Magazine Diario personale

Lavare i piatti a Londra, ovvero esterofilia e società

Da Anacronista
Appunti.

Divento progressivamente insofferente rispetto a ogni manifestazione gratuita di esterofilia. La questione dell'emigrazione è politicamente molto seria, ma ora non è di questo che voglio parlare. Ora che a breve finirò all'estero anch'io, provo dei sentimenti ambivalenti nei confronti di quest'esterofilia diffusa per cui, comunque e quantunque, all'estero è fico
Una volta Londra, Parigi, Berlino non erano mete di consumo di massa, per così dire: erano sì facilmente raggiungibili, ma non veramente alla portata di tutti tutti. La "rivoluzione Ryanair" ha massificato la raggiungibilità di tali destinazioni, per cui adesso è davvero facile avere una porzione crescente di amici che vive all'estero per mesi, anni, decenni. E' pressoché alla portata di tutti. E, che vuoi, nel cv si nota subito se non ti sei mai spostato di mezzo metro dalla tua provincia. Magari ti sei smazzato il triplo di uno che ha girato le capitali europee. Ma la legge del fossi figo vuole che comunque sul cv quello che ha girato le capitali europee appaia millemila volte più fico di te. Il sillogismo ci conduce a una domanda innocente: perché smazzarsi allora? No, chiedo.E' che fa fico capisci. Fa fico al punto che il tuo amico rientrato dopo qualche settimana a Londra può dirti con affettata disinvoltura che, vedi, gli è che la vita vera è altrove - non senza una nota di mal dissimulata pietà per te. Fa fico al punto che nel cv che mostra sotto forma di slides in pubblico scrive di "essersi formato fra l'Italia e il Regno Unito", quando tu sai benissimo che a Londra ci è andato in fin dei conti solo per fare il cameriere. Dài. Siamo onesti raga. Quanti sono i casi in cui l'epopea emigratoria si risolve in un lavare i piatti a Londra? Per carità, legittimo, ma non pretendere di convincermi che te la passi meglio di me, eh. 

Fa fico al punto che l'esperienza finisce per penetrare anche nel linguaggio baby, cioè proprio il suo modo di stare al mondo. Perciò davvero proprio non puoi resistere, devi infilare nel discorso - credimi! mi viene spontaneo... - un intercalare che so io inglese, sottolineare il tuo intrinseco cosmopolitismo a mezzo lingua. E con studiata naturalezza fare, dentro la conversazione italiana, ohhh, in my humble opinion, hihi, yep, ma sai, great minds think alike! ;) As usual and so on. Ma per piacere. Per riflesso. Ci sono poi quelli che sentono il bisogno di giustificarsi di restare. "Guarda, non sono fico come te, ma sto lavorando per questo", sembrano dire, senza neanche un po' di spina dorsale. Il mio obiettivo nella vita? Essere fico come te. Come? Magari anche senza continuare a fare sostanzialmente niente, ma sai, andare all'estero mi investirà automaticamente di un'aura di credibilità che certo smazzarmi sul serio in loco non mi potrà mai garantire. Fai bene. Io beh io per ora Garanzia Giovani hihi, ma comunque poi cerco in Sud America. Sì guarda non se ne può più. Parlo quattro lingue sai. Vedi, è che qui mi sta stretto. Ah, ho fatto anche l'Erasmus durante la triennale. Alle medie siamo andati a vedere la tour Eiffel e alle superiori lo zoo di Berlino. Te l'ho già detto che parlo quattro lingue?Perché sostanzialmente, in tempi di Ryanair, fatevene una ragione: di per sé andare all'estero non vi rende fichi. Vi rende solo più somiglianti all'italiano bene istruito medio, né più né meno. Non è un vostro merito andare all'estero. Potete essere dei completi deficienti e andare all'estero. Non meritate più di altri, non siete meglio di altri per il sol fatto di prendere un aereo e cambiare città. I nostri nonni lo facevano già e loro sì che erano fichi. Si partiva per scappare dalla miseria senza sapere una parola dell'altra lingua, magari con la terza elementare e senza davvero conoscere quello che li aspettava. Si rischiava sul serio. Spesso ci si vendeva tutto per affrontare immani traversate. Si spezzavano legami profondi per sempre. Intere famiglie devastate dalle migrazioni. Un po' - solo un po' - come le migrazioni attuali verso l'Europa dall'Africa e dal Medioriente. Si viaggia sul confine fra la vita e la morte e si va incontro a una vita di discriminazioni e umiliazioni e perdite. Dal Sud Italia continuiamo ad andare al Nord. Dal Nord si va all'estero. C'è come un deprezzamento continuo del già fico. E ovviamente dai Sud del mondo vengono qui.C'è sempre un altrove più promettente, dove la soglia del minimo e del possibile si alza. La gerarchia delle aspettative e delle possibilità va incontro a gentrificazione su larga scala. C'è una lottizzazione dei desideri, una territorializzazione di quel che si può osare di avere. Il gioco è questo. Si alza la posta, si alza sempre la posta. E' un merito, questo? E' legittimo e forse opportuno, ma non certo di per sé un merito.L'emigrazione del giovane benestante è drammatica se consideriamo che in Italia il livello medio delle aspettative è destinato ad abbassarsi, si è allargata una forbice fra quello che ci hanno detto che potevamo avere e quello che effettivamente possiamo avere in Italia. Non abbiamo più le tutele dei nostri genitori e lo scontro generazionale è una forma di conflitto di classe. Se una volta un operaio poteva fare il figlio ingegnere, oggi l'operaio è più probabile che faccia il figlio operaio. In Italia molti ambienti suscitano a noialtri che vorremmo non affermarci per scorciatoie dei reflussi criccofobici perché, com'è come non è, per arrivare da qualche parte devi sempre passare per il sedere di qualcuno, devi sempre in qualche modo fare un po' il baciapile della situazione. Una certa aria di feudalesimo si respira in certi snodi fondamentali della vita pubblica, del mercato del lavoro, cricche onnipotenti piazzano i loro scagnozzi e non c'è modo di forzare le serrature. La scala sociale tende all'immobilismo, ma resta che chi sente il bisogno di vantare l'emigrazione tendenzialmente è un giovane benestante privilegiato, che beneficia di un privilegio riservato a quelli della sua condizione. All'opposto della retorica esterofila vi è la retorica del restare e della santificazione di un'intrinseca bontà della provincia. Questo meccanismo retorico si acuisce particolarmente al Sud, che l'emigrazione la conosce meglio di altri territori italiani e che ha smesso di credere sul serio che sia possibile restare già da tempo immemore. La truffa sottesa a entrambe le retoriche è che, come tutte le retoriche, finiscono per prestare il fianco a una menzogna. Perché se l'estero non è né necessariamente un merito né necessariamente La fortuna, la provincia può non avere quell'aria bucolicamente ritemprante e eticamente edificante che qualche volenteroso romantico le attribuisce. Ci hanno provato, a costruire narrazioni nobilitanti, vedi pensiero meridiano, decrescita felice eccetera, ma per quanto ci si provi, raga, gli è che dal Sud si continua ad andar via. Quelli che con gli occhi sognanti celebrano la mistica del restare non mi hanno mai raccontato del senso di oppressione, angustia e limitatezza che la provincia spesso reca con sé, solo per limitarci al lato psico-esistenziale della questione, che invece affonda le sue radici dritto dritto nella politica e nell'economia. (Sono cresciuta svalutando il territorio in cui ho vissuto, ma poi ho capito che le ragioni di questa svalutazione, che io avevo interiorizzato, erano politiche e che la faccenda era molto più complessa di quanto immaginassi). Ma rimane che né restare né partire sono buoni in sé, né l'uno né l'altro rende di per sé migliori di altri. Ogni volta che qualcuno approfitta di un privilegio o anche semplicemente di una condizione per vendersela come merito, un neurone innocente muore. Precisazioni transitorie e finali: 1) Naturalmente, si tratta di una falsa dicotomia. Non è che estero VS provincia. In Italia non ci sono solo province ovviamente.2) Vi sono dei casi in cui effettivamente andare all'estero è un merito. In linea di massima in due casi. a) Il migrante che si vende tutto per una traversata in cui rischia la vita. b) Qualcuno che raggiunge risultati eccellenti in qualche campo e viene chiamato da importanti istituzioni estere - fermo restando che per farlo, naturalmente, deve essere già di suo privilegiato, quindi la parola "merito" potrebbe diventare problematica.3) Viaggiare è stupendo. Andare all'estero può essere un'ottima opportunità. Spero si sia compreso che il post non mette in questione questi punti.

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