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Le destre in Europa: una chiave di lettura

Creato il 01 novembre 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Stefano Martella

Le destre in Europa: una chiave di lettura
Negli ultimi anni in Europa sta proliferando un fenomeno che preoccupa sia l’establishment  politico sia intellettuali e parte della popolazione civile: la perdurante crisi finanziaria sta alimentando, infatti, la nascita e la diffusione di partiti e movimenti di estrema destra. Se per alcuni Paesi il fenomeno ha creato problemi di ordine pubblico e disequilibrio di un assetto politico consolidato, nell’immaginario collettivo sono cominciate a sorgere preoccupanti analogie con il passato: il crollo dei partiti e l’esplodere di una crisi economica sono state le cause che hanno permesso la salita la potere di Hitler e Mussolini.

Paragonare il presente al passato è sempre stata una seduzione forte. Tuttavia far rientrare tutti i movimenti di estrema destra nel calderone del fascismo può essere un errore di valutazione: la dittatura fascista e nazista fa parte del passato e difficilmente si riprodurrà nelle sembianze a noi conosciute. In cosa la “nuova destra” attuale è differente rispetto a quella del passato? Quali sono le sue caratteristiche? In passato si riteneva che gli elementi distintivi dell’estrema destra fossero la violenza del comportamento e il rigetto delle istituzioni democratiche. Questa semplificazione non vale più nel presente. Attualmente i più grandi partiti della nuova destra rifiutano l’etichetta di “estremi” e professano legalità: il rispetto delle regole istituzionali è il prezzo da pagare per sedere in Parlamento e occupare incarichi governativi. Il fascismo controrivoluzionario era un’altra cosa. Certamente attorno a questi partiti gravitano spesso dei movimenti che auspicano una radicale trasformazione dell’ordine sociale e istituzionale. Ma un aspetto non esclude l’altro.

Caratteristiche e organizzazione della nuova destra: l’importanza del Fronte Nazionale francese

L’estrema destra non ha mai costituito un insieme ideologicamente omogeneo. Tuttavia, la nascita della nuova destra europea si riferisce ad un anno in particolare e presenta un artefice specifico: nel 1984 una modesta formazione politica della destra francese, sotto il nome di Fronte Nazionale, ottiene due deputati alle elezioni europee. Il suo leader, Jean-Marie Le Pen, allora forse non immaginava che il suo partito si sarebbe rapidamente imposto nella scena nazionale e che avrebbe portato nuova linfa ad una nascente destra europea. Il FN si presenta come il perfetto modello per descrivere le caratteristiche dell’avanzare di una nuova forza politica. Le Pen ha dato il via ad una nuova forma di destra che presto avrebbe ispirato numerosi movimenti analoghi in Europa.

In prima analisi è interessante notare che il FN ha sempre rifiutato l’etichetta di “estremista”, tanto che Le Pen ha portato in tribunale quanti definivano in questi termini il suo partito. Al riguardo pochi conoscono o ricordano ciò che il leader scriveva nel 1978: “estrema destra è una espressione equivoca nella misura in cui comporta la parola estrema. I nostri avversari confondono volontariamente una posizione geografica sullo scacchiere politico con una posizione di estremismo politico. La nostra filosofia, il nostro principio ispiratore e il nostro programma non sono estremisti e di conseguenza noi occupiamo una posizione che è vacante”.

“Vacante” è la parola centrale del discorso. Il rifiuto di essere relegato in un angolo estremo dello scenario politico, e di conseguenza elettorale, è stato un punto chiave dell’escalation frontista. Il FN ha vinto proprio perchè è stato “vacante”, perchè non si è limitato a fare breccia solo nel suo elettorato base. Non ha dato punti di riferimento politico perchè le istanze che ha portato avanti hanno toccato la pancia della Francia, hanno fatto leva sulle paure e sulle delusioni che l’urbanizzazione e la globalizzazione hanno portato nelle città francesi. L’avvicinamento alle istituzioni della Quinta Repubblica, la richiesta di legalità, la battaglia contro l’immigrazione, la disoccupazione e la delinquenza, hanno permesso al FN di ottenere dei consensi trasversali. Il partito è riuscito da un lato a rassicurare gli elettori grazie ad un rivendicato rispetto delle istituzioni della Repubblica (primo punto di divergenza rispetto ai movimenti di estrema destra del passato), dall’altro ha “appassionato” su temi caldi che toccano la quotidianità dei cittadini. Questa mutazione ha permesso alla formazione di Le Pen di affermarsi come un partito della protesta sociale.

Facendo propri alcuni pensieri di Alain de Benoist, scrittore francese e fondatore del movimento culturale Nouvelle Droite, Le Pen ha fatto della critica al liberalismo e alla modernità dei cavalli di battaglia. Secondo tale pensiero questa modernità ha sgretolato il collante che unisce l’uomo alle sue appartenenze familiari, tribali, corporative o religiose; di conseguenza l’uomo di oggi è più solo, più povero e più vulnerabile. Per uscire da questa spirale bisogna dunque tornare alle “comunità e alle politiche a dimensione umana”, urge creare una società organica. Questa società dovrà essere “democratica” ma non nelle forme assunte nel mondo di oggi. La democrazia rappresentativa deve lasciare il posto ad una forma “partecipativa” in un’Europa organizzata su basi federali. Ripartizione del tempo di lavoro, economia al servizio dell’uomo, “ecologia integrale” e ritorno al locale come alternativa all’industrializzazione e all’urbanizzazione sono altre proposte di questa corrente di pensiero. Proposte che, paradossalmente, potrebbero tranquillamente collocarsi in un manifesto di una determinata sinistra terzomondista. Ma è proprio questa ambiguità, questo apparente paradosso, che rappresenta una seconda caratteristica della nuova destra e, allo stesso tempo, un rilevante punto di forza elettorale.

Un altro aspetto su cui vale la pena di soffermarsi riguarda la capacità del movimento di entrare capillarmente nella società francese: similmente a quanto compiuto dal Partito comunista negli anni Cinquanta, il FN ha provveduto ad un insediamento negli ambienti liceali e universitari, tramite soprattutto il sindacato studentesco. Numerosi sono stati i circoli e le federazioni sorte a vocazione frontista: per citarne due basti ricordare il “Cercle national des agriculteurs de France” e la “Fèdèration nationale entreprise moderne et libertès”, il cui obiettivo è stato quello di riunire piccole e medie imprese, commercianti, artigiani e liberi professionisti. E’ stata realizzata una sorta di contro-società in una Francia afflitta da incertezze identitarie. Il FN ha offerto dei luoghi e delle pratiche di aggregazione che gli altri partiti, ormai obsoleti, non sono stati in grado di garantire. Uno dei motivi principali del successo frontista è stato quello di incarnare una specie di grande “famiglia”, all’interno della quale i membri potevano condividere frustrazioni e speranze, ideali e obiettivi.

Uno studio svolto dalla sociologa Brigitta Orfali, esperta di psicologia sociale, cosi come tutte le analisi che osservano le ragioni che spingono all’adesione al partito di Le Pen, convergono verso il fatto che il FN abbia offerto una via d’uscita dall’isolamento in una società destabilizzata dalla massificazione. Tale aspetto ha influenzato i movimenti di destra europei più di quanto si possa immaginare.

Identità e l’equazione immigrazione = disoccupazione = delinquenza. Chi sono gli elettori di Le Pen?

Non è possibile tracciare un profilo omogeneo dell’elettore del FN in quanto esistono diversi elettorati frontisti. Da una parte vi è una base votante di destra, legata ai valori tradizionali di quest’ultima e proveniente da un contesto agiato e istruito; gli ideali traditi della destra, l’identità nazionale perduta a causa del multiculturalismo e la delinquenza portata dagli immigrati sono i tre temi su cui punta questa compagine. Dall’altra parte vi è un elettorato “misto”, proveniente anche da sinistra, maggiormente collocabile in fondo alla scala sociale. Su questo versante l’exploit del FN nelle file operaie e dei disoccupati è visibile già a partire dal 1986. Nei centri operai storicamente legati al PC (Ivry, Saint-Denis, Bagneux) i buoni risultati ottenuti da Le Pen cominciano a porre in evidenza un fenomeno rilevante: la “proletarizzazione” del FN e l’affermazione di quest’ultimo come “partito degli scontenti”. Tale aspetto conferma il fatto che l’avanzata frontista è avvenuta prevalentemente nelle regioni urbanizzate e industrializzate, dove gli abitanti hanno vissuto gli effetti delle ristrutturazioni economiche, della disoccupazione e del degrado delle periferie. Anche in questa compagine elettorale è presente la preoccupazione per la crescente delinquenza e la presenza di grandi concentrazioni di immigrati. In poche parole il vero e proprio “capolavoro” politico di Le Pen è stato quello di trovare un denominatore comune – il multiculturalismo e la critica all’establishment politico – in grado di accomunare due fasce elettorali, totalmente diverse tra di loro, in direzione del voto frontista.

Le Pen ha sfruttato alla perfezione l’equazione immigrazione = disoccupazione = delinquenza per accentrare il malessere sociale attorno ad una tematica scottante. Al riguardo è opportuno illustrare un esemplificativo quanto apparente paradosso: nelle realtà ad alta concentrazione di immigrati il FN ha ottenuto degli esiti elettorali relativamente bassi, mentre nelle aree scarsamente popolate dagli immigrati i consensi per il FN aumentano. Questo perchè Le Pen ha usato a suo vantaggio il cosiddetto “effetto alone”: “lo straniero è rifiutato con una forza direttamente proporzionale agli scarsi contatti che si hanno con lui e la sua vicinanza è percepita come una minaccia, amplificata dalle voci e dalla cassa di risonanza dei media”. L’immigrato rappresenta tutte le paure di un Paese i cui riferimenti identitari sono smarriti da una globalizzazione i cui vantaggi stentano ad essere visibili a tutti. Le Pen questo lo sa benissimo.

Dove e come l’estrema destra inquieta l’Europa

Oltre al FN, vi sono attualmente altre formazioni della “nuova destra” che preoccupano l’Europa unita. Sono quelle realtà, tra loro molto variegate, che pongono l’accento su un marcato scontro frontale, sull’intransigenza – talune volte violenta – dei loro ideali. Sono quelle realtà del “muro contro muro”, dello scontro di civiltà, dei rigurgiti sciovinisti. In questo contesto vi sono sia partiti che movimenti extraparlamentari, entrambi caratterizzati da quella varietà di sfaccettature che contraddistingue l’estrema destra odierna.

Le destre in Europa: una chiave di lettura

All’interno del panorama europeo possiamo inquadrare quattro Paesi che stanno vivendo in prima persona le quattro peculiarità della destra che spaventa l’Europa. Quattro Paesi per quattro contesti differenti: l’Olanda e l’islamofobia, l’Ungheria e l’euroscetticismo, la Gran Bretagna e l’estrema destra “di strada”, la Germania e il terrorismo bruno.

Pur uscendo ridimensionato dalle ultime elezioni, Geert Wilders, leader del Partito per la libertà, incarna ancora quel sentimento di ostilità verso l’Islam che è un aspetto di una parte della destra europea. Anche se i fatti recenti tenderebbero a portare l’epicentro della questione sulla Norvegia, l’azione politica di Wilders nei confronti dell’Islam è stata altrettanto, se non maggiormente, dura. Quando Wilders paragona il Corano al “Main Kampf”, non compie solo un propagandistico parallelismo tra l’Islam e il nazismo, ma condanna anche l’Islam nel limbo del nemico assoluto, del nemico dell’umanità. Contro tale nemico, propagatore di disvalore assoluto, potrebbe essere lecito compiere qualsiasi gesto pur di riuscire a fermarlo. Dunque l’immigrazione, sopratutto di individui musulmani, viene vista come la ragione principale dei problemi di welfare, alloggi, trasporti e infrastrutture. Ma l’azione politica di Wilders è anche la prova di come sia fuorviante catalogare tutta la nuova destra all’interno dei vecchi schemi. E’ un errore, ad esempio, dichiarare che tutta l’estrema destra è neonazista e antisemita. Il Partito della libertà ha nel suo programma l’appoggio incondizionato ad Israele, Paese che viene visto come un “fronte centrale nella difesa dell’Occidente contro l’Islam”.

In Ungheria, invece, domina l’euroscetticismo, sopratutto nei confronti delle istituzioni economiche internazionali. All’interno di questo Paese è cruciale il ruolo giocato da partito nazionalista Jobbik (Movimento per un’ Ungheria migliore), che si è ormai imposto come terza forza elettorale dopo il FIDESZ (Alleanza dei Giovani Democratici), gruppo politico del Premier Orban, e il MSZP (Partito Socialista Ungherese). La negazione della legittimità dell’UE è il cavallo di battaglia di Jobbik; ma chi ha “cavalcato” questo tema è stato sopratutto Orban che sta sfruttando i punti chiave del partito di Gabor Vona. La prova di tale connivenza potrebbe risiedere in Parlamento: almeno la metà delle leggi e degli emendamenti presentati da FIDESZ hanno raccolto il voto favorevole del partito nazionalista. La reciproca assimilazione politica tra le due formazioni appare evidente. Non sorprendono quindi le ultime uscite nazionaliste di Orban che, dopo la contestata modifica della Costituzione, ha adottato una linea intransigente nei confronti di Bruxelles. Il ferreo controllo governativo sulla Magyar Nemzeti Bank si unisce ad alcune dichiarazioni, rilasciate da Orban, che lasciano poco spazio all’interpretazione: “Non abbiamo accettato il diktat di Vienna del 1848 e ci siamo opposti a Mosca nel 1956 e nel 1960. Oggi non permetteremo a Bruxelles di decidere per noi” è una dichiarazione di circa un anno fa. L’attuale rapporto con il FMI è l’ulteriore prova di una difficile convivenza tra l’Ungheria e l’UE. Le dichiarazioni al vetriolo rimangono nel campo delle parole, la modifica della Costituzione con un maggiore stampo nazionalista è un dato di fatto.

La Gran Bretagna invece deve fare i conti con il particolare fenomeno dell’English Defence League (EDL). In questo caso si tratta di un vero e proprio movimento di strada, nato nel 2009 e formatosi nell’ambiente delle curve di calcio inglesi. E’ un movimento interessante per comprendere le dinamiche del “reclutamento di strada” delle frange più estreme dei movimenti. Sebbene l’orientamento politico dell’EDL non sia stato ancora dichiarato, il suo obiettivo è chiaro: contrastare la diffusione dell’Islam in Gran Bretagna e combattere il suo fondamentalismo. La formazione è in crescita di adesione e aspira a creare un’organizzazione paneuropea: l’European Defence League. Una caratteristica particolare del movimento riguarda la sua formazione multi-etnica e multi-religiosa. Attualmente l’attività politica dell’EDL consiste prevalentemente nello svolgimento di manifestazioni, apertamente anti-islamiche, in luoghi sensibili come Luton, cittadina inglese con uno dei più alti tassi di immigrazione musulmana. Dunque le intenzioni provocatorie del movimento creano un’aria di tensione di cui il governo inglese è preoccupato. Al riguardo il Premier Cameron ha dichiarato: “Questa è gente pericolosa. Se è necessario li metteremo al bando. Li perseguiremo con tutte le nostre forze”. I servizi segreti sono in allerta: il timore è che alcuni membri del movimento possano compiere atti di terrorismo.

Un Paese che recentemente ha conosciuto il terrorismo bruno è la Germania. Dal 2000 al 2010 Beate Z., Uwe M. e Uwe B., membri di una cellula del “Nationalsozialistischer Untergrund” (Clandestinità nazionalsocialista), sono accusati di aver ucciso almeno dieci commercianti di origine straniera, di aver compiuto un attentato a Colonia e decine di rapine in banca. Inoltre, sulla vicenda pesa l’ombra caduta sui servizi segreti tedeschi, accusati di aver “insabbiato” la vicenda. Lo scandalo ha costretto alle dimissioni Heinz Fromm, Capo dei servizi segreti.

In questo crogiolo di diversità che caratterizza la destra radicale europea è possibile tracciare un filo conduttore. In generale il problema è la modernità e una classe dirigente inadatta a gestirla. Se entriamo nello specifico, lo straniero è considerato come un grande problema: in passato era l’ebreo, adesso è il musulmano. A sua volta il musulmano rappresenta un’importante civiltà: nell’era del multiculturalismo questa civiltà è sbarcata in Europa con tutta la sua forza prorompente, con suoi pregi e suoi difetti, con usanze e tradizioni spesso diametralmente opposte a quelle europee. D’altro canto l’Europa è un continente fiero e legato a doppio filo con la propria identità. Ed è proprio questa identità, colonna portante dello splendore europeo, che lo straniero destruttura e sommerge. In un’ epoca in cui l’Europa è colpita dalla più grande crisi finanziaria dopo gli anni ‘30, lo straniero è visto come uno dei mali che accelera il declino.

* Stefano Martella è Dottore in Relazioni Internazionali (Università del Salento)


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