Magazine Italiani nel Mondo

Lavora, schiavo!

Creato il 11 maggio 2011 da Albino

Il post di ieri mi sembra abbia fatto partire una piccola discussione riguardante i contratti di lavoro giapponesi, e soprattutto le varie diciture. Credo che la cosa richieda un post esplicativo.

Partiamo da quello che sapete gia’: in Giappone si fa carriera a seconda dell’anzianita’, sia quella fisica (l’eta’ anagrafica) che quella lavorativa. Le societa’ giapponesi sono strutturate a piramide, in cui ci sono piu’ o meno livelli a seconda dell’azienda. In ogni caso, oltre ai normali impiegati o operai, i tre livelli piu’ famosi sono: 課長 (kacho, ovvero “caporeparto” = capo ufficio/quadro), 部長 (bucho, “capo divisione” = dirigente/direttore) e 社長 (shacho, “capo azienda” = amministratore delegato, CEO, capodellabanda). Tra i suddetti livelli ce ne possono essere di diversi tipi, sia veri che inventati ad hoc per far contenti quelli che non vengono promossi. Da me per esempio esiste la figura del サブマネジャー (sub manager), che e’ uno che prende piu’ o meno come il kacho ma non ha alcun potere, oppure del マネジャー (manager) che e’ di solito un cinquantenne sfigato che non e’ riuscito a diventare bucho. Di regola funziona che se il tuo titolo e’ in kanji allora sei qualcuno, mentre se e’ in katakana non vali un cazzo.

Andiamo oltre. Dovete sapere che in Giappone lo stipendio e’ la combinazione di due tabelle: una fissa in cui c’e’ una parte legata all’eta’ anagrafica, e l’altra variabile a seconda del livello e dell’anzianita’ in azienda. Quindi, per dire, se uno viene assunto fresco di universita’ a 23 anni prende la paga da 23enne piu’ una paga di livello X con 1 anno di anzianita’. Se uno viene assunto a 30 anni prende la paga del 30enne piu’ una paga dello stesso livello X con 1 anno di anzianita’. Salta agli occhi come questa cosa di fatto scoraggi il cambiamento di azienda, perche’ nella parte di anzianita’ cambiare azienda significa in pratica ricominciare da zero.

Detto questo, andiamo a spiegare questa cosa del part-time che avevo introdotto ieri (un po’ alla carlona, lo ammetto, e di questo mi scuso). Prendiamo un esempio su cui siamo piu’ o meno familiari, ovvero il contratto di lavoro all’italiana, e vediamo come va.

Allora, in Italia esiste il contratto a tempo determinato, quello a tempo perso, il contratto a contratto, a cottimo, a collaborazione, a pompino, a Nicoleminetti, a Co.co.co, a stage pagato, a stage non pagato, a stage promesso e non mantenuto, a schiavitu’ legalizzata, eccetera. Eppero’ quando ti assumono a tempo indeterminato, cazzo di minchia, sei a posto perche’ ti puoi appendere una copia dell’articolo 18 in camera da letto e da li’ in poi dormire sonni tranquilli. Inoltre, e qui sta la cosa importante, se sei a tempo indeterminato puoi far carriera, e questo non cambia sia che tu venga assunto a 19 anni o che tu venga preso a 55.

In Giappone, tanto per cambiare, le cose vanno in maniera un pelo diversa, perche’ ci sono fondamentalmente tre tipi di contratti. Primo: Se sei a tempo determinato, sei a scadenza. Ma di questo ne ho gia’ parlato in un altro post.

Secondo: se sei a tempo indeterminato, puoi essere un “dipendente regolare” se vieni assunto dopo l’universita’, inizi il primo aprile dell’anno successivo, fai un anno di training in abito nero o tailleur nero, eccetera. In quel caso sai che se tutto va bene e non fai stronzate, a 38-42 anni diventi kacho, e sulla 50ina diventi bucho. Se resti li’ tutta la vita, sei a posto. Questo tipo di contratto viene dato (da mia esperienza) nel 99% dei casi ai neolaureati, e solo in casi particolari ad altri.
Bisogna dire però che le cifre sono diverse se si guardano le aziendine piccole, che spesso offrono posizioni di questo tipo pur di riuscire ad assumere gente che abbia gia’ una certa esperienza, e/o in aziende alla disperata ricerca di tappare posizioni aperte, e che pur di coprire un buco sono disposte anche ad accettare un dipendente che non sia “vergine”, di prima azienda. Naturalmente, come potete immaginare, quando uno ha una posizione di questo tipo se la tiene bene stretta. Ecco spiegato perche’ all’estero non si vedono ingegneri giapponesi maschi: perche’ sono in patria e sanno benissimo che se lasciano il lavoro per provare all’estero, per loro non ci sara’ piu’ posto in Giappone.

Terzo: sei a tempo indeterminato, ma sei quello che in certe aziende viene chiamato (erroneamente) “consulente”, in altre “part time”, in altre addirittura “visitor”. Insomma, non sei stato assunto all’uscita dell’universita’, non sei al primo impiego, ma vieni preso per via delle tue capacita’, o esperienza in determinati campi. In questo caso entri a far parte della ciurma con una dicitura stramba, tipo se eri un direttore in un’altra azienda e vieni assunto a 55 anni, potresti essere un “general manager” (in katakana) o “special manager” o “special consultant”, o semplicemente “skilled person”. Ma… Bucho? Nah.

Ora, vi chiederete. Dove si vede la differenza tra il secondo e il terzo tipo? Qui viene il bello: la differenza non si vede e non si dice: si sa. Com’e’ giapponese questa cosa, vero?
La differenza tra un secondo e un terzo tipo potrebbe essere una semplice casella barrata su un foglio di carta o in un database all’ufficio del personale. Potrebbe essere una voce diversa nel bonus di fine anno. Nella mia azienda, lo si vede solo facendo doppio click sui contatti su Outlook. Alcuni sono segnati come 一般社員 (Ippan shain, “Impiegato regolare”), altri come 嘱託 (shokutaku – appunto, “part time”). Tipo me, che sono uno shokutaku ma ho un contratto che scade quando compiro’ 60 anni. Sono a tempo determinato? No, perche’ a 60 anni vanno in pensione tutti. Quindi, io sono uno del terzo tipo. La differenza tra me e uno del secondo non si vede, non sta scritta da nessuna parte (a parte su outlook). Nel mio contratto non viene menzionata, per nulla. Eppure e’ quella piccola parolina capace di impedirmi di diventare un dirigente, di avere un reparto sotto il mio controllo, eccetera. Se restassi qui per tutta la vita, beninteso.

Ma la differenza tra giapponesi e italiani e’ che loro sospirano, accettano il triste fato e dicono しょうがない, non ci si puo’ far nulla, mentre noi abbiamo questo bellissimo motto “aiutati che il ciel ti aiuta”, ché se tutti lo seguissero non ci sarebbero piu’ depressi al mondo. Perche’ c’e’ sempre possibilita’ di scelta, anche quando sembra che non ce ne sarebbi.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :