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Laura Zarrelli e la geometria metaforica delle sue fotografie

Creato il 20 ottobre 2014 da Wsf

Guardando le immagini e leggendo le risposte di Laura ho pensato subito a questa frase di Marinetti:

L’arte, questo prolungamento della foresta delle vostre vene, che si effonde, fuori dal corpo, nell’infinito dello spazio e del tempo.
Filippo Tommaso Marinetti

Crettature sul futuro anteriore

Crettature sul futuro anteriore

 

Quando incontra l’arte Laura Zarrelli?

Sin dal mio primo risveglio ricordo mio padre, artista autodidatta, che mi fa passare negli occhi le sue ricostruzioni di armature romane, le sue scenografie teatrali, i presepi e le sculture e i nudi di donna tratteggiati a pastello. In occasione delle mie feste di compleanno, comparivo a sorpresa in bizzarri travestimenti e, all’immancabile domanda: “Laura cosa vuoi fare da grande?”, rispondevo con grande convinzione: voglio fare la truccatrice cinematografica!”. Ricordo con affetto le mie povere amiche costrette a farmi da cavie e ancora adesso la pittura per il corpo è parte fondamentale nel mio lavoro. Il mio percorso nell’arte è stato accidentato; la mia creatività capricciosa, precocemente palesatasi, mi ha costretta a sperimentare ogni mezzo, prima di trovare nell’obbiettivo una lingua in cui le piacesse esprimersi, la fotografia, con i suoi tableau viventes e i mai noiosi autoritratti. Ho sentito il bisogno di crearmi una solida base tecnica e, dopo anni tra banchi ottici, sviluppi e stampe, sono diventata una fotografa. Questo bagaglio di competenze tecniche è per me lo scheletro di ogni mio lavoro, poi però vesto le mie opere con la libertà dei miei pennelli digitali.

Dimmi il tuo concetto di arte.

L’arte per me è un racconto che si fa continuamente simbolo. Inquadro tutto ciò che vedo intorno in geometrie metaforiche e non saprei spiegarmi il mondo altrimenti. E poi comunicazione, tecnica, genialità. I miei lavori nascono da una preparazione dolorosa, impegnativa sul versante tecnico e per i miei soggetti, che sottopongo più o meno consapevolmente ad una sofferenza. Credo di avere un approccio fortemente performativo. Se la genialità ci sia nelle mie opere..stiamo a vedere cosa ne penseranno i posteri!

Madame Cheng

Madame Cheng

I tuoi lavori oscillano dai colori al bianco e nero, come mai questa dualità?

In realtà, la gamma cromatica sbiadita, tra colore e bianco e nero, è caratteristica del mio progetto “Naufragi”; si tratta di una serie di ritratti, che delineano personaggi della storia o del presente, isolati nelle loro tenebre interiori. Talvolta mi è funzionale ridurre l’immagine ai suoi elementi di sopravvivenza, concedere soltanto tinte rarefatte, ma non potrei mai privare i miei personaggi dei colori che li circondano.

Le tue fotografie sono gesto, non solo punti all’essere umano ma anche ciò che vuole trasmettere con i gesti?

Vedo nel gesto l’alfabeto del mio racconto umano, lo studio continuamente, gesti singoli e interazioni. I miei personaggi raramente sono importanti per la propria vicenda personale; anche quando mi servo di figure realmente esistite, il mio obbiettivo è congelare un’azione che sia così eloquente da diventare riconoscibile per tutti, coreografando il messaggio di cui è gravida. E’ il momento in cui il gesto riesce a farsi simbolo e questa la componente fondamentale della mia ricerca artistica.

Metamorfica Fatae

Metamorfica Fatae

Quali sono i tuoi obiettivi e i tuoi intenti quando fotografi?

Spero e mi aspetto di scuotere le persone, di costringerle, se possibile a rivedere le proprie convinzioni sotto un’altra luce e lasciare nei loro ricordi un segno inciso, un nodo al fazzoletto a cui possano ritornare per ogni volta che nelle proprie vite incontreranno sensazioni simili a quelle che mi hanno smossa a cominciare un’opera.

Quanto di te c’è nei tuoi scatti?

Nei mie scatti ci sono le mie curiosità e le vicende che mi hanno segnata, a volte apparentemente così insignificanti che lì per lì non te ne accorgi, che riguardo a distanza e, per comprendere come mi hanno toccata, non so far di meglio che montarle in un’immagine. A volte ci sono io fisicamente, fasciata e truccata, rischiando bernoccoli a causa di mele ricoperte d’argilla in caduta libera dalle travi del soffitto o il soffocamento, avvolgendomi la testa con della lana pesante, come in un bozzolo.

Moire

Moire

Hai fotografi che t’ispirano? Se si quali?

Cerco ispirazione soprattutto nella pittura, seguendo gli schemi e la simbologia dell’arte medioevale, gotica e rinascimentale. Sulla fotografia sono più disordinata ma onnivora; non saprei scegliere una figura di fotografo in particolare, ma se dovessi tirar fuori dei nomi d’istinto direi: Cindy Sherman, Luigi Ontani, Claude Cahun, Joel Peter Witkin, Hans Bellmer, Billy und Hells, Mariano Vargas, Jan Saudek, Roberto Kusterle, Matteo Basilè, Christian Tagliavini.

Cosa pensi del futuro dell’arte in Italia?

Mi spaventa.

Playground surgery, stretto quasi fino a me stessa

Playground surgery, stretto quasi fino a me stessa

Mostre? Futuri lavori?

La mia ultima mostra ha avuto come scenario il Palazzo ducale della mia città natale, Larino, una cosa che mi ha riempita di orgoglio e di gioia, durante la quale ho passato in rassegna per i visitatori e anche per me stessa i miei principali progetti artistici portati a compimento. Non ho in programma di esporre mie opere in questo periodo, finché non porterò a termine il progetto che sta raccogliendo tutte le mie energie, e che rappresenta una fase di rottura nel mio percorso artistico, dedicato al disordine nei rapporti di valore tra famiglia e chirurgia estetica. In ogni caso, accetto proposte!

Seraphita

Seraphita


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