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Lavoro atipico: quando il rimedio è peggiore del danno

Creato il 08 novembre 2012 da Propostalavoro @propostalavoro

 

Lavoro atipico: quando il rimedio è peggiore del danno

Da quando l’uomo ha preso coscienza dell’importanza e la complessità del suo essere ponendosi scientificamente di fronte alla sua psiche, ne è passata di acqua sotto i ponti. Quante menti geniali hanno dedicato la loro vita a studiare, comprendere e spiegare i meccanismi della mente e i semi della sofferenza. Da Freud in poi le conoscenze e le conquiste sui meccanismi e sui processi mentali sono state grandiose: sappiamo come si promuove il benessere personale e come si ostacola.

La psicologia si è messa a disposizione dell’uomo, come una madre saggia, per migliorare la qualità della sua vita favorendone conoscenza, evoluzione, crescita e piacere di esistere. Le branche di competenza psicologica nel sociale sono molteplici: psicologia del lavoro, psicologia della famiglia, dello sport, dell’insegnamento, della persona, dell’artista, femminile, maschile senza parlare poi della psicologia dello sviluppo finalizzata alla formazione dell’individuo passo, passo da quando nasce fino alla maturità.

 La scienza psicologica ci indica come si cresce forti e sani, come proporsi in maniera positiva, come realizzarci e stare bene con gli altri, come evitare distress e nevrosi, come curarci dalle disfunzioni e le sofferenze. Tutto ciò in quanto l’essere umano da sempre tende allo  stare bene, è nella sua indole come tendenza primaria innata, tendere a godere della sua vita quale occasione fantastica unica e irripetibile. Nel mondo del lavoro  la” madre saggia” è stata generosa a partire dai test attitudinali, ai corsi di formazione, le dinamiche di gruppo, l’azienda come grande famiglia, la psicologia dei leader, del promotore, psicologia del mercato, del consumatore etc. non ha trascurato nessuno al punto che, teoricamente oggi sappiamo, quasi tutti, cosa è positivo e cosa ci danneggia. Sulla carta si è portati a pensare che l’uomo padroneggia la sua vita con cognizione di causa, ci siamo molto evoluti e il  mondo del lavoro, teoricamente, si presenta come un salotto dove intrattenersi con piacere ed utilità. Eppure mai come ora, proprio nel mondo del lavoro, l’uomo distrugge se stesso sopraffatto dalle leggi del mercato economico in seguito alla globalizzazione. L’innovazione tecnologica, con l’informatizzazione dei processi lavorativi nelle imprese e negli scambi sociali, ha prodotto la decimazione dei posti di lavoro tradizionalmente inteso, generando  una mancanza sopperibile solo con i così detti lavori atipici: contratti a termine, lavori a chiamata, lavori stagionali, lavori a progetto, lavori part-time, lavori a breve temine, lavori intermittenti, lavori occasionali, lavori a domicilio e telelavoro.

 La vecchia concezione lavorativa, quella di entrare a far parte di una seconda famiglia per il resto della vita sta scomparendo. Le nuove formule lavorative sono contro ogni principio di benessere e salute mentale. Niente prospettive di carriera, niente certezze del domani, niente rapporti di colleganza e collaborazione; soli, isolati, tutti rivali di tutti, senza orari, senza garanzie di ritorni economici, niente confronti e rapporti umani duraturi. La precarietà, sul piano mentale produce stress, insicurezza e auto svalutazione con evoluzioni di sindromi ansioso/depressive e sul piano materiale l’impossibilità di realizzare concretamente qualunque progetto personale. Da quanto detto, e molto non detto, evince come il rimedio a volte è di gran lunga peggiore del danno.

 


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