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Le “identità” di Nortse [Parte prima]

Creato il 25 settembre 2010 da Orienta_menti

Le “identità” di Nortse [Parte prima]

Fig. 1 - Nyi ma nag po-Red sun, 2006.

(Articolo di Giuseppina Giummara)

Al giorno d’oggi i cambiamenti che avvengono nell’ambiente corrono come i pensieri e sono soprattutto gli artisti a cogliere e vivere queste trasformazioni. Se si tratta poi di artisti nati in una terra come il Tibet, che negli ultimi 50 anni ha subito profonde trasformazioni, la questione si fa ancora più complessa e ricca di sfumature. Nello specifico, l’artista di cui si parlerà è Norbu Tsering, meglio conosciuto come Nortse (in cinese羅次), nato nel 1963 a Lhasa. La data di nascita è rilevante, in quanto ci fa notare che l’artista, come tutti i suoi coetanei, ha esperienza della “Rivoluzione Culturale”(1966-1976), del periodo delle riforme, della riapertura del paese al mondo esterno negli anni ’80 e adesso vive il periodo della globalizzazione economica. Nortse a questo proposito dice “forse, potresti dire, che la nostra esperienza di vita è stata ricca, ma se potessi scegliere, io avrei piuttosto fatto a meno di questa ricchezza”: frase che rende pienamente la sua personale opinione.

Riguardo al periodo della Rivoluzione Culturale e ai suoi lasciti, nella produzione artistica di Nortse, si può far riferimento a due lavori, Black Sun e Red Sun, che indagano la possibilità o l’impossibilità che la cultura tibetana ha di riassemblare se stessa.

Al centro del Red Sun (Fig. 1), una statua originale di bronzo senza testa del Buddha (acquistata nel Barkhor), attesta la distruzione dei monasteri e delle statue nel periodo della Rivoluzione Culturale, mentre le vene rosse che spargono sangue in tutte le direzioni e le lacrime sferiche che circondano la rovina di Shakyamuni, richiamano alla memoria la storia della distruzione della vita umana e culturale. Il nome stesso dell’opera potrebbe essere un chiaro riferimento al sole rosso del comunismo cinese.

Black sun (Fig. 2) rappresenta invece, la paura per la cultura tibetana e per la rottura di quel qualcosa nel cuore della comunità che si è frantumato e non può essere più riparato. Nortse riflette sul significato dei materiali, dicendo che il sangue rosso che è stato versato si è seccato, diventando nero; la forma del Buddha è realizzata col vetro rotto e semi di orzo, una figura che delinea la sagoma di Buddha, ma che non ha più una reale consistenza.

Entrambe le opere sono realizzate con diversi materiali di fattura tibetana, ed hanno la forma di un mandala, come fossero fotografie di due fasi diverse della storia del Tibet (la scritta Tibet; Bod compare anche all’estremità superiore dell’opera). Due minuscoli piedi rossi sul foglio artigianale rappresentano il sentiero calpestato, un sentiero immerso nell’orrore per ciò che è stato. Quei piccoli piedi rossi sono orme di piedi sporchi di sangue, piedi di chi ha subito e di chi ha continuato a camminare calpestando il sangue dei fratelli. Il significato di queste orme può essere anche ricondotto alla scelta di un sentiero da seguire.

Il vissuto di un artista è quasi sempre rintracciabile nelle sue opere, e così è anche per Nortse. Egli infatti dal 1980 al 1991 studiò arte in varie scuole, inclusa la Tibet University di Lhasa, la Central Arts Academy di Beijing e le accademie d’arte di Guangzhou e Tainjing.

Le “identità” di Nortse [Parte prima]

Fig. 2 - Nyi ma nag po-Black sun, 2006.

A questo periodo risale la sua partecipazione come uno dei membri fondatori, tra i quali vi era anche Gonkar Gyatso (Gong dKar rGya mTshos), della Sweet Tea House Artist Association di Lhasa. Quest’iniziativa cominciò a metà degli anni ‘80 da parte della prima ondata di artisti tibetani che ritornarono in Tibet dopo aver ricevuto una formazione artistica all’Accademia di Arte centrale di Pechino. L’Associazione nasceva dal bisogno degli artisti di affermare la propria identità, divisa fra un’educazione cinese e un’eredità tibetana. L’obiettivo dell’ Associazione era quello di creare un movimento nuovo per l’esperienza tibetana di arte contemporanea, distanziandosi dalle tecniche del realismo cinese. A parte le sperimentazioni estetiche e tecniche di ognuno, gli artisti della Sweet Tea House si identificarono prima di tutto come etnicamente “tibetani”. Oltre l’obiettivo primario di restaurare la “tibetaneità” degli artisti, la Sweet Tea House si legò profondamente alla natura e all’ambiente fisico, cercando di restituire anche all’ambiente la propria identità tibetana. Dal 1984-1986, gli artisti della Sweet Tea House esposero, come il nome suggerisce, nelle case da the del quartiere di Shol di Lhasa. Quando il mercato di arte di Lhasa e la vita culturale declinò nel 1987 a causa di un agitazione sociale, anche l’Associazione si sciolse. Ci furono artisti, come Gonkar Gyatso, che lasciarono il Tibet cominciando altrove una nuova carriera, mentre altri trovarono lavori nell’ambito artistico, nel design e nell’insegnamento. Quando, nell’agosto del 2003, venne fondata la Gedun Choephel Artist Guild, molti di quegli artisti contemporanei della prima ondata degli anni ‘80, come Nortse, gravitarono intorno all’Associazione e cominciarono a dipingere di nuovo per loro stessi; a volte dopo più di dieci anni di inattività. L’origine del linguaggio figurativo di Nortse è da ricercarsi proprio nel lavoro degli esordi.

A questo proposito, un’opera realizzata durante gli anni ‘80, merita di essere citata come origine dei suoi lavori. Si tratta di ‘Bound-up Scenery’ (Fig. 3), opera composta da una serie di 4 fotografie realizzate nelle praterie del Jiangtang (Chang Tang), nel Tibet occidentale. Quest’opera potrebbe essere frutto di quelle escursioni che la Sweet Tea House Artist Association realizzò in aree remote del paese, al fine di cercare nella natura, una conferma del loro spirito tradizionale. In tutte e quattro le foto, è visibile un paesaggio desolato che fa da sfondo, e un personaggio (probabilmente Nortse stesso) con due lunghe strisce di stoffa, una rossa e una bianca, che creano con il soggetto una sequenza di immagini che porta a vedere l’uomo prima seduto sulla stoffa e poi man mano fasciato fino a scomparire del tutto; come se quella fasciatura coprisse sia l’identità dell’uomo che dell’ambiente alle sue spalle. È per la prima volta che compaiono le fasce di stoffa, che poi saranno un elemento ricorrente nei lavori di Nortse. Questo elemento è collegato dall’artista stesso ad un avvenimento tragico, la morte del padre causata da un incidente stradale nel 1976. Nortse ricorda il corpo del padre interamente bendato, con il sangue rosso che emergeva nel bianco delle bende e il forte odore di formalina; “Ancora oggi tutte queste immagini appaiono costantemente nei miei sogni”.

Le “identità” di Nortse [Parte prima]

Fig.3 – Bound-up Scenery, 1987 circa

 


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