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Le due Italie olimpiche

Creato il 08 agosto 2012 da Faustodesiderio

Josefa Idem e Alex Schwazer: due destini incrociati, entrambi olimpionici, entrambi di lingua tedesca, entrambi famosi, persino entrambi volti pubblicitari con la storia della purezza, della naturalezza e dell’allenamento come forma di costante miglioramento. Ma ora i destini dei due atleti perfetti si sono separati. La canoista è alla sua ottava olimpiade e ancora una volta in finale. Il marciatore non marcia più per sua stessa ammissione: «La mia carriera finisce qui». Forse, non sarà così. Avrà un’altra carta da giocare e riscattarsi, bisognerà dargli un’altra occasione, proprio perché la combinata grossa con il doping. 

È stato detto e sarà ripetuto: mai era accaduto nello sport italiano dei Giochi che un atleta fosse pescato così malamente con le mani nella marmellata della droga che rafforza il corpo e ti avvelena l’anima. Anche questo, purtroppo, è un primato olimpionico. Alex, il ragazzo perfetto, è caduto come un dio falso e bugiardo. L’altra, la signora della canoa, con i suoi quarantotto anni, si è guadagnata la finale colpo su colpo, dopo aver saputo dell’eliminazione di Alex e aver versato lacrime amare per quel “ragazzo perfetto” che – ha detto – «potrebbe essere mio figlio». Non sempre i figli sono all’altezza dei padri. La marcia è una disciplina olimpionica affascinante. Non devi correre e non devi camminare. Devi marciare. Sembra una cosa facile facile ma chi ha provato a marciare almeno una volta seriamente sa che il passo della marcia è duro da sostenere per mille metri, figuratevi cosa devono essere cinquanta chilometri. Avrà pensato Alex che con un aiuto della chimica avrebbe avuto più birra in corpo per andare più forte? Lo ha confessato proprio lui, con una dichiarazione in verità che troppo presto carica sulle spalle del campione di Pechino ogni e tutte le responsabilità. Proprio perché Alex Schwazer è un campione, proprio perché ha vinto in Cina e proprio per una serie non piccola di motivi, è bene che sul caso dell’unico caso di doping italiano ai Giochi Olimpici si faccia chiarezza fino in fondo perché resti effettivamente l’unico caso di doping italiano nella storia dell’atletica delle Olimpiadi. Nel caso del singolo ci saranno delle seconde e terze responsabilità che è bene accertare subito. Eppure, ciò che colpisce oggi è proprio lui: il Singolo. Alex non è uno qualsiasi. Bravo, bello, fidanzato con una brava e bella come Carolina Kostner, Alex ha fatto della sua purezza un simbolo. La natura, le montagne, il verde e poi la corsa, la marcia, l’allenamento e il desiderio di conquistare nuovi traguardi con il sacrificio della costanza. In un’intervista rilasciata alle Iene – una di quelle interviste doppie – si era fatto portabandiera con la sua Carolina dello sport sano e corretto, puro e giusto. Non solo aveva detto di non essersi mai dopata ma aveva anche aggiunto che mai e poi mai avrebbe assunto sostanze strane. Invece, ancora una volta la legge di James Bond ha avuto ragione: mai dire mai. Proprio lui, il campione della purezza ha commesso atti impuri, proprio lui l’atleta perfetto si è rivelato imperfetto. Tanto che ora c’è chi mette in dubbio anche la medaglia di Pechino. Lui, che era un ragazzo d’oro in ogni senso, ha fatto piangere Carolina e c’è mancato poco che venisse meno la mamma. Ci saranno, forse, anche altre persone coinvolte – l’equilibrio fisico di un atleta non può essere alterato in modo dilettantesco, necessita di gente che ne capisca – ma il primo responsabile è lui, la sua singolarità. Era un dio, oggi piange. La sua figura ha qualcosa di meschino, certo; eppure, come non vedere anche qualcosa di tragico. La caduta stessa di Alex Schwazer è grandiosa: non era in basso ma in alto, tanto in alto, nell’Olimpo dei Grandi e inevitabilmente la sua è la caduta di un eroe, di un uomo a cui gli dei avevano donato l’immortalità. E l’immortalità non si ritira. Si trasforma in negativo, ma non si ritira. Come Erostrato, lo sconosciuto pastore di Efeso, che per diventare famoso incendiò il tempio di Artemide, una delle sette meraviglie del mondo. Alex Schwazer ha dato fuoco alla sua stessa fama olimpica e passerà alla storia come il marciatore che uccise la sua leggenda.

Josefa Idem è un’altra storia. L’ottava meraviglia del mondo è una macchina che non sembra stancarsi mai: uno, due, uno, due e voga dopo voga è ancora in finale. Non so neanche più per quale ennesima volta. Anche Idem, che ha indubbiamente nel cognome qualcosa di misterioso, è un simbolo. Ha detto che quando tirerà i remi in barca dedicherà il suo tempo ai suoi figli e al racconto di vite di atleti che ha ammirato. Ora, però, la vita atletica da ammirare e raccontare è la sua: nata in Germania, inizia a vogare a undici anni e non la smette più, vince per i colori tedeschi prima e per il tricolore poi. Il suo passaggio in Italia, nello sport e nella vita, è fondamentale per la sua affermazione nella canoa e nella vita: il suo allenatore è anche suo marito e il padre dei suoi figli, quelli naturali e quelli delle gare. Oro, argento, bronzo, mondiali: Idem – ecco il mistero del nome che si rivela – è sempre la stessa nel rinnovamento delle sfide che sopraggiungono come le onde dell’acqua sulla quale fila via. I suoi quasi cinquanta anni e le sue otto Olimpiadi non hanno precedenti in Italia. Josefa Idem ha solo un difetto: bella e brava e longeva com’è rischia di essere un monumento mentre è ancora intenta a vogare. La finale del 9 agosto sta a lì a testimoniarlo e il modo come l’ha conquistata è un esempio di bravura e determinazione. Quelle vogate, uno, due, uno, due, sono un capolavoro umanistico prima che sportivo. Riscattano anche la tragica caduta di Alex il ragazzo perfetto.

Le Olimpiadi sono una “misura”. I Giochi sono stati inventati dai Greci per misurare le capacità degli uomini che sfidano i loro incancellabili limiti. Josefa Idem è un simbolo dei Giochi non tanto per la sua correttezza, che si dà per scontata, ma per l’ideale diventato reale di spostare un po’ più in là il suo limite. Per continuare così a giocare con gli dei. Ciò che non saputo fare il povero Alex.

tratto da Liberalquotidiano.it del 8 agosto 2012



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