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La Via della Seta: difficoltà e prospettive del rapporto sino-turco

Creato il 29 settembre 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Filippo Urbinati

Alla fine del mese di luglio il presidente della Repubblica turca Recep Tayiip Erdoğan si è recato in visita a Pechino incontrando i più alti gradi della Repubblica popolare, tra cui il presidente Xi Jinping. Al centro dei colloqui un accordo di cooperazione tra i due paesi sulla tematica dell’anti-terrorismo. Nonostante le grandi parole di amicizia e vicinanza che si sono scambiati i leader dei due paesi, Ankara e Pechino mantengono ancora notevoli punti di frizione che rendono quantomeno complessa la ricerca di una partnership più stretta.

Il primo complicato nodo da sciogliere è quello che riguarda la popolazione dei uighuri, minoranza di etnia turca, e mussulmana, che abita la regione cinese dello Xinjiang. Il governo cinese aveva lanciato durante l’anno passato un’intensa campagna anti-terrorismo nella regione a seguito di una serie di attentati che Pechino aveva attribuito agli indipendentisti uighuri. Le tensioni nell’area avevano portato molti abitanti dello Xinjiang ad emigrare avendo proprio nella Turchia la destinazione preferita. Poche settimane prima della visita di Erdoğan, la decisione del governo tailandese, altra meta molto gettonata tra gli uighuri, di rimpatriare 109 cittadini dello Xinjiang che avevano trovato riparo all’interno del paese, ha innalzato ulteriormente i livelli della tensione e aveva suscitato polemiche anche da parte di Ankara [1]. Questo però è solo l’ultimo di una lunga serie di episodi che da anni complicano la relazione tra Cina e Turchia essendo stata quest’ultima fonte di ispirazione per il nazionalismo uighuro, porto sicuro per i rifugiati provenienti dallo Xinjiang (o Turkestan Orientale) e fornitrice di supporto morale e materiale per gli indipendentisti.

L’origine di tale supporto può essere collocata all’inizio del secolo scorso quando i due imperi, cinese ed ottomano, erano in competizione per il controllo della regione. Il declino di entrambi portò ad una riduzione del potenziale di frizione che però non scomparve mai del tutto sino alla fine degli anni Quaranta quando la stabilizzazione dell’impianto della Guerra Fredda, in cui i due paesi si trovavano su due versanti opposti, fece permanere uno stato di tensione sempre latente ma mai dirompente. La ripresa delle relazioni tra i due paesi nel 1971 ha lasciato la questione pressoché inalterata in quanto Pechino continuava a ritenerla un affare di politica interna rifiutandosi di considerare le implicazioni internazionali ad essa collegate. Le riforme di apertura all’occidente di Deng Xiaoping hanno portato negli anni Ottanta ad una maggiore presa di coscienza di tutto l’occidente verso le problematiche relative al rispetto dei diritti umani in Cina. Tale sensibilità si è andata a combinare con una maggiore proattività nei leader di Ankara, specialmente nel decennio successivo, quando il collasso dell’Unione Sovietica ha ampliato le possibilità della Turchia di sviluppare una politica autonoma nei confronti dei paesi dell’Asia Centrale. A partire dalla fine degli anni Novanta la crescita economica di entrambi i paesi ha aumentato i dividendi della cooperazione senza però cancellare del tutto il potenziale esplosivo della questione [2]. In questo contesto la tensione degli ultimi mesi è da ricercarsi soprattutto nella denuncia da parte della diaspora uighura delle vessazioni subite dai propri fratelli rimasti nel paese di origine durante il mese del Ramadam in cui sarebbero state vietate tutte le manifestazioni di tipo religioso [3]. Questa denuncia è poi culminata in una serie di proteste anticinesi in Turchia in cui si sono viste bruciare bandiere della Repubblica popolare [4] e persino l’aggressione di cittadini cinesi in visita turistica in Turchia (tra cui uno sfortunato gruppo di turisti sud-coreani erroneamente scambiati per cinesi) [5]. Per valutare quanto la questione sia radicata in Turchia basti pensare che un sondaggio del Pew Research Center ha registrato come solo il 18% dei cittadini turchi abbia un’opinione favorevole della Cina (su 40 paesi considerati si tratta del risultato più basso in assoluto dopo quello del Giappone) [6]. Un ruolo di primo piano in questa campagna anti-cinese è quello giocato dall’estrema destra nazionalista, da sempre sensibile alle sirene del panturchismo [7].

Quello uighuro però non è l’unico punto di frizione presente tra i due paesi. Un altro tassello fondamentale è la proiezione dei due paesi nella zona dell’Asia Centrale. Con il crollo dell’Unione Sovietica quest’area ha visto una politica estera estremamente pro-attiva da parte della Turchia, suggellata dai summit organizzati dall’allora presidente Turgut Özal che avevano l’assai poco mascherato obiettivo di creare una zona di influenza turca nella regione facendo leva sulla vicinanza linguistica, etnica e culturale con i paesi dell’area. Uno dei fattori, anche se non l’unico, in grado di decretare il fallimento del progetto è stato senz’altro la crescita del vettore asiatico nella politica estera cinese che ha contribuito a mostrare tutti i limiti della proiezione turca nella regione [8]. Questo vettore si è concretizzato in una corsa da parte di Pechino all’acquisto del gas presente nella regione con il risultato di indebolire sensibilmente il potenziale del “corridoio meridionale” (la rete di gasdotti che dovrebbe rifornire il mercato europeo con il gas proveniente dai bacini del Mar Caspio passando attraverso la penisola anatolica), punto nodale per permettere ad Ankara di realizzare il sogno di divenire un hub energetico [9]. Centrale da questo punto di vista è il Turkmenistan che, pur essendo uno dei paesi deputati a riempire le condotte del gasdotto trans-anatolico (TANAP), il progetto centrale per lo sviluppo del Corridoio Meridionale, ha scelto sino ad oggi di vendere il proprio gas per lo più a Russia e Cina con una netta preponderanza dell’ultima (35 miliardi di metri cubi all’anno) [10]. Tale situazione pone Turchia e Cina più come competitor che partner, specialmente alla luce del grande fabbisogno energetico che contraddistingue i due paesi.

Un ulteriore elemento di disturbo è dato dalle difficoltà emerse in sede di negoziazioni per la fornitura di un sistema di difesa missilistico da parte della Turchia. Quando nel 2006 Ankara ha formalizzato la decisione di dotarsi di tale sistema difensivo, i candidati ad accaparrarsi la fornitura erano gli statunitensi, i russi, un consorzio franco-italiano e la Cina. Nel 2013, poi, la scelta ricadde sulla compagnia statale cinese scatenando una piccola crisi diplomatica in sede NATO in quanto tale compagnia era stata inserita all’interno della lista delle aziende da sanzionare per aver violato l’embargo nei confronti dell’Iran [11]. Le negoziazioni però si sono trascinate per quasi due anni tanto che, ad oggi, il contratto non è ancora stato firmato e alcuni ufficiali turchi hanno dichiarato che il paese potrebbe decidere di ripensare tutto il programma [12]. Il fatto che tali dichiarazioni siano state rilasciate circa un mese dopo l’escalation turca nei confronti dello stato islamico, con l’apertura delle basi per i raid statunitensi, porta a leggerle come un segnale di buona volontà nei confronti degli alleati occidentali. Erdoğan, inoltre, aveva dichiarato alla vigilia del suo viaggio a Pechino che l’accordo su tale fornitura sarebbe stato discusso in quella sede [13]. Allo stato dei fatti sembrerebbe di poter dire che non sia stato possibile trovare un accordo soddisfacente.

Stando così le cose verrebbe da chiedersi quali siano le ragioni per volare sino a Pechino. In altre parole esistono margini per accrescere la cooperazione tra i due paesi nonostante le difficoltà qui riportate?

Un primo elemento da considerare è la posizione di Pechino nel complicato scacchiere mediorientale. Qui la Cina, in quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (CSNU), ha sempre giocato un ruolo rilevante nel bloccare qualsiasi azione che prevedesse un intervento diretto internazionale, specialmente nei primi mesi della crisi siriana [14]. Il colosso asiatico si è sempre espresso in favore di una soluzione politica che non prevedesse un intervento armato considerando un abuso l’uso estensivo della Responsibility to Protect (dottrina che prevede la responsabilità da parte della comunità internazionale in generale, e del CSNU in particolare, di ingerire negli affari interni di uno stato al fine di proteggere i cittadini di tale stato contro le angherie dei suoi governanti o dai danni di una guerra civile) [15]. Lo scenario però è mutato dopo l’ingresso in campo dell’ISIS. Lo stato islamico rappresenta una minaccia per la Cina per tre principali ragioni. Innanzitutto perché l’ISIS ha apertamente dichiarato le proprie mire espansive verso il territorio dello Xinjiang. In secondo luogo perché esso minaccia i cospicui investimenti cinesi in Iraq. Infine perché la crescita e l’espansione dello Stato Islamico potrebbero fungere da fonte di ispirazione ed incoraggiamento per i gruppi terroristici cinesi impegnati nella lotta contro il governo di Pechino [16]. Rispettando il vecchio detto per cui “il nemico del mio nemico è mio amico” Cina e Turchia si sono ritrovate improvvisamente dalla stessa parte della barricata avendo nello Stato Islamico la prima minaccia da affrontare. Con queste premesse non stupisce la scelta di incentrare la visita sul tema dell’antiterrorismo. La Cina infatti, qualora dovesse decidere di interrompere la sua tradizionale politica di non interferenza, potrebbe giovare dell’appoggio turco per limitare il possibile influsso dell’ISIS nei confronti degli indipendentisti dello Xinjiang garantendosi un appoggio per influire sulla diaspora uighura.

Un secondo elemento decisivo per il proseguo della relazione turco-cinese è il progetto One Belt, One Road (OBOR) conosciuto anche come la nuova Via della Seta. L’iniziativa prevede lo sviluppo di una serie di infrastrutture nonché una maggiore integrazione tra la Cina e i paesi situati lungo l’antica Via della Seta che collegava l’Europa e l’Africa Orientale con la Cina e il Sud est Asiatico. Tale progetto è stato lanciato dal presidente Xi Jinping nell’autunno del 2013 [17] e ha visto il proprio momento genetico nell’apertura del Marmaray, il tunnel ferroviario che collega le due sponde del Bosforo ad Istanbul. Per la Turchia il progetto appare di importanza capitale poiché esso permetterebbe di attirare un valore consistente di investimenti cinesi (che attualmente si attestano sui 642 milioni di dollari). Per la Cina infatti, tra una Grecia in difficoltà e ansiosa pertanto di conquistare finanziamenti cinesi, e un Iran normalizzato in prospettiva sempre più dipendente dagli investimenti di Pechino, la Turchia rappresenta il naturale anello di congiunzione [18]. Il progetto coinvolgerebbe la società turca a 360°, basti pensare che non più tardi del 2 settembre scorso una delegazione cinese ha fatto visita alla fondazione Marmara Group a Istanbul, che racchiude al suo interno anche rappresentanti del mondo accademico [19].

La Turchia, inoltre, ha manifestato in più occasioni l’interesse ad aderire alla Shangai Cooperation Orgnization (SCO), un’organizzazione di mutua sicurezza che coinvolge Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. Questo obiettivo però ha perso negli ultimi anni di rilevanza in quanto, da una parte, gli stati membri hanno preferito sviluppare le proprie politiche all’interno di altri contesti (in particolare Cina e Russia in sede BRICS), dall’altra è emerso come quella di richiedere una tale membership fosse più una mossa indirizzata a sanzionare l’atteggiamento temporeggiatore dell’Unione Europea piuttosto che un reale obiettivo di politica estera [20].

Al di la di tutto però il ruolo più rilevante sembra destinato a giocarlo la variabile economica. L’obiettivo dichiarato è quello di portare lo scambio bilaterale annuo sino a quota 100 miliardi di dollari (nel 2014 si è attestato a 28 miliardi) [21]. Questa quota era già stata individuata nel 2010 quando, durante una visita di stato, Erdoğan aveva stimato il raggiungimento di questo obiettivo al 2020, ponendo come obiettivo intermedio un interscambio di 50 miliardi nel 2015 (dato che difficilmente potrà essere raggiunto) [22]. Se da un lato non si può non riconoscere che la crescita dell’interscambio nell’ultimo quindicennio è stata notevole, basti pensare che nel 2002 si attestava a 2 miliardi di dollari [23], occorre altresì considerare gli effetti dell’attuale congiuntura economica che vede proprio la Cina al centro di una vera e propria tempesta finanziaria. La svalutazione dello Yuan avvenuta in agosto è figlia del netto rallentamento dei cosiddetti paesi emergenti, tra cui si suole considerare anche la Turchia. Data la grande instabilità politica attuale dovuta all’impossibilità di formare un governo di coalizione, l’indizione di nuove elezioni previste il prossimo primo novembre e l’escalation nei confronti dello Stato Islamico e del PKK, la Turchia si trova nella posizione di non essere in grado di attirare capitali esteri aumentando ulteriormente la vulnerabilità della macchina economica turca [24]. Per far fronte a tutto questo un forte legame con la Cina appare necessario. Ricostruire la via della seta è una necessità per entrambi i paesi, per questo, nonostante i molteplici problemi sul tavolo, volare a Pechino non è stata una scelta del tutto irrazionale.

* Filippo Urbinati è OPI Contributor 

[1] Bluewin, Cina: allenza con Turchia contro il terrorismo, 29 Luglio 2015. Disponibile a: http://www.bluewin.ch/it/news/estero/2015/7/29/cina–alleanza-con-turchia-contro-terrorismo-e-tra.html

[2] Per una trattazione sistematica della questione e della sua influenza nella storia delle relazioni tra i due paesi si veda Shichor, Yitzhack, Ethno-Dyplomacy: The Uighur Hitch in Sino-Turkish Relations, East-West Center, Policy Studies 53, Honolulu 2009. Disponibile a: http://www.eastwestcenter.org/fileadmin/stored/pdfs/ps053.pdf

[3] Pamuk, Humeira, Turkish help for Uighur refugees looms over Erdogan visit to Beijing, Reuters, 27 Luglio 2015. Disponibile a: http://www.reuters.com/article/2015/07/27/us-turkey-china-uighurs-insight-idUSKCN0Q10PM20150727

[4] Girit, Selin, China-Turkey relationship strained over Uighurs, BBC News, 9 Luglio 2015. Disponibile a: http://www.bbc.com/news/world-asia-china-33440998

[5] Euronews, Turchia: manifestazioni anti-cinesi a sostegno dei mussulmani uiguri, 6 Luglio 2015. Disponibile a: http://it.euronews.com/2015/07/06/turchia-manifestazioni-anti-cinesi-a-sostegno-dei-musulmani-uiguri/

[6] Pew Research Center, Opinion of China, 2015. Disponibile a: http://www.pewglobal.org/database/indicator/24/

[7] Tremblay, Pinar, Attacks on Chinese escalate in Turkey, Al-Monitor, 20 Luglio 2015. Disponibile a: http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2015/07/turkey-china-random-violence-become-norm-in-lgbt.htm

[8] Frappi, Carlo, Central Asia’s Place in Turkey’s Foreign Policy, ISPI Analysis n°225, Dicembre 2013. Disponibile a: http://www.ispionline.it/sites/default/files/pubblicazioni/analysis_225_2013.pdf

[9] Koranyi, David e Sartori Nicolò, EU-Turkish Energy Relations in the Context of EU Accession Negotiations: Focus on Natural Gas, IAI Working Paper n°5, Dicembre 2013. Disponibile a: http://www.iai.it/sites/default/files/GTE_WP_05.pdf

[10] McAleavey, Emma, Turkmenistan boosting gas exports to china, Energy Global – Hydrocarbon Engineering, 11 Febbraio 2015. Disponibile a: http://www.energyglobal.com/downstream/gas-processing/11022015/Turkmenistan-boosting-gas-exports-to-China-230/

[11] Al-Monitor, Will Turkey stick with Chinese missile defense deal?, 16 Novembre 2014. Disponibile a: http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2014/11/turkey-nato-anti-missile-defense-system.html?utm_source=Al-Monitor+Newsletter+%5BEnglish%5D&utm_campaign=bdc6f94ebf-November_17_2014&utm_medium=email&utm_term=0_28264b27a0-bdc6f94ebf-102317081

[12] Bekdil, Burak, Turkey could rethink disputed air defense program, Hurriyet Daily News, 1 Settembre 2015. Disponibile a: http://www.hurriyetdailynews.com/turkey-could-rethink-disputed-air-defense-program.aspx?pageID=238&nID=87776&NewsCatID=483

[13] Bekdil, Burak Ege, Turkey may Renegotiate Air Defense Deal with China, Defense News, 28 Luglio 2015. Disponibile a: http://www.defensenews.com/story/defense/air-space/2015/07/28/turkey-may-renegotiate-air-defense-deal-china/30782109/

[14] Kausch, Kristina, Competitive Multipolarity in the Middle East, IAI Working Paper 14-10, Settembre 2014. Disponibile a: http://www.iai.it/sites/default/files/iaiwp1410.pdf

[15] Xing, Qu, The UN Charter, the Responisibility to Protect, and the Syria Issue, China Institute of International Affairs, 16 Aprile 2012. Disponibile a: http://www.ciis.org.cn/english/2012-04/16/content_4943041.htm

[16] Chen Dingding, Dealing with the ISIS Challenge: What China Might Do and Its Implications for China’s Anti-terrorism Policy, China Policy Institute Policy Paper 2015: No 1. Disponibile a: http://www.nottingham.ac.uk/cpi/documents/policy-papers/cpi-policy-paper-2015-no-1-chen.pdf

[17] Zhiping, Pan, Silk Road Economic Belt: A Dynamic New Concept for Geopolitics in Central Asia, China Institute of International Studies, 18 Settembre 2014. Disponibile a: http://www.ciis.org.cn/english/2014-09/18/content_7243440.htm

[18] Atli, Altay, What to expect from Erdoğan’s China visit, Asia Times, 29 Luglio 2015. Disponibile a: http://atimes.com/2015/07/what-to-expect-from-erdogans-visit-to-china/

[19] Hurriyet Daily News, China’s reform forum delegation visits Turkey, 2 Settembre 2015. Disponibile a: http://www.hurriyetdailynews.com/china-reform-forum-delegation-visits-istanbul-.aspx?pageID=238&nID=87877&NewsCatID=345

[20] Ünay, Sadık, Turkey and Shangai Cooperation Organizzation, SETA Opinion, 15 Agosto 2015. Disponibile a: http://setav.org/en/turkey-and-shanghai-cooperation-organization/opinion/2705

[21] Invest in Turkey, Turkey and China to boost trade, economic cooperation, 30 Luglio 2015. Disponibile a: http://www.invest.gov.tr/en-US/infocenter/news/Pages/300715-turkey-china-to-boost-trade-economic-cooperation.aspx

[22] Atlı Altay,Questioning Turkey’s China Trade, Turkish Policy Quarterly Vol. 10 n°2, Summer 2011. Disponibile a: http://turkishpolicy.com/Files/ArticlePDF/questioning-turkeys-china-trade-summer-2011-en.pdf

[23] Invest in Turkey, op. cit.

[24] Sönmez, Mustafa, China’s economic earthquake also shakes Turkey, Hurriyet Daily News, 21 Agosto 2015. Disponibile a: http://www.hurriyetdailynews.com/chinas-economic-earthquake-also-shakes-turkey-.aspx?PageID=238&NID=87729&NewsCatID=344

 Photo Credits: Reuters

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