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La tv “verità”

Creato il 08 ottobre 2010 da Rooferguyxxunow

Oct 08, 10 La tv “verità”

Nel giugno del 1981 io avevo 8 mesi e poco più, eppure di Alfredo Rampi so tutto, quasi fossi stata in grado di comprendere cosa trasmettevano in tv in quei giorni. La risonanza mediatica – poi protratta nel tempo – che ebbe quel tristissimo episodio non aveva precedenti e solo a posteriori chi aveva deciso di trasmettere in diretta la tragedia si interrogò sulla legittimità di quella scelta. Ci si rese conto troppo tardi che non ci si era fermati in tempo, che ci si era lasciati trascinare.

Finalmente, a inizio anni ’90, arrivano le carte deontologiche a ricordare ai giornalisti i loro doveri morali, laddove il buon senso non arrivasse. Ha compiuto 20 anni proprio il 5 ottobre scorso la cosiddetta Carta di Treviso, siglata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti insieme alla Federazione Nazionale Stampa Italiana d’intesa con il Telefono Azzurro con l’intento di disciplinare il rapporto tra informazione e minori. In occasione del ventennale si è svolto il convegno “Sbatti il bimbo in prima pagina”, concluso con il proposito di costruire un laboratorio permanente per studiare nuove strategie di tutela del minore, rese necessarie dall’arrivo dei moderni strumenti tecnologici che hanno delineato i nuovi, attuali scenari di comunicazione.

Ironia della sorte, a poche ore dal dibattito sulla corretta informazione alla luce dell’avvento di mezzi di comunicazione innovativi, è di nuovo la televisione a dare triste spettacolo di sé: ancora una volta va in onda, in diretta, la tragedia. Si giunge così, durante una puntata di Chi l’ha visto?, al tremendo epilogo della vicenda di Sarah Scazzi.

Quanti passi avanti e quanti invece indietro sono stati fatti dalla tragedia di Vermicino? Non ne ho idea, io so soltanto che rabbrividisco. Sono rimasta sconvolta quando a poco meno di 11 anni ho visto i video dell’avvio dell’operazione Desert Storm, rimango esterrefatta quando direttori di telegiornale scelgono di trasmettere gli ultimi istanti di vita di una persona, decidendo al tempo stesso di inchinarsi al sensazionalismo brutale utile solo ai numeri dell’Auditel. Ho ancora un brivido che mi sale su per la schiena se ripenso al momento in cui ho cercato affannosamente il telecomando per spegnere la televisione mercoledì, nell’istante esatto in cui ho capito cosa stava per accadere in quella trasmissione che avevo intercettato per caso durante lo zapping da noia.

Siamo tutti vittime della stessa macchina. La macchina del dolore, che si nutre di casi umani e in cambio macina numeri dell’Auditel, quelli che fanno la gioia e il fatturato dei pubblicitari. Loro, i burattinai. Gli altri – giornalisti, pubblico, ospiti – i burattini. Colpevoli, naturalmente, ma solo di non avere la forza di strappare il filo. Federica Sciarelli è una giornalista in gamba e una persona perbene, ma forse ha mancato di freddezza. Avuto sentore della notiziaccia, avrebbe dovuto mandare la pubblicità e soltanto dopo, lontano dalle luci della diretta, rivolgersi alla madre in pena, invitandola ad allontanarsi dal video e a chiamare i carabinieri. Una questione di rispetto, ma in questa società di ego arroventati chi ha ancora la forza e la voglia di mettersi nei panni del prossimo, guardando le situazioni dal suo punto di vista?

Sono righe di Massimo Gramellini, parte di una intelligente riflessione intitolata La macchina del dolore.

Il font dell’immagine è Brands Kidnapped di Jos Elsendoom.

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