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Le infrastrutture in Africa Orientale, la nuova frontiera della competizione regionale

Creato il 24 luglio 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Chiara Giglio

Un vero e proprio boom nello sviluppo delle infrastrutture di trasporto e una corsa a rinnovare il settore della logistica sono attualmente le due tendenze dominanti nel panorama economico dell’Africa Orientale. Alcuni Paesi di questa parte del continente sono ad oggi impegnati in imponenti investimenti in progetti infrastrutturali, in quella che sembra affermarsi come una dinamica sempre più competitiva a livello regionale. In Kenya è in corso la costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità tra Mombasa e Nairobi e di un nuovo porto a Lamu, a cui si aggiunge un piano da 635 milioni di dollari per l’ampliamento dello Jomo Kenyatta airport; l’Etiopia porta avanti il suo controverso progetto di Grande Diga Etiopica della Rinascita sul Nilo Blu che la mette in competizione con l’Egitto; in Tanzania sono in atto il potenziamento della ferrovia Tazara (Tanzania-Zambia Railway) e la costruzione di un porto a Bagamoyo, uno dei più grandi investimenti infrastrutturali nell’intera regione. Le infrastrutture si pongono quindi come nuovo terreno di sfida tra i governi est-africani, nonché come metro di misura del prestigio e della potenza economica.

Sulla costa orientale, Kenya e Tanzania competono in particolare come principali hub marittimi della regione. Con la costruzione dei porti di Lamu e Bagamoyo, i due Paesi aggiungono un ulteriore livello alla tradizionale rivalità per il primato economico regionale. A partire dalla seconda metà del 2013, la competizione tra Nairobi e Dar es Salaam è sfociata in una spaccatura nel blocco regionale dell’East African Community (EAC): da una parte la troika composta da Kenya, Uganda e Ruanda; dall’altra la Tanzania e, in posizione più marginale, il Burundi. Nel braccio di ferro tra la cosiddetta Coalition of Willing e un’economia in rapido sviluppo come quella della Tanzania, sono proprio le infrastrutture a giocare la parte del leone. Uno dei motivi dell’isolamento di Dar es Salaam risiede in particolare nella rivalità del Kenya con la Tanzania per lo smercio dei prodotti destinati all’export e provenienti dai Paesi privi di sbocchi sul mare. Il tema del deficit infrastrutturale della regione è ormai ben noto e, alla luce dei robusti tassi di crescita economica di Stati dell’entroterra quali il Ruanda, l’Uganda, il Burundi, l’Etiopia e lo Zambia, i progetti da parte di Nairobi per rispondere a questa pesante lacuna non mancano.

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Lamu Port-South Sudan-Ethiopia Transport Corridor (LAPSSET) – Fonte: Lapsset.go.ke (clicca per ingrandire)

Gli incontri degli ultimi mesi, a cui Dar Es Salam non è stata convocata, riguardavano d’altronde proprio la costruzione di infrastrutture per un ambizioso progetto di commercio regionale, il Lamu Port-South Sudan-Ethiopia Transport Corridor (LAPSSET), una rete di nuove infrastrutture che collegherà la città di Lamu, situata sulla costa nordorientale del Kenya, a Juba in Sud Sudan e ad Addis Abeba in Etiopia. Parte del più ampio progetto “Kenya Vision 2030” – programma di lungo termine per lo sviluppo del Paese –, il corridoio prevede la costruzione di una nuova struttura portuale a Lamu, una linea ferroviaria a scartamento normale di 1.500 Km che collegherà questa città a Nakodok, un oleodotto e una raffineria, due aeroporti e tre centri per resort turistici nelle città keniane di Isiolo, della stessa Lamu e sulle rive desertiche del remoto Lago Trkana. Con un investimento dal costo stimato di 29 miliardi di dollari, l’obiettivo di Nairobi è quello di aprire una nuova direttrice dei trasporti che favorisca la crescita dei traffici commerciali, stimoli l’economia delle regioni più interne, migliori l’integrazione economica e infrastrutturale con i Paesi confinanti e alleggerisca la dipendenza dal porto di Mombasa. Attraverso tale ambizioso progetto, il Kenya punta a servire, entro i prossimi due decenni, il Sud Sudan, l’Etiopia, la Repubblica Centrafricana, il Congo-Brazzaville e il Ciad, rispondendo ad una domanda di trasporto stimata in oltre 30 milioni di tonnellate di merci all’anno.

Il primato del Kenya come principale hub regionale non sembra tuttavia destinato a durare ancora a lungo. Da un punto di vista logistico, Tanzania e Kenya servono gli stessi Paesi dell’entroterra, ed è lecito pensare che le aziende interessate sceglieranno di utilizzare le rotte commerciali capaci di gestire i loro beni da esportazione nel modo più efficiente possibile. La corsa ad accaparrarsi i prodotti dei Paesi dell’entroterra, più del settore turistico o delle risorse naturali, è quindi il vero terreno di competizione tra Nairobi e Dar es Salaam.

Piano di sviluppo della Tanzania - Fonte: PWC (clicca per ingrandire)
Piano di sviluppo della Tanzania – Fonte: PWC (clicca per ingrandire)

La Tanzania in particolare sembra voler assurgere a principale porta d’ingresso dell’Africa Centrale, con speciale attenzione per Burundi e Repubblica Democratica del Congo. Come anticipato, il Paese è attualmente impegnato nel potenziamento della linea ferroviaria Tazara e nel miglioramento della rete stradale settentrionale, nonché nell’espansione dell’aeroporto internazionale Julius Nyerere. La vera sfida al Kenya si pone tuttavia nella misura in cui il governo della Tanzania ha firmato un accordo con la Cina per la creazione di un grande porto a Bagamoyo – l’ex capitale dell’Africa Orientale tedesca a 70 chilometri a nord di Dar es Salaam, di fronte a Zanzibar – che, una volta ultimato, avrà portata di 20 milioni di container all’anno. Una capacità di molto maggiore rispetto a quella di Mombasa (500.000) e della stessa Dar es Salaam (600.000) e che, in prospettiva, rischia di far scivolare il Kenya in seconda posizione nella classifica degli hub regionali. Il progetto vale miliardi di dollari e ha avuto il via libera nel marzo 2013, durante una visita in Tanzania del Presidente cinese Xi Jinping. In quell’occasione Pechino ha formalizzato un impegno da dieci miliardi di dollari e ha ribadito l’impegno delle sue società nella realizzazione del porto. La costruzione a Bagamoyo della più grande infrastruttura portuale della regione è destinata a sviluppare il ruolo di hub commerciale della Tanzania nel continente e sul mercato internazionale: lo scalo potrà diventare polo di riferimento per dieci Paesi privi di sbocco al mare, superando per volume di traffico anche i porti di Durban in Sudafrica e di Beira in Mozambico. Insieme con lo scalo dovrà essere realizzata una linea ferroviaria che colleghi Bagamoyo con le regioni interne del Paese, la Tazara appunto, e altri assi di comunicazione transnazionali. Secondo gli economisti, in seguito al completamento di tali grandi opere infrastrutturali intorno al 2017, la Tanzania potrebbe diventare il primo hub regionale con i suoi quattro porti di Bagamoyo, Dar es Salaam, Tanga e Mtwara, quando il Kenya invece non disporrà che di due porti, a Lamu e Mombasa. Gli scenari che si aprono con la costruzione del porto di Bagamoyo potrebbero portare a un guadagno di 2,7 miliardi di dollari per tutti i Paesi limitrofi, offrendo nuove opportunità economiche non solo alla Tanzania, ma anche all’Uganda, al Ruanda, al Congo orientale e allo Zambia.

In generale, è difficile ignorare il ruolo della Cina in questa corsa alle infrastrutture di trasporto in Africa Orientale. Per quanto concerne il porto di Bagamoyo in Tanzania, i lavori saranno effettuati da società cinesi sulla base della modalità “Build, Operate and Transfer” (B.O.T.), un tipo di partnership pubblico-privata promossa dalla Banca Mondiale come modello per il finanziamento di opere pubbliche. Lo schema B.O.T. prevede, in sintesi, che il soggetto pubblico interessato alla realizzazione di un’opera pubblica rilasci ad una società di progetto, privata o mista, una concessione di costruzione e gestione, che consenta a tale società di realizzare l’opera, gestirla durante il periodo di concessione, per poi trasferirla al soggetto pubblico concedente. Questo schema comporta, dunque, una privatizzazione parziale dell’opera da realizzare, che si estende a tutta la fase di finanziamento e realizzazione ed alla prima parte della gestione dell’opera, finché essa non viene trasferita all’ente pubblico concedente. Questo tipo di contratto dà una notevole autonomia alle società private che gestiscono il traffico portuale. Un’autonomia tale che in Tanzania diversi esperti hanno sollevato obiezioni: i ridotti poteri di controllo da parte dello Stato rischierebbero infatti di favorire il contrabbando di legno, gas, uranio, tanzanite e altri minerali che si estraggono nel sottosuolo del Paese. Un ulteriore problema è di carattere politico. Alcuni parlamentari dell’arcipelago autonomo di Zanzibar, situato proprio di fronte a Bagamoyo, sostengono che il governo centrale e la Cina dovrebbero dare la priorità allo sviluppo economico e sociale delle loro isole. «Il progetto a Bagamoyo dovrebbe essere fermato e spostato a Zanzibar» ha affermato il parlamentare Omar Ali Shehe.

D’altra parte, la Cina sembra senza rivali nell’assicurarsi con le sue strategie di investimento tutti i grandi progetti nell’Est del continente africano. Il disegno strategico di Pechino mira in realtà a sviluppare la rete di trasporto dell’Africa Orientale per farne un corridoio privilegiato di materie prime locali e di prodotti made in China. Ne è un ottimo esempio l’accordo da 3,8 miliardi di dollari firmato lo scorso maggio tra il Presidente keniano Uhuru Kenyatta e il Primo Ministro cinese Li Keqiang per la costruzione di una ferrovia che collegherà il porto di Mombasa a Nairobi; così nella vicina Etiopia le imprese cinesi hanno già realizzato il 37% della ferrovia Addis Abeba–Gibuti, una linea di 756 kilometri che secondo i piani sarà terminata nell’autunno del 2015.

In generale, se c’è un singolo fattore che ha cambiato radicalmente il progetto dello sviluppo dell’Africa in appena una manciata di anni, questo è senza dubbio l’intervento della Cina. Con una popolazione in espansione di oltre un miliardo di persone, la ricerca di mercati, elementi quali le opportunità di investimento, il reperimento di materie prime e il trasferimento di proprie tecnologie sono tutti fattori alla base dell’espansione del Dragone nel continente. L’indiscutibile importanza dell’Africa per Pechino ben si adatta alla situazione economica in rapida trasformazione della parte orientale del Continente, dove quello delle infrastrutture sembra oggi il vero nodo da sciogliere per stimolare lo sviluppo della regione e renderlo stabile e generalizzato. Senza l’intervento di investimenti dall’estero molti progetti corrono infatti il rischio di rimanere sulla carta, e il finanziamento nella costruzione delle infrastrutture da parte cinese amplificherà le economie di tali paesi, rivelandosi senza ombra di dubbio di notevole beneficio per la regione.

Perché le infrastrutture diventino un’occasione per tutti è tuttavia necessario tenere al centro i bisogni africani. Ecco perché è importante che la Cina, così come tutti gli altri investitori internazionali, selezioni prudentemente i percorsi e le modalità dei suoi finanziamenti, riflettendo riguardo la possibilità che una determinata infrastruttura possa davvero essere in grado di rilanciare effettivamente l’economia del Paese in questione prima di intraprenderne la costruzione. Solo in questo modo gli investimenti internazionali andranno realmente a beneficio dei Paesi africani, assicurando uno sviluppo omogeneo e sostenibile del Continente.

* Chiara Giglio è Dottoressa in Scienze Internazionali e Diplomatiche (Università di Bologna – Sede di Forlì)

Photo credits: Mercator Media 2014

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