesi, per lo più poveri e disordinati“. Difficile, nella testimonianza del professore e contrariamente agli entusiasmi di Oslo, la realizzazione di uno stato palestinese: “non esiste tra questi ultimi continuità territoriale“.

Le Parole. Il titolo del libro include in maniera significativa la centralità – messa in evidenza dal professor Petermann – del tema della guerra parallela del linguaggio, del vocabolario, di termini e di accezioni semantiche che divengono automaticamente strumento e peculiarità politica. In questo ricco dizionario ecco che compaiono le espressioni “territori occupati”, “amministrazione civile”, “Cisgiordania”, “Giudea e Samaria”, “settler”, “coloni”, e su tutte la parola “terrorista”. Espressioni che identificano all’uso la posizione dell’interlocutore sul conflitto.

Il racconto non elude momenti che richiamano la ricchezza e le caratteristiche di un territorio segnato dalle divisioni. Come il ricordo evocato da Pistolese del Monastero Cremisan, vicino Betlemme. Il 24 aprile 2013, la Commissione Speciale Israeliana d’Appello per il sequestro della terra ha dato il via libera alla costruzione del muro di separazione che avrebbe sancito il distacco del monastero dalle terre agricole, che sarebbero andate allo stato d’Israele, limitando ai contadini la coltivazione dei campi. In visita a quel monastero, membri della European Electoral Unit – istituita per assistere nella preparazione e nello svolgimento delle prime elezioni nei Territori Occupati – tra cui il generale Pistolese, gustavano del marsala prodotto all’interno delle sue mura, nel freddo dicembre 1995. “Un collante straordinario” – ricorda il generale – per il gruppo degli osservatori europei. Le elezioni – che si svolgeranno il 20 gennaio 1996 – saranno vinte in maniera schiacciante dal leader di Fatah, Yasser Arafat, con l’88,2% dei voti.

Dalla visione istituzionale e militare, che non trascura il lato umano, del generale Pistolese, la lettura si imbatte, con cadenza regolare, nel ricco contributo accademico e geopolitico del prof. Petermann, che a più riprese offre al lettore i contenuti di alcune conversazioni avute con intellettuali e personalità politiche di varia estrazione, incontrate durante i suoi viaggi nella regione. Come nel 2008, quando il professore incontra casualmente nella sala d’attesa dell’ospedale Ichilov di Tel Aviv, Arieh “Lova” Eliav, personaggio di spicco della classe dirigente laburista israeliana, tenente colonnello dell’esercito e membro della Knesset per 18 anni, il quale entra nel cuore dell’ “impresa” sionista, offrendo al lettore un’ulteriore spunto di analisi: “Lo spirito pionieristico è stato sviato da questa lunga occupazione. Israele non è stato creato per dominare un altro popolo; oggi ci concentriamo su beni materiali, mentre prima privilegiavamo il lavoro e la spiritualità; l’occupante è più un colonizzatore che un pioniere. Si tratta di un rovesciamento dei valori sionisti“.

E scorrendo le pagine torna in primo piano la situazione critica della città di Hebron, per il cui status viene siglato un accordo il 12 gennaio 1997. Secondo le intese, la città viene divisa in due zone H1, comprendente l’80% della città, dove risiede la maggioranza palestinese e la zona H2 che comprende in pratica la città antica, dove risiedono gli insediamenti dei settler e circa ventimila palestinesi. “In pratica – si legge nel ricordo degli autori – l’imperativo della protezione dei settler impose limitazioni di circolazione per i palestinesi ai quali fu reso difficile l’accesso alla città“. Dopo il suo ritorno a Hebron nel gennaio del ’97, dopo l’istituzione della TIPH 2, il generale descrive una città frammentata in centotredici sbarramenti e divisa in due dall’Hebron Protocol.

L’inchiostro scorre sulla catena di bombe ed attentati che hanno colpito Israele a più riprese. Come quelli successivi all’elezione di Arafat, nel 1996, che colpirono le linee 18 e 19 dei bus a Gerusalemme causando decine di vittime tra gli israeliani. Oppure l’attentato al centro commerciale di Dizengoff, “proprio quando gli osservatori della Electoral Unit avevano appena fatto i bagagli all’inizio di quel febbraio del ’96“, osserva il generale Pistolese.

Le elezioni palestinesi del 25 gennaio 2006 senza dubbio rappresentano una delle tappe più importanti della storia recente della regione. La vittoria di Hamas certifica la divisione di una società palestinese frustrata dalle speranze disattese del processo di Oslo e dal peggioramento delle proprie condizioni di vita. Una divisione che sfocerà in una vera e propria guerra civile tra Fatah ed Hamas. Nel gennaio 2008, Leila Shahid, rappresentante dell’ANP presso l’Unione Europea, confida al professor Petermann la propria posizione manifestando all’accademico il bisogno di unità, perchè “il nazionalismo palestinese non può restare bicefalo per negoziare con Israele“.

“La Terra, il Sangue, le Parole” regala una narrazione fatta di ricordi, aneddoti, fotografie, testimonianze, fatti vissuti in prima linea, una cronaca non priva di osservazioni critiche. E di quesiti la cui risposta è lasciata ai prossimi capitoli di un conflitto senza fine. Pace a quali condizioni? Quali attori coinvolti? Riusciranno Stati Uniti ed Unione Europea a farsi reali promotori di un accordo? “Altrimenti non c’è altro avvenire possibile se non la guerra, una guerra che eternamente ricomincia“.

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