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Le librerie ai tempi della "non" professionalità.

Creato il 25 novembre 2013 da Cronachedallalibreria @MarinoBuzzi

In ufficio trovo appeso un simpatico articolo comparso su Il sole 24 ore. Si tratta di un trafiletto su un’avventura in libreria. Un cliente entra e chiede le Enneadi (Oggi presenti sul mercato nelle edizioni Biblipolis e Mondadori Meridiani, Bompiani al momento risulta non disponibile) e il commesso, timidamente, chiede “Mi fa lo spelling?”.L’autrice o l’autore del pezzo ricorda i tempi in cui erano i clienti ad entrare intimoriti in libreria e a provare vergogna per la pronuncia errata degli autori e delle autrici stranieri/e. Conclude con una considerazione, che trovo veritiera e amarissima: “A quanto pare una politica accurata di selezione del capitale umano ha determinato in pochi anni una rivoluzionaria inversione dei ruoli”.Qualcuno, nelle alte sfere (e parlo di librerie di catena ovviamente) a un certo punto ha deciso che “il capitale umano” non era più necessario. È passata l’idea, non solo in libreria, che dare adeguata formazione alle dipendenti e ai dipendenti sia un’inutile spreco di tempo e risorse, che basta mettere tutto in ordine di autore/autrice e il/la cliente si serve da solo/a.  Si è smesso di guardare alla professionalità, la professionalità è un costo non ammortizzabile, per la letteratura che entra oggi in libreria, avranno pensato, non occorre conoscere i classici, essere preparati, curiosi, magari aver fatto studi inerenti alla professione. Troppo spesso il libraio è un costo. Punto. Così come lo è l’operaio specializzato o chiunque abbia acquisito, nel corso del tempo, una professionalità. Forse hanno pensato che è un lavoro che chiunque può fare. Con poco rispetto, aggiungerei, anche per le clienti e i clienti che si aspettano di avere a che fare con personale preparato che conosca, almeno, i grandi testi della letteratura, della filosofia, della psicologia. Qualcuno, poi, sta dicendo che “si stanno reinventando le librerie” . Per reinventare qualcosa occorre coraggio, occorre formazione, occorre conoscenza, occorre intelligenza, occorre rispetto. Altrimenti non è reinventare. È distruggere. Non basta inserire una caffetteria, un ristorante, mettere i giochi o le tecnologie all’interno della libreria. Non si reinventa così. Questo è “trasformare”. Trasformare un luogo in cui la cultura, per anni, è stata al centro di un progetto in qualcosa che con la cultura ha poco a che fare. Un supermercato in cui si possa entrare e chiedere, senza esitazione, se vendiamo cuscini, coperte, borse per computer. E la maggior parte delle catene librarie, accanto alla pasta, alla frutta, al primo o al contorno, tiene anche le coperte e i cuscini.Non ci stupiamo, quindi, se il commesso chiede  di fare lo spelling del titolo che dovrebbe conoscere. È solo l’ennesimo risultato di un mercato che fagocita ogni cosa, mastica rumorosamente e poi sputa senza apprezzare il sapore. È questo che sono diventate le librerie (di catena). Non un luogo sacro in cui si entra per dimenticare il mondo di fuori ma un ennesimo luogo di consumo in cui il mondo di fuori non smette di guardare le lancette dell’orologio. Un luogo, tutto sommato, adatto all’uomo contemporaneo, iperconnesso, iperattivo, abituato a letture veloci, inconsistenti, take away, che non apprezza più il sapore della letteratura e che sempre più raramente riesce a fare le dovute “distinzioni”. Librerie che hanno poco a che fare con le librerie per letterature che poco hanno a che fare con la letteratura.

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