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LE MANI SULLA CITTA’ #francescorosi #cinema #politica

Creato il 15 agosto 2014 da Albertomax @albertomassazza

mani sulla cittàPremiato con il Leone d’oro come miglior film in concorso a Venezia nel 1963, Le mani sulla città, più che un film neo-neorealista, o politico, o di denuncia, è cine-verità che scarnifica ritualità e retorica del potere per metterne a nudo la corrosione dell’ossatura. Dopo essersi immerso, insieme all’amico e collaboratore Raffaele La Capria, nel clima di una Napoli dominata dallo spregiudicato populismo di Achille Lauro ed eternamente in altalena tra splendori e miserie, con in più l’assalto della spersonalizzante globalizzazione consumistica da fronteggiare, il regista decise di rappresentare quella ragnatela del potere che in definitiva non consentiva un reale salto di qualità nelle condizioni di vita delle masse popolari. Napoli rimase solo come accenno nel film, il paradigma di complesse dinamiche e di intrecci chiaroscurali che avrebbero potuto aver luogo in ogni angolo del Belpaese, a causa di un sistema di gestione privatistica del potere pubblico, favorito dalle trame intessute tra politica, economia e malavita organizzata che il boccheggiante boom economico non era più in grado di tenere nascoste.

La vicenda parte da un crollo, di quelli che continuano a verificarsi regolarmente nelle nostre città, frutto dell’incuria e della più cinica speculazione. La palazzina fatiscente venuta giù con il suo carico di vittime è limitrofa ad un cantiere di Edoardo Nottola (Rod Steiger), avido e potente imprenditore edile, nonchè influente esponente politico della destra che asservisce spudoratamente la sua carica pubblica ai propri interessi privati. L’opposizione di sinistra chiede una commissione per stabilire le responsabilità dell’impresa di Nottola nel crollo, ma naturalmente tutto viene insabbiato. I compagni di partito, sotto la pressione delle opposizioni e dell’opinione pubblica, chiedono a Nottola di rinunciare alla candidatura per le imminenti nuove elezioni, ma l’imprenditore rilancia, chiedendo l’assessorato all’edilizia per meglio poter curare il proprio conflitto d’interessi. Di fronte al muro del suo partito, Nottola decide di candidarsi e vincere con il centro, mettendo in questo modo la destra in minoranza. Ottenuto l’assessorato, lo spregiudicato costruttore può beatamente inaugurare la sua faraonica speculazione, col beneplacito di tutte le autorità e la benedizione episcopale.

La regia di Rosi non concede nulla all’intrattenimento, se non una freschezza ritmica nel montaggio. La scelta di affiancare ai due attori affermati  (oltre a Steiger, Salvo Randone) imprenditori, politici e giornalisti che avevano ben presente la realtà che si intendeva rappresentare, si è rivelata efficace nel tenere lontano il rischio di ambiguità nel rapporto tra la denuncia e la sua messa in scena. Le mani sulla città più che una rivitalizzazione del Neorealismo (nonostante le indubbie ascendenze) o un’anticipazione del cinema di denuncia che, sull’esempio di Rosi, tanto seguito avrebbe avuto fino alla fine degli anni settanta, rappresenta quasi un unicum, un documentario che sfrutta la parafrasi cinematografica come cassa di risonanza, permettendosi così di non dover scendere a compromessi con le leggi dello spettacolo. A mio parere, l’unico film che gli può essere accomunato, seppure con ambientazione radicalmente diversa, è La Battaglia di Algeri girato alcuni anni dopo da Gillo Pontecorvo. Un film profetico (come non pensare a Tangentopoli davanti al coro della maggioranza in Consiglio “Abbiamo le mani pulite”, accompagnato dalla consueta gestualità partenopea?), illuminante e clinico nel mostrare senza filtri  la questione tutta italiana della gestione arbitraria e clientelare del Bene pubblico.



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