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Le cose che non si raccontano

Creato il 01 settembre 2015 da Marika L

Ci sono cose che non si raccontano.
So che ora le mie amiche rideranno, perché ogni volta che torno da un viaggio le bombardo di parole e informazioni.
Sono ansiosa di fissare ogni ricordo, di condividere foto ed esperienze.

Comunque dicevo: ci sono cose che non si raccontano.
Non perché celino qualcosa di sbagliato, semplicemente perché quando torni da un viaggio e incroci le persone della tua quotidianità e ti chiedono "Come è andata?" all'improvviso si fa tutto buio, il cervello si appanna e spesso l'unica parola che riesci a pronunciare è benissimo.

Si dai, ci provi pure a formulare una risposta, come se davvero bastassero tutte le parole del mondo per spiegare cosa hai provato.
E' che hai bisogno di fare mente locale, cercando di riavvolgere il nastro e selezionare ciò che potrebbe interessare a chi ti sta ascoltando: i monumenti più famosi, le situazioni più strambe o divertenti, le metropoli più conosciute.
Di cose da raccontare ne avresti tante (e molte le racconti davvero agli amici più stretti) ma spesso le domande ti colgono impreparato, quindi ti ritrovi a chiudere a chiave nel cuore le giuste risposte per poi riversarle altrove, perché hai bisogno di tempo per metabolizzare, buttare giù qualche riga, correggerla se necessario.
Io le riverso qui.

Quelli che non si raccontano sono solitamente gli aspetti all'apparenza più futili, quelli che non danno quel qualcosa in più all'interlocutore ma che delineano, invece, l'andamento della tua esperienza.
Il mio viaggio in America è stato un mosaico di piccole cose, che se mi affaccio sui ricordi mi viene il vuoto e vorrei incatenarli tutti per non farli mai scivolare via.
Per non permettere ai contorni di dissolversi.

Il primo tassello del mosaico su cui poso lo sguardo è forse quello più importante.
Il contatto umano.

Se provassi a contare tutte le persone con le quali mi sono relazionata credo non riuscirei a finire prima di una settimana.
Ogni volta che ci siamo persi sulla Route 66 -ed è successo molto spesso- abbiamo sempre trovato qualcuno pronto ad aiutarci, a tracciare sulla nostra cartina linee immaginarie, a chiamare a sua volta qualcuno più esperto della zona.
Bastava entrare nei piccoli negozi per riconoscere i sorrisi di chi è pronto a tempestarti di domande e a questo proposito mi viene in mente Oleta, l'anziana proprietaria di un negozio di souvenirs a Erick, in Oklahoma.
Ci siamo imbattuti in Oleta letteralmente per caso, cercando un altro negozio. Non appena siamo entrati le si sono illuminati gli occhi e quando , dopo le millemila domande di rito sulla nostra provenienza e il nostro percorso, le abbiamo chiesto se avesse souvenirs sulla Route 66 lei ha scosso la testa e si è mortificata ma poi è corsa a prendere una calamita di Erick dicendo "Questo è un regalo, così vi ricorderete per sempre di me".
Dopo varie insistenze la calamita l'abbiamo pagata, ma quando siamo risaliti in macchina mentre lei ci salutava con la manina sentivamo di aver comunque ricevuto un regalo da Oleta, molto più grande di una calamita.

Guardo meglio nel tassello del contatto umano e compare la figura di un uomo di colore, con il viso dolce e parecchi denti persi. Si chiama George, è il nostro vicino di casa a Exuma. Quando George è venuto a prenderci nel minuscolo aeroporto dell'isola ci siamo immediatamente resi conto del suo debolissimo udito e di una cataratta che lo ha reso praticamente cieco, non impedendogli però di scorrazzare ovunque con la sua jeep e di mantenere vivo il suo entusiasmo.
Osservando il mare gli ho detto "George, la tua terra è magnifica" e lui mi ha abbracciata forte.
"Non è la mia terra, è la nostra. Qui siete a casa."

E poi ci sono quelle persone che vengono dall'Italia come te e che si imbattono nel tuo cammino quasi per caso in un minuscolo paesino della Route 66 e poi finisci per essere triste quando devi salutarle parecchi chilometri dopo, con la promessa di rivedervi presto.
Succede che scopri un feeling unico e ti ritrovi a trascorrere sulla strip di Las Vegas una delle serate più belle della tua vita, ma questa è un'altra storia.

Il secondo tassello del mosaico è occupato dalla strada, protagonista assoluta.
Credo di non esagerare se affermo di aver trascorso più tempo dentro l'auto che fuori. Chi ama i viaggi on the road saprà benissimo a cosa mi riferisco quando parlo di magia, quella che senti nascerti dentro quando le ruote toccano un asfalto che hai sempre visto solo e soltanto da lontano.
La strada è una continua sorpresa, un susseguirsi di soste programmate e non. E' l'arrivare stanchi e stremati nel motel dopo ore trascorse al volante (o accanto, come nel mio caso), ma se c'è una cosa che nessun altro tipo di viaggio potrà mai darti quanto un on the road è il senso di libertà assoluta.
Non credo sarò mai in grado di trasformare in parole l'emozione che ho provato quando mi sono trovata di fronte ai cartelli di inizio e fine della Route 66, non pensavo che realizzare un sogno potesse equivalere ad un pugno nello stomaco. Positivo certo, ma davvero tanto forte.

Avrei voluto cancellare tutti i passanti e sedermi sul marciapiede ad osservare le insegne perché, per me che sono troppo emotiva e mi commuovo anche per una cavolata, quei momenti sono stati qualcosa di incredibile. Ho interpretato sia l'inizio che la fine come traguardi, in entrambi i casi il pensiero è stato il medesimo: sono qui, ce l'ho fatta.

Il terzo tassello è quello della routine.
Un viaggio in America di un mese, per forza di cose, ti costringe ad adottare dei ritmi particolari ai quali si accoda uno stravolgimento delle abitudini di casa e l'adozione di nuove prassi. Quello che non racconti è il supermercato di periferia, le insalate mangiate nel parcheggio con l'aria condizionata a palla, i panini preparati prima di uscire, le colazioni improvvisate, il ghiaccio gratis dei motel e il refrigeratore che ti salva la vita e ti fa risparmiare un bel pò.
Gli autogrill, i caffè in formato gigante divisi e il chiedersi che giro stiano facendo i viaggiatori che incroci per pochi secondi, le volte in cui rimani quasi a secco ma poi compare una pompa di benzina in lontananza.
La playlist e le canzoni che danno un volume al paesaggio fuori dal finestrino, i motociclisti che ti salutano e il rendersi conto che si, la stai percorrendo davvero quella strada che sogni da tutta la vita.

Il quarto tassello invece lo occupano le diversità.
Credo di aver posato gli occhi, durante questo mese, su tutti i colori del mondo. Ho visto posti talmente tanto differenti tra loro da far credere che sia impossibile che si trovino a così poca distanza l'uno dall'altro. Sono passata dal deserto alla metropoli nel giro di poche ore, dalle strada sterrate a quelle piene di fast-food e motel, dal neon delle luci di Miami al mare di Exuma, che potresti seriamente passare una vita a contarne le sfumature di blu.
Ho dormito in hotel bellissimi e motel da film horror, ho mangiato bistecche in ristoranti rinomati e pasti improvvisati sul marciapiede di stazioni di benzina abbandonate. Mi sono emozionata di fronte a posti incredibili e ho storto il naso per quelli che mi hanno delusa.

Ma se dovessero chiedermi cosa cambierei del mio viaggio in America, ad occhi chiusi risponderei nulla, assolutamente nulla, neanche il terremoto a San Franciso, le strade sbagliate, i nervosismi dettati dalla stanchezza, gli alloggi tremendi.

Sono partita con il cuore pieno di curiosità, con gli occhi ansiosi di sbranare ogni centimetro di paesaggio.
Il viaggio non è solo piccoli momenti, certo, è anche luoghi celebri e metropoli da copertina. E' vero, forse alcune cose non le racconterai mai a chi ti chiede "Com'è andata?", forse alcune cose resteranno per sempre tra te e il tuo compagno di viaggio, tra le cinque porte di un'auto, forse a nessuno interessa di panini e motel e pompe di benzina.
Ma quando vivi qualcosa tanto intensamente, sono anche i dettagli che non si possono immortalare a fare la differenza.

Ho superato alcuni miei limiti (esistono per questo, giusto?), ho riso un sacco, ho riso di pancia.
Cercavo delle risposte e il mio viaggio in America me le ha date, ora non mi resta che trovare una soluzione alle nuove domande che ho messo in valigia.
Ho imparato a ribaltare gli imprevisti e per ultimo, ma non meno importante, sono tornata a casa senza rimpianti.
Com'è andata? Benissimo, decisamente benissimo.


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