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Le emozioni sono racchiuse nei suoni. Intervista a Emanuela Cotellessa

Creato il 30 giugno 2014 da Luca Ottocento
Elisabetta Cotellessa, 28enne aquilana, racconta il suo entusiasmo per il mondo dell’audio e svela alcuni aspetti di uno dei mestieri del cinema meno conosciuti: il tecnico del suono.
Le emozioni sono racchiuse nei suoni. Intervista a Emanuela Cotellessa
Dopo la sofferta rinuncia all’amato violino a seguito di un incidente stradale avuto da adolescente, Emanuela Cotellessa ha espresso la propria passione per la musica in una forma diversa, dedicandosi all’attività di tecnico del suono. Oggi, con alle spalle gli studi presso l’Accademia dell’Immagine e il Centro Sperimentale, Emanuela ha partecipato in qualità di fonico di presa diretta, microfonista e montatore del suono a diversi film di finzione e a numerosi documentari, lavorando anche in un gran numero di cortometraggi e per la televisione. L’abbiamo incontrata a inizio ottobre, nei giorni in cui stava finendo di girare l’edizione italiana del reality Quattro matrimoni.
Cos’è che ti affascina di più del lavorare con i suoni?
Quando frequentavo il Centro Sperimentale, ho iniziato a rendermi davvero conto di come si potesse provocare delle emozioni attraverso i suoni, anche quelli apparentemente più banali, divenendo con il tempo sempre più consapevole delle notevoli possibilità espressive del suono cinematografico. Partendo da una concezione del suono di questo tipo, ciò che più mi intriga è scegliere di volta in volta gli strumenti di lavoro in base alle esigenze del film, del documentario o del corto che devo realizzare. Per fare solo un esempio, è necessario tenere presente che ogni microfono ha un colore diverso; può quindi restituire dei suoni più caldi o più freddi e, di conseguenza, esprimere sensazioni e atmosfere differenti. Un altro aspetto che mi attrae del mio mestiere riguarda l’affinità con la musica, a cui dagli undici ai sedici anni ho dedicato tantissime ore delle mie giornate. Il tecnico del suono infatti, registrando i suoni sul set ma soprattutto lavorandoli in fase di postproduzione, crea il ritmo di tutto il film e in questo modo è come se desse vita a una vera e propria partitura, composta di note, ritmi, pause ed esitazioni. Quello del fonico di presa diretta o del montatore del suono non è solo un lavoro tecnico, come in molti potrebbero pensare, ma anche fondato su una forte componente creativa.
Quali sono le maggiori difficoltà che si incontrano in Italia nella quotidianità del tuo mestiere?
In Italia nel mio campo ci sono dei grandi talenti, il cui lavoro purtroppo finisce spesso per essere fortemente condizionato dall’esiguità dei budget stanziati dalle produzioni. Generalmente qui da noi, durante le riprese, il suono viene gestito dal fonico di presa diretta e dal microfonista. Per poter lavorare a livelli più alti e giocare con la bellezza e le molteplici sfaccettature dei suoni, sarebbe però necessario un numero superiore di persone, nonché di attrezzature. Negli Stati Uniti, ad esempio, esistono diverse figure specializzate che operano sul set: c’è un fonico per la presa diretta, un fonico per gli effetti, un fonico per gli ambienti e poi c’è il sound designer, una figura importantissima che gestisce tutta la catena legata all’audio del film e che a volte coordina anche il fonico di presa diretta, indicandogli quale tipo di suoni serve registrare per poter poi ottenere un determinato effetto in post-produzione.
Le emozioni sono racchiuse nei suoni. Intervista a Emanuela Cotellessa
Trovi che i cineasti italiani siano sufficientemente sensibili alle grandi potenzialità insite nel rapporto tra immagine e suono?
Negli ultimi anni i nostri registi si stanno aprendo molto alle possibilità del sonoro. Il problema fondamentale è come al solito riconducibile a questioni di carattere economico. Per abbattere le spese, infatti, i film vengono girati sempre più in fretta e, considerato il poco tempo a disposizione, chi lavora con il suono il più delle volte si ritrova a dover sfruttare al meglio i momenti di pausa durante le riprese per effettuare le registrazioni di una serie di movimenti degli attori, di alcuni suoni ambientali o le registrazioni a vuoto (a macchina da presa ferma, ndr). Tutte operazioni, queste, essenziali per la fase successiva del montaggio del suono e alle quali ci si dovrebbe dedicare senza fretta.
Nel cinema contemporaneo, soprattutto in quello statunitense da te precedentemente evocato, il suono assume un ruolo sempre più centrale e spesso si fa vero e proprio strumento narrativo. Qual è una sequenza che ti ha particolarmente colpito da questo punto di vista?
Il petroliere di Paul Thomas Anderson si apre con delle suggestive immagini di un arido paesaggio accompagnate dalla musica per orchestra di Jonny Greenwod, in più occasioni interrotta dal rumore delle picconate sferrate dal personaggio principale, interpretato da Daniel Day-Lewis. Anderson è un regista che lavora molto sulla componente sonora e sulla sua interazione con le immagini. Ciò che mi ha affascinato di questa sequenza iniziale è il modo in cui le sonorità di Greenwood risultano decisive nella creazione dell’ambiente asettico e inospitale che ci viene mostrato. In più, il ritmo ripetitivo della musica, interrotto da quelle violente e insistite picconate, rappresenta molto bene l’ossessione del protagonista.
Articolo precedentemente pubblicato nel numero 4 di Fabrique du Cinéma (Ottobre-Dicembre 2013)

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