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Lacrime in quantità monsonica

Creato il 14 febbraio 2013 da Presidenziali @Presidenziali

Lacrime in quantità monsonicaNe hanno fatta di strada gli “umiliati” e gli “offesi” di Victor Hugo. Dagli schermi cinematografici ai palcoscenici di Broadway, la storia di Jean Valjean e compagni, è stata esplorata in lungo e in largo, con un successo talmente grande da convincere Hollywood a metterne in cantiere una nuova versione, questa volta “remake” dell’omonimo musical. Per dirigere questo film, così atteso e ingombrante, è stato chiamato Tom Hooper, regista de Il discorso del re - quello che ha fatto una gran rapina di Oscar due anni fa - e con il quale ho un conto aperto, anche solo per il semplice motivo che di tutte le cose che non mi vanno giù de Il discorso del re, quella che mi va giù meno, è proprio la regia. Ma passiamo oltre.
Chiaramente con un film del genere, la preselezione è già attiva: non vi piacciono i musical? State a casa. Giuro che se incontro ancora qualcuno che dice “ho visto Les Mis, ma che noia, cantano sempre” lo schianto di sberle. Certo che cantano sempre. È un musical! Se vi piace il genere, invece, è facile che andiate a vederlo per sentire le canzoni. La cosa più interessante, in tal senso, è che i pezzi sono stati registrati in presa diretta, una pratica utilizzata poche volte e che, per quanto mi riguarda, è in assoluto il valore aggiunto del film (e questo nonostante il fatto che come cantante, Russel Crowe è una campana a morto).Ma il vero plus resta la storia infinita, smisurata, gigantesca di Victor Hugo, così mastodontica da resistere a tutto, a ogni trattamento registico e interpretativo (come resistono a tutto Shakespeare e Dickens), in grado ancora nel suo populismo e nel suo manicheismo primario – di qua il bene di là il male, di qua i buoni di là i cattivi – di sedurre e commuovere fino alle lacrime. Dio mio, come potrebbe essere altrimenti, c’è di tutto dentro: la colpa, la redenzione, l'amore, la rivolta dei buoni contro i malvagi, il potere corruttore dei soldi e la purezza e l’innocenza degli ultimi, dei misérables, fango dell’umanità e insieme sua più luminosa essenza. Tom Hooper non è capace di una invenzione registica che sia una – questo è chiaro – è grossolano e approssimativo, però mette in scena questo Classico senza tempo, con la rude efficacia di un vecchio capocomico che sa come vellicare il pubblico e strappargli l’applauso. Les Misérables, al di là degli effettacci digitali, è puro spettacolo popolare: fatto apposta per essere detestato dai critici e amato dal pubblico. Il film gode inoltre di una manciata di buone interpretazioni: Anne Hathaway qui è davvero bravissima e la notte del 24 febbraio, festeggerò se riuscirà a portarsi a casa (anche a discapito della mia adorata Amy Adams) l'Oscar come miglior attrice non protagonista; Hugh Jackman se la cava bene, ma nel suo caso l’Oscar sarebbe davvero eccessivo. Bravi poi Sacha Baron Cohen ed Helena Bonham Carter (entrambi già nel musical burtoniano Sweeney Todd), due ottimi guitti, protagonisti dei siparietti più divertenti. A colpire in positivo, sono anche i volti più nuovi: il bambino Daniel Huttlestone e l’emergente Samantha Barks nel ruolo di Eponine, che arriva direttamente dalle versione concertale del musical. E poi ecco, volevo dire solo altre due parole, e queste due parole sono: Aaron Tveit. Ecco.
Insomma, a questo Les Misérables bisogna lasciarsi andare, mettendo tra parentesi ogni pretesa bon ton o di raffinatezza narrativo-estetica, bisogna lasciarsene travolgere senza opporre resistenza. La commozione finale sarà inevitabile e vigorosa. Anche i meno sensibili, usciranno dalla sala con gli occhi lucidi e una manciata di kleenex in mano. 
voto: 7

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