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“Le 101 donne più malvagie della storia” tra realtà e fiction, perfidia e trasgressione

Creato il 12 aprile 2011 da Yourpluscommunication

“Le 101 donne più malvagie della storia” tra realtà e fiction, perfidia e trasgressioneStefania Bonura

Non è un caso che Lilith, la prima donna della storia dell’umanità, sia diventata, per il femminismo di qualche decennio fa, un’icona da ammirare e ricordare. Era sanguinaria e crudele, riferisce la memorialistica, ma anche determinata e libera. Trasgressiva, forte, selvaggia, ripugnante e affascinante, lontana anni luce dal luogo comune del gentil sesso, debole, compiacente e sottomesso. Dal terzo millennio prima di Cristo ai giorni nostri, storia e leggenda, ad ogni latitudine, sono affollate di donne crudeli, diaboliche, perdute, violente. Decise a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di realizzare i loro scopi, per interesse, per vendetta, per potere, per ribellione. Molto si è scritto fino a oggi sulle “donne cattive”, le serial killer, le amanti assassine, le donne affiliate alla criminalità organizzata, le avvelenatrici, le tiranne, sempre a caccia di un filo comune che somigli all’audacia e alla disobbedienza. Biografie, saggi tematici, analisi, romanzi a mezzo tra realtà e fiction.

“Le 101 donne più malvagie della storia” tra realtà e fiction, perfidia e trasgressione
Stefania Bonura, Le 101 donne più malvagie della storia, Newton Compton editori pag 426, euro 14,90.

Ora, per la collana “101″, sicuro punto di forza della Newton&Compton, è appena uscito il libro di Stefania Bonura, Le 101 donne più malvagie della storia, un “catalogo” delle perfide nei secoli, con altrettanti ritratti delle più crudeli signore del mondo. Ci sono maghe, streghe, imperatrici e regine, kapò e naziste come Ilse Koch o Irma Drese, matricide e assassine, fanatiche dei veleni e killer con la pistola. Una carrellata, una foto di gruppo della cattiveria di genere. In apertura, un’avvertenza: ci si chiede se queste donne siano tutte davvero colpevoli senza appello, oppure se almeno alcune abbiano pagato all’opinione pubblica del tempo il prezzo di chi non rispetta le regole in vigore e le vuole scavalcare, fino alla rivolta. Terreno scivoloso, questo, in cui Stefania Bonura si destreggia con abilità e misura e con quella giusta dose di leggerezza che rende piacevole ogni lettura. E, a prova di quanto a volte sia più potente il pregiudizio della giustizia, emerge il caso di Madeleine Smith, giudicata innocente nel 1857 per l’avvelenamento del suo amante, eppure condannata dalla società vittoriana per le sue lettere scabrose, prodotte in giudizio come prova di inappellabile colpevolezza.

“Le 101 donne più malvagie della storia” tra realtà e fiction, perfidia e trasgressione
Ilse Koch

Ecco allora la galleria delle più cattive dividersi in almeno tre categorie: le donne che hanno sparso sangue e malvagità per il potere come Isabella di Castiglia o Maria I Tudor detta La sanguinaria. Le criminali, come  Mary Ann Cotton, vedova di professione, o come la saponificatrice di Correggio, quella Leonarda Cianciulli che, nei primi anni Quaranta, bollì in un pentolone le sue vittime, uccise per danaro. Mentre nel terzo gruppo Bonura riunisce quelle donne che, rese personaggi dalla mitologia, dalla leggenda e dalla fantasia popolare, sono poi state raccontate dalla parola, dal teatro o dal cinema, da Medea a Lady Macbeth, da Abby e Martha Brewster di Arsenico e vecchi merletti a Crudelia De Mon.

“Le 101 donne più malvagie della storia” tra realtà e fiction, perfidia e trasgressione
Mary Ann Cotton

Una vetrina di donne perverse e malvagie, perché?
Esplorare il lato oscuro delle persone è sempre interessante, ma non è stata solo la curiosità a indurmi in questa piccola impresa. Da sempre, e si parla almeno dai tempi della Bibbia, le donne sono state descritte come figure angeliche o demoniache, senza mezzi termini, in ogni caso come figure passive, vittime cioè della propria natura, “gentile” o “debole”. Qui, in questo elenco nero, ho voluto selezionare al contrario donne ingegnose, intriganti, spietate che hanno agito consapevolmente, protagoniste, attive, con uno scopo da perseguire, seppure malvagio. Per fare un esempio, tra Eva e Lilith ho preferito la seconda, poiché sceglie di vivere la notte alla luce del giorno. Ha optato cioè per un territorio riarso e selvatico in piena consapevolezza preferendolo all’Eden, per disobbedienza. Molte donne, nei secoli, si sono macchiate di atrocità proprio per superare “i condizionamenti”, con una lucidità che inquieta e attrae allo stesso tempo. Non la disperazione, non l’oppressione che muove la vittima a un gesto estremo, ma il freddo calcolo per raggiungere una posizione, un ruolo. Le innumerevoli avvelenatrici di tutti i tempi dispensavano arsenico per denaro. Irene di Bisanzio fece accecare il figlio Costantino per non dovere spartire con lui il potere. Risulta difficile, quasi indigesto, pensare che un genere così “delicato” possa immergersi nel fango e rotolarcisi dentro con piacere, tanto che persino la legislazione italiana in fatto di criminalità organizzata non riuscì, fino agli anni Settanta, all’arrivo di Ninetta Bagarella, a concepire e prevedere la punibilità di una donna affiliata a una cosca mafiosa, quasi fosse incapace di intendere e di volere. Questo è il punto: se si ammette che le donne sono capaci di intendere e di volere bisogna riconoscerne anche gli eventuali intenti malvagi.

“Le 101 donne più malvagie della storia” tra realtà e fiction, perfidia e trasgressione
Ninetta Bagarella

Lei ha analizzato fatti e misfatti di queste eroine nere, c’era in loro anche ribellione, o solo crudeltà?
No, non si tratta di “mostri” di crudeltà. Si tratta piuttosto di profili complessi, un miscuglio talvolta inestricabile e incomprensibile di intenzioni malvagie, volontà di emergere, spirito di libertà. Molte delle donne che ho inserito, in realtà, sono state giudicate troppo severamente. Alcune, in effetti, sono state etichettate come malvagie più per il loro comportamento al di fuori delle righe che per crudeltà, per avere cioè varcato un territorio alla donna socialmente e culturalmente precluso. Mi riferisco a tutte quelle che hanno lottato per il potere, utilizzando strumenti che per un uomo sarebbero stati più che leciti: Cleopatra, Teodora di Bisanzio, Elisabetta I, Francisca de Zubiaga, la Thatcher e altre, sono state considerate cattive, a più riprese e con toni differenti, e oggi in molti casi riabilitate, semplicemente per aver impugnato uno scettro con tenacia, mostrandosi, al pari dei loro colleghi maschi, prive di scrupoli e insensibili verso antagonisti e nemici. E che dire delle piratesse che, oltre a mostrarsi con indumenti maschili, hanno anche sguainato spade e sciabole? Certo, in alcuni casi, lo spirito di rivalsa si è tramutato in un panorama a tinte fosche. È il caso delle sorelle Papin, le due graziose domestiche di una famiglia alto borghese di Le Mans, nella provincia francese degli anni Venti del Novecento. Le due fanciulle, sottoposte ai continui rimbrotti e alle umiliazioni dell’insensibile padrona di casa finirono per strappare a lei e alla sua petulante figliola gli occhi. Una mutilava la prima e l’altra la seconda, in una sorta di orrido rituale che, tuttavia, venne all’epoca interpretato, soprattutto da surrealisti ed esistenzialisti, come un terribile urlo di ribellione che si elevava a gran voce contro un giogo insopportabile a cui la società le aveva costrette.

“Le 101 donne più malvagie della storia” tra realtà e fiction, perfidia e trasgressione
le sorelle Papin

Che cosa lega tante donne, diverse per età, epoca e cultura eppure uguali nella vocazione al sangue e al crimine?
Il panorama è così ampio e complesso, così volutamente ricco di casi ben distanti gli uni dagli altri, che è difficile tracciare un denominatore comune. Ci si potrebbe affidare alle statistiche che mettono in luce un modo d’agire e delle motivazioni prevalenti, che contraddistinguono proprio il genere femminile, e che tuttavia nel tempo sono mutati. Dall’antichità fino al secolo scorso, ad esempio, lo strumento più usato dalle assassine è stato il veleno. Le pozioni di Locusta, l’”acqua tofana” di Teofania d’Adamo e Giulia Tofana, la “cantarella” dei Borgia, la “polvere di successione” della Brinvilliers, l’”aceto miracoloso” di Giovanna Bonanno. Anna Zwanziger, prima di essere giustiziata nei primi dell’Ottocento a Norimberga, affermò che nella sua vita aveva avuto un solo vero amico: l’arsenico. Anche Medea, nella sua terribile furia vendicatrice, alla fine ricorre a questo metodo, “più sicuro”, in cui peraltro è pratica. Case infestate da conati, spasmi, diarree, contrazioni, tormenti intestinali. Questo è l’ambiente in cui ha agito per secoli la donna che si è data al crimine. Colpendo, appunto, per lo più familiari o conoscenti, per motivi pratici, come intascare un’assicurazione, ereditare o, più raramente, per follia omicida. Oggi le cose sono un po’ differenti. Si può dire che il principe dei veleni sia caduto in disuso, sostituito da sedativi e medicinali, talvolta, ma sempre più spesso da armi normalmente attribuite all’altro genere. Gangster, mafiose e serial killer riempiono sempre di più le pagine dei giornali. Anche nell’immaginario collettivo è più facile vedere vendicatrici minacciose e atletiche armate di calibro 38 che goffe governanti munite di pozioni esiziali.

Fonte: La Repubblica


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