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Le atomiche della Repubblica Popolare Cinese, quali prospettive per il disarmo?

Creato il 21 novembre 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Daniel Angelucci

Il divieto totale, la completa distruzione delle armi nucleari e l’istituzione di un mondo libero da armi nucleari sono l’aspirazione comune di tutte le persone che amano la pace, da tutti i paesi del mondo” – Cheng Jingye (Ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese, 30 aprile 2012).

Cenni sulla posizione cinese in tema di dottrina e disarmo nucleare

Le atomiche della Repubblica Popolare Cinese, quali prospettive per il disarmo?
Dal suo primo test nucleare, risalente all’ottobre del 1964, la Cina ha aderito ad una dottrina nucleare unica nel suo genere. Le forze nucleari cinesi sono predisposte ad un unico scopo: quello di rendere una efficace rappresaglia contro qualsiasi minaccia di attacco nucleare. Ne consegue che qualsiasi Stato che intenda minacciare o portare a termine un attacco atomico contro Pechino deve tener conto del rischio di una rappresaglia, una prospettiva che dovrebbe, nei calcoli cinesi, essere sufficiente a scoraggiare gli eventuali aggressori.

Da ciò deriva che, essendo l’obiettivo strategico cinese quello di avere un deterrente contro un attacco nucleare, la Cina non necessita di un arsenale di vasta scala ma di una (relativamente) piccola, credibile, forza di rappresaglia atomica (tra le 200 e 300 testate nucleari contro le circa 10.000 armi atomiche della Russia).

Volendo definire l’arsenale nucleare cinese, esso ha una natura puramente difensiva. Diversamente dalle altre potenze nucleari, le armi atomiche non sono per la Repubblica Popolare Cinese (RPC) un espediente per intimidire altri Stati e per raggiungere scopi politici.

Tale asserzione radica sul fatto che la Cina offre la garanzia incondizionata che essa non sarà la prima ad utilizzare le armi nucleari (no first use – NFU). Questa garanzia è il vero caposaldo della dottrina nucleare cinese ed ha contraddistinto il pensiero ufficiale cinese in questo ambito sin dalle origini dello stesso programma militare atomico. Tale clausola di no first use non solo riflette pienamente la missione delle forze nucleari cinesi, ma ha nel tempo determinato le dimensioni, la configurazione, il livello di allerta ed il ritmo di sviluppo dell’arsenale in questione.

Alla politica di NFU si accompagna una seconda garanzia, in base alla quale la Cina dichiara di non usare o minacciare (sotto qualsiasi circostanza) l’uso di armi nucleari contro qualsiasi Stato che sia privo di tale tipologia di armamenti (negative nuclear assurances, NSA). Questi impegni senza compromessi sono sfociati naturalmente in un supporto da parte di Pechino alle c.d. Zone Libere da Armi Nucleari (Nuclear Weapons Free Zones).

Fin dai tempi di Mao Tse–tung, il giudizio verso le armi nucleari era molto duro: si credeva che queste fossero armi inumane, che ponevano una grave minaccia a tutta l’umanità e che pertanto dovevano essere completamente proibite ed eliminate. Tuttavia prese il sopravvento quella che veniva considerata l’unica alternativa per assicurare la difesa nazionale, e cioè, lo sviluppo delle proprie bombe atomiche, conferendo a queste una valenza strettamente difensiva; con le parole dello stesso Mao:

è possibile per il nostro Paese produrre alcune bombe atomiche, ma non abbiamo intenzione di usarle. Perché vogliamo produrle se non abbiamo intenzione di usarle? Le usiamo come armi difensive. Ad alcune potenze nucleari, soprattutto gli Stati Uniti, piace usare le bombe atomiche per minacciare altri Paesi” (Agosto 1964).

Diventa cosi chiaro come la Cina abbia sviluppato le armi atomiche al fine di poter resistere ai potenziali ricatti, alle minacce e alle coercizioni poste in essere dalle grandi potenze nucleari. Non sorprende dunque se la Repubblica Popolare Cinese ha mantenuto le sue forze nucleari al minimo indispensabile per l’autodifesa. Nelle dichiarazioni ufficiali la Cina è stata sempre favorevole all’abolizione delle armi nucleari, richiamando l’attenzione sulla necessità di concludere uno o più trattati internazionali a tal fine.

Coerentemente con la propria dottrina nucleare e con la modestia del proprio arsenale atomico, Pechino ha reso, in più occasioni, un preciso contributo teorico a favore del disarmo nucleare che si può sintetizzare nei seguenti punti:

1. Il prerequisito per la realizzazione di un mondo libero da armi nucleari risiede nella fondazione di un nuovo, giusto, leale ed equo ordine internazionale nel quale gli obiettivi del disarmo possono fare reali progressi. Solo abbandonando l’egemonismo, la politica di potenza ed il perseguimento di un’assoluta superiorità militare può ogni Paese beneficiare di un senso di sicurezza che renda poco attraente (e persino non necessario) lo sviluppo o il mantenimento di armi nucleari;

2. il disarmo nucleare deve seguire un approccio di riduzione graduale mantenendo gli equilibri geostrategici senza compromettere la sicurezza e le prospettive di difesa di nessun Stato;

3. gli Stati con i più grandi arsenali nucleari sono gravati da una maggiore responsabilità in tema di disarmo nucleare;

4. le potenze nucleari devono quanto prima ed in maniera legalmente vincolante assumere sia la clausola di no first use delle armi nucleari, sia la garanzia di non minacciare l’utilizzo di tali armi contro Stati privi di armi nucleari e contro le Zone Libere da Armi Nucleari;

5. tutti gli Stati dovrebbero aderire, firmare e ratificare (senza riserve) tanto il Trattato di Non Proliferazione nucleare (TNP) quanto il Comprehensive Nuclear Test Ban Treaty (CTBT), ossia quel trattato che proibisce tutte le esplosioni nucleari in qualsiasi ambiente o condizione, sia a scopi civili che militari. Pechino si aspetta altresì che la comunità internazionale negozi e concluda un trattato che proibisca la produzione di materiale fissile per scopi bellici.

Complessivamente si può affermare che la Repubblica Popolare Cinese è tra le potenze atomiche che hanno tenuto nel tempo un approccio responsabile verso il controllo degli armamenti nucleari. C’è, infatti, da tener presente che la RPC è stata la seconda nazione a firmare il CTBT (dopo gli Stati Uniti) e, benché debba ancora ratificare il Trattato, essa s’è attenuta dal 1996 ad una moratoria di fatto sull’esecuzione di test nucleari (insieme a Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti). Inoltre, bisogna riconoscere il contributo “dottrinale” di Pechino che, come abbiamo visto, ha dato un ruolo limitato alle armi nucleari nella complessiva strategia di sicurezza nazionale.

Se queste sono le premesse teoriche circa la visione cinese della complessa questione del disarmo nucleare, occorre ora individuare le dinamiche reali, gli ostacoli, le condizioni e gli strumenti in base ai quali si sbloccano gli “ingranaggi” del disarmo e diventa verosimile che la Cina prenda parte a concreti processi multilaterali per la riduzione del suo già comparativamente modesto (sia in termini qualitativi che quantitativi) arsenale nucleare.

Le logiche strategiche del disarmo nucleare

Negli anni successivi alla fine della Guerra Fredda, il contesto strategico è mutato eccezionalmente dando spazio ad un nuovo scenario internazionale tendenzialmente propizio al disarmo nucleare. Complessivamente Stati Uniti e Russia (ex Unione Sovietica) hanno dato il via a tagli sostanziali ai loro armamenti che sono stati, nell’insieme, dimezzati dalle 50.000 testate nucleari alle circa 25.000 nel 2008. Nel 1995 è stata estesa in via indefinita ed incondizionata la durata del TNP, è stato firmato il già ricordato CTBT. Dal 1996 le cinque potenze nucleari riconosciute dal TNP osservano la moratoria sull’esecuzione di test nucleari, ed infine, si sono astenute dal produrre ulteriori materiali fissili.

Malgrado questi aspetti positivi, se escludiamo la Cina, attualmente le quattro potenze nucleari ufficialmente riconosciute (Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti) affermano di essere pronte ad utilizzare per prime le loro armi nucleari se la sicurezza del Paese lo esige. Inoltre, le stesse quattro potenze ritengono che le loro armi nucleari giochino un ruolo indispensabile nel mantenimento della sicurezza e per altri scopi di natura politica.

Su questo sfondo si pone la sfida di cui si va qui argomentando, e, cioè, come sciogliere i nodi che impediscono la riuscita di sforzi multilaterali per il controllo degli armamenti nucleari? Sfortunatamente, secondo la prospettiva di Pechino (e nonostante le riduzioni di armamenti nucleari operate da Russia e Stati Uniti) lo scenario attuale si presenta come una riproposizione in piccolo dell’era di Guerra Fredda. In particolare la principale minaccia per la Cina deriva dall’ambizione degli Stati Uniti ad un rafforzamento della sua superiorità nucleare e dagli sforzi di Washington per il dispiegamento di missili difensivi. Se gli USA rinnoveranno i loro sforzi al fine di aggiornare la qualità delle loro forze nucleari, la Repubblica Popolare Cinese potrebbe essere sempre meno fiduciosa circa l’affidabilità del suo piccolo arsenale di garantire una efficace rappresaglia.

Se guardiamo al programma missilistico difensivo degli USA, il sospetto di Pechino è che questo programma sia inteso a neutralizzare le forze nucleari cinesi: ne consegue che la Cina non ha altra alternativa che velocizzare il ritmo ed ampliare l’ambito della modernizzazione dei propri armamenti atomici.

A questo punto si può affermare che i principali ostacoli per il coinvolgimento della Cina in un processo multilaterale di disarmo nucleare sono, in primo luogo, la nuova dimensione qualitativa che gli Stati Uniti stanno imprimendo alle proprie armi; in secondo luogo, l’ancora elevato livello quantitativo di testate nucleari possedute dalle superpotenze protagoniste della Guerra Fredda. Pechino ha sempre sostenuto che si sarebbe unita a Mosca e a Washington nel processo di disarmo quando queste due si fossero assunte le proprie responsabilità in tema di disarmo, il che, tradotto in numeri, corrisponderebbe (secondo la valutazione di alcuni analisti) a circa 800-1000 testate nucleari per ognuna delle superpotenze.

D’altra parte è stato segnalato come la riluttanza della Cina a prender parte a negoziati multilaterali per il disarmo nucleare sia dovuta in gran parte alla sua poca esperienza nell’ambito della “diplomazia del disarmo”. C’è inoltre da aggiungere che la diversità tra le dottrine nucleari dei pPesi interessati contribuisce ad ostacolare il processo di disarmo perché tende a porre su punti di partenza molto diversi i soggetti che devono negoziare le riduzioni degli armamenti atomici.

E’ stato osservato come queste difficoltà potrebbero essere trasformate in opportunità se le cinque potenze nucleari creassero appositamente un foro multilaterale per la negoziazione del disarmo nucleare. Un simile consesso permetterebbe di superare le divergenze filosofico–strategiche circa l’utilizzo e la produzione delle armi atomiche. Inoltre, in tale contesto, la Cina potrebbe far valere la propria politica di “auto–contenimento” sull’arsenale nucleare, invitando le altre potenze ad assumere reciproche limitazioni in tema di armamenti.

In verità, una sede multilaterale per il controllo delle armi atomiche rappresenterebbe per Pechino un luogo adeguato dove risolvere il dilemma strategico dei missili difensivi che gli USA stanno sviluppando e che, come s’è visto, sono un fattore che spingerebbe la Cina a rivedere e a potenziare il proprio arsenale atomico.

E’ interessante notare che in un ipotetico foro per il disarmo la Cina potrebbe giocare un ruolo da protagonista, portando sul tavolo dei negoziati numerosi elementi della sua dottrina nucleare che, come abbiamo visto, è improntata ad un assetto difensivo.

Se le altre potenze, ispirate da Pechino, accettassero di riconoscere alle armi atomiche un ruolo minore nelle loro dottrine di sicurezza, non sarebbe più opportuno (e strategicamente fattibile) accedere ad una politica di limitazione di tali armamenti? Se tutte le potenze nucleari si convincono che l’unico scopo delle armi atomiche è quello di sventare una aggressione con armi dello stesso tipo per effetto del meccanismo di deterrenza, allora sarebbero sufficienti non più di qualche centinaio di testate per ognuno degli Stati nucleari.

Un foro multilaterale sul disarmo sarebbe il luogo ideale per discutere e negoziare misure sul controllo delle armi atomiche. Come abbiamo visto, diversi sono i potenziali contributi che la Cina può offrire in un simile contesto: come ultimo esempio, quello di suggerire alle altre potenze di ridurre in maniera sostanziale il numero di testate operative montate sui missili e pronte al lancio. Un simile provvedimento non solo ridurrebbe il rischio di incidenti, ma aiuterebbe a limitare anche le tensioni tra le potenze nucleari.

Fatta salva la precondizione imprescindibile affinché Pechino acceda ad un processo di controllo degli armamenti, e cioè un rinnovato e concreto impegno di Russia e USA nel ridurre le loro testate, quali sono gli ulteriori fattori che possono condizionare il disarmo nucleare? Secondo alcuni analisti cinesi sono quattro i fattori in tal senso determinanti:

1. la ratifica del Comprehensive Nuclear Test Ban Treaty (CTBT);

2. la negoziazione, firma e ratifica del Fissile Material Cutoff Treaty (FMCT);

3. la negoziazione, firma e ratifica del Trattato sulla prevenzione di una corsa agli armamenti nello spazio (Prevention of an Arms Race in Outer Space – PAROS);

4. la concessione, da parte delle potenze nucleari, di garanzie di non usare e di non minacciare l’uso di armi nucleari contro Stati privi di tali armamenti (Negative Security Assurances – NSA –).

I primi due fattori limiterebbero lo sviluppo di armi nucleari in termini sia qualitativi che quantitativi; il terzo fattore è idoneo a prevenire la militarizzazione dello spazio; mentre l’ultimo fattore servirebbe a ridurre gli incentivi per gli Stati privi di armi nucleari a sviluppare il proprio programma militare nucleare per affrontare il ricatto delle potenze atomiche.
I progressi sul versante del FMCT e del CTBT (di cui manca il momento cruciale della ratifica) sono influenzati dalla valutazione che Pechino ha circa il proprio fabbisogno di armi nucleari. A sua volta, tale valutazione dipende da alcuni elementi, quali il livello di minaccia percepita e la fiducia nelle sue capacità di difesa (convenzionali e non). Quanto più la Cina si sente sicura della propria posizione strategica in relazione ai propri armamenti, tanto più essa sarà predisposta al disarmo nucleare.

A questo punto sarà ovvio agli occhi di chi legge, che il disarmo nucleare è una questione di natura fondamentalmente strategica, dove le scelte degli attori coinvolti sono interdipendenti e si influenzano a vicenda. Per motivi di spazio non possiamo rendere conto delle interazioni di tutti i soggetti coinvolti. Tuttavia, è imprescindibile una sintetica analisi del rapporto che lega sul piano del disarmo Pechino a Washington.

Sono tre gli specifici sviluppi della politica di difesa USA che incidono sulla posizione cinese in tema di disarmo nucleare:

1. data la fine della Guerra Fredda ed il tendenziale declino dell’arsenale nucleare di Mosca, la Cina teme che gli USA stiano acquistando una posizione di predominio indiscusso sul piano nucleare che porterebbe Washington ad una politica estera più aggressiva ed unilaterale;

2. secondo analisti cinesi, gli Usa sono impegnati in uno sforzo per lo sviluppo di nuove tipologie di armi nucleari che andrebbero ad aumentare il gap rispetto al limitato arsenale cinese. Questo cambiamento negli equilibri di potere porterebbe a nuove corse agli armamenti e indurrebbe Stati privi di armi nucleari a valutare l’opzione atomica, con complessiva vanificazione degli sforzi per la non–proliferazione.

3. in terzo luogo, abbiamo già ricordato la questione dei missili di difesa dispiegati nell’Est-asiatico dagli Stati Uniti, che minano alle fondamenta la credibilità e l’affidabilità deterrente dell’arsenale atomico della Repubblica Popolare Cinese.

Come abbiamo visto, sarebbe quanto mai opportuno uno sforzo chiarificatore (in tutte e tre le direzioni di cui sopra) in una apposita sede negoziale dove, per esempio, gli USA potrebbero spiegare la ratio strategica del rinnovato sviluppo di missili difensivi e rassicurare la Cina, magari dispiegando i missili secondo una modalità che non collida con le aspettative e gli interessi di sicurezza cinesi.

Conclusioni

Nel corso degli anni Pechino è rimasta fedele alla propria politica nucleare basata su tre principi: no first use, un arsenale nucleare limitato e pieno appoggio al disarmo nucleare. Tuttavia la Repubblica Popolare Cinese continua a muoversi lentamente lungo un sentiero di progressiva modernizzazione delle proprie forze nucleari (in modo da garantire la loro funzione deterrente). La partecipazione di Pechino ad uno sforzo multilaterale per il disarmo dipende da diversi fattori, ma, in estrema sintesi, tutto dipende se da tale sforzo la propria sicurezza nazionale ne esca indebolita o fortificata.

Le minacce percepite e la necessità di salvaguardare gli equilibri strategici basati sulla deterrenza fanno si che la Cina mantenga un atteggiamento riluttante, specie se deve compiere i primi passi verso le iniziative di controllo nucleare. Tuttavia ci sono alcuni passi che le altre potenze possono compiere e che risolverebbero alcuni dilemmi strategici della Cina, ad esempio: il rilascio di una garanzia del tipo no first use renderebbe minore la rilevanza riservata alle armi atomiche e la minaccia rappresentata dalle stesse.

Un ruolo importante nel convincere Pechino a prender parte ad una iniziativa di disarmo lo giocano sicuramente gli Stati Uniti: rimangono, infatti, molte incomprensioni e malintesi tra i due Stati sui temi delle armi nucleari, della deterrenza e degli equilibri strategici. Le diverse politiche di difesa e la modernizzazione dei propri armamenti possono alimentare una dinamica a spirale (dilemma di sicurezza) tra i due Paesi che potrebbe essere evitata da una comunicazione efficace ed approfondita. Allo stesso modo la Cina è sospettosa del perseguimento da parte di Washington di una difesa missilistica, oppure, del rifiuto degli Americani di negoziare il trattato sulla smilitarizzazione dello spazio (PAROS). Come accennato sopra, sarebbe fortemente auspicabile uno scambio bilaterale dove chiarire tutte queste zone d’ombra. Infatti, nella visione cinese, il disarmo è strettamente legato alla stabilità strategica globale che difficilmente può scaturire da comportamenti unilaterali dalla equivoca interpretazione.

* Daniel Angelucci è Dottore in in Scienze Politiche (Università di Teramo)

Per approfondire:


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