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Le métier de la critique: la poesia civile e l’esigenza della luce nella barbarie comunicativa

Creato il 08 gennaio 2016 da Alessiamocci

Quando ci si approssima alla conoscenza della poesia civile spesso alcune definizioni quali ‘sociale’ ed ‘etico’ possono sopraggiungere nell’articolare talora un discorso di carattere socio-civile o etico-civile. Credo che sia opportuno rivelare all’inizio della presente trattazione quali sono in effetti i contenuti che ricadono (o possono ricadere) nell’uno o nell’altro e se è possibile sostenere che i concetti possano caricarsi di un valore sinonimico in date circostanze.

La parola ‘civile’ ha di certo a che fare con il sostantivo di ‘civiltà’ che a sua volta deriva dal latino civitalis, derivazione della radice civis che significa cittadino. La parola ‘sociale’ è l’aggettivo che deriva dal termine ‘società’ che ha il suo progenitore nel latino societas, a sua volta derivato di socius che significava “compagno”, “amico”, “alleato”. L’aggettivo ‘etico’ nasce dal sostantivo ‘etica’ derivante dal greco antico èthos con il significato di “carattere”, “comportamento” o “consuetudine”. In che maniera i tre aggettivi (civile, sociale ed etico) possono combinarsi tra loro nella definizione di un dato genere poetico?

Se il civile è ciò che ha a che fare direttamente con il cittadino allora la poesia civile è quella categoria del procedimento poetico che pone particolare attenzione nel far luce sulla realtà umana del singolo in quanto parte di un’appartenenza geografica (la cittadinanza). È del civile l’attenzione verso i diritti umani del singolo e di quelle fasce della società che, pur non uniformandosi alla società comune, necessitano di voce, rispetto e libertà. La poesia civile, allora, affronta tutte quelle complessità, accadimenti e perlustrazioni mentali che interessano la persona con la particolarità di dare una rappresentazione della propria condizione o immedesimarsi in quella di altri dove i governi che regolamentano i codici comportamentali e formanti di una società non sono in grado di provvedere alla risposta efficace e concreta ai bisogni della gente: il rispetto delle libertà, l’osservanza della democrazia, l’uguaglianza e, non da ultimo, l’impegno umanitario e il senso di protezione.

Entra allora in gioco il secondo termine che ci si è proposti di analizzare in maniera più scrupolosa, ossia quello di ‘sociale’. Se il cittadino è parte integrante (non di rado attiva) di una comunità politico-istituzionale ossia di un aggregato umano solido costituitosi attorno a ragioni storiche, politiche ed ideologiche nonché territoriali, allora la società non è altro che quell’ampio collettore nel quale le varie identità di cittadino si riuniscono o possono confrontarsi. Le popolazioni e i movimenti secessionisti che si battono per l’autodeterminazione della propria identità nascono proprio dall’esigenza di fuoriuscire da una data Nazione nella quale non si riconoscono (per motivi storici, religiosi, politici o quant’altro) per fondare una loro comunità attorno a delle date idee, riconosciuta dalla comunità internazionale e dove il senso di comunità possa trovare la sua libera espressione. La società, dunque, è quello spazio ampio di apertura e confronto e di condivisione che un dato Paese garantisce ai propri cittadini. Nella società è insito il disaccordo e dunque l’adozione di vedute differenti e, nei casi in cui ci troviamo in un paese dittatoriale, è possibile sostenere che la dimensione sociale è azzerata e vilipesa dai despoti. Non è un caso, infatti, che la democrazia sia definibile come ‘governo del popolo’ ed individui, dunque, non tanto una forma di governo ma la condizione necessaria nella quale la vita di un Paese possa scorrere senza spauracchi né bavagli alla censura. In un governo totalitario, dove persiste una logica di dominio piramidale, alla società, alla massa, alla popolazione non è riconosciuto il suo status e viene minacciata con sistemi di governo, controllata ed evirata, silenziata, oltraggiata o ancor più fatta sparire laddove il dissidio e la protesta possono portare a seri problemi all’incorruttibilità del regime.

L’etica, infine, spesso affratellata in maniera semplicistica al più comune concetto di ‘morale’ sta a rappresentare, oltre ad una branca particolare della Filosofia, la forma di comportamento che l’uomo attua in una determinata società nei confronti di decisioni  prese, fatti accaduti esponendosi in maniera diretta con un suo “credo sociale” in merito ai meccanismi di funzionamento di una società. È possibile allora dire, per poter azzardare un avvicinamento dei tre termini presi a modello, che: il cittadino è portatore di un senso civico o civile e al contempo è parte di una comunità più ampia con la quale si relaziona (il suo paese, il suo continente o il mondo tutto che è la società più estesa) mediante un dato comportamento (etico) nei confronti di ciò che vede, vive o sperimenta in quanto parte di tale comunità.

Per ritornare direttamente alla poesia, che è ciò che ci interessa, allora potremmo dire che il poeta civile è il cantore di quello stato di benessere o di disagio che vive sulla sua pelle. Non solo delle ingiustizie e dell’indifferenza ricevuta volta dunque a una denuncia nei confronti di date realtà dato che esiste anche una poesia celebrativa prodotta in memoria ed omaggio a dati uomini politici o periodi storici, che tende ad ispessire le prodezze e la rilevanza manifestata con azioni positive per la pluralità, non di rado con un linguaggio magniloquente. Va da sé allora che la poesia civile intesa in questo senso può essere:

-  una manifestazione soggettiva del vedere le cose: ad esempio una madre che ha perso suo figlio per un incidente stradale che scrive una poesia e si fa cantrice di un dolore intimo e personale;

-   una manifestazione oggettiva del vedere le cose: ad esempio una persona che, disgustata del fenomeno delle stragi del sabato sera, decide di dedicare una poesia a tale tematica.

Se la poesia della madre focalizzerà di certo con maggior enfasi la vuotezza che sperimenta per la mancanza del figlio che, di fatto, la rende orfana del futuro e dunque prenderà maggiormente una piega intima dovuta dal legame d’affetto che la univa al figlio dall’altra parte il secondo tipo di poesia avrà una eco più generalizzata e focalizzata sul motivo della lirica: quella di un allarme sociale. L’incidente stradale che fa da evento prodromico alle due poesie è dunque analizzato in maniera assai diversa e re-attribuito in un magma vorticante di significati: nella prima poesia è il pianto accorato, la lamentazione e lo strazio di una madre che non trova rifugio al tormento tanto da arrivare a una decisione autolesionistica, nella seconda poesia il senso di dolore è stemperato dalla pesante e vergognosa inabilità di una società nel fronteggiare il fenomeno ed è dunque atto di denuncia, forma di sdegno e capro espiatorio con un monito polemico. Ed è in questa accezione cha va propriamente letta l’intenzione di mandare un messaggio: quella di annunciare una deplorevole realtà, quella di indicarne con lucidità cause, conseguenze e ipotizzabili rimedi affinché non si abbiano sequele di episodi simili e dunque, quella di denunciare, di prendere la parola e di dire ciò che non va in una società. Fare questo significa automaticamente aver a cuore il senso di comunità e al contempo disporre di quella forza d’animo atta a rivelare situazioni di disagio, disattenzione e pericolosità. Il poeta sociale, allora, è colui che combatte poiché ha eretto la polemica (dal greco polemos significa ‘guerra’) astuta e provvidenziale quale mezzo di denuncia per un miglioramento della società. Si potrebbe obiettare, allora, che non spetta al poeta denunciare gli squilibri insanabili del potere o la disattenzione verso l’universo delle minoranze sensoriali o l’inefficacia di un intervento militare in un paese del Medio Oriente (solo per fare degli esempi) ma che esistono già enti ed organizzazioni deputati a farlo: le Forze dell’Ordine, enti assistenziali, centri di recupero e di sostegno, onlus, attività di organizzazione a scopo umanitario e quant’altro. Ed in effetti cosa può fare il poeta? Quale è la sua forma di intervento? Quali sono le sue armi per difendersi e proclamare la sua visione delle cose? Ci sono già i cronisti e i giornalisti in generale, gli inviati ed i reporter in missione a descrivere, mettere in luce e “fotografare” ciò che nel mondo, come nella nostra realtà di provincia, accade. Quale è allora il ruolo del poeta o quale potrebbe essere nell’intersezione tra il senso civico e la ricerca di un dialogo sociale?

La risposta è semplice: il poeta sociale non punta alla mera descrizione di un quadro sociale per la divulgazione o una maggiore solidarizzazione sul caso, ma si arma della parola perché non è in grado di contenere l’ira, lo sconcerto, il disprezzo che nutre e ha bisogno dunque di sfogarsi. La liberazione dei pensieri che lo assalgono non corrisponde alla risoluzione delle problematiche ma al contempo è elemento di lotta: la parola come ricordava Carlo Levi, può essere pietra. E le pietre più aguzze e pesanti, se scagliate, possono sortire un effetto grave e rumoroso. Il poeta civile, allora, mi sento di dire, costruisce poesie su dinamiche geopolitiche od interne dalle quali prende le distanze, denuncia complotti o macchinazioni infernali che producono vittime e contribuiscono all’inasprimento di odi intestini, allargati o globali. Se il linguaggio impiegato non di rado è tagliente o graffiante, scarno e crudo, denotativo più che evocativo, ben diverso da una poetica amorosa o di idillio campestre, è anche vero che il suo messaggio ultimo non è dissimile dalla funzione che ha una preghiera. Se la preghiera è una formula rituale la cui pronuncia permette e contribuisce a un rapporto più stretto e sentito con Dio, allora l’atto creativo della poesia sociale acuisce ancor più il nostro radicamento nei confronti della grande famiglia che è la società.

Non esiste poesia civile vera e poesia civile falsa perché ciascuna persona che la produce è il confessore di un sentimento di astio o di fastidio che vive in relazione a certi accadimenti ed è normale che gli accadimenti vengano vissuti in maniera molto diversa a seconda dell’influenza ideologica. Per intenderci la storia della letteratura spagnola ricorda in quella categoria della generazione del ’36 (o della guerra civile) tanto poeti impegnati tra le schiere della Repubblica, quanto quelli di incrollabile fede franchista. Allo stesso tempo non è possibile sostenere che esiste poesia civile buona o non buona per la stessa ragione appena indicata e cioè che ogni carme di lotta e di denuncia nasce dalla sperimentazione di una data realtà e, trattandosi sempre di dinamiche che hanno a cuore la difesa dei diritti inalienabili e il riconoscimento del rispetto, non è possibile stabilire una graduatoria di elementi concettuali o momenti maggiormente rilevanti o nutriti dal punto di vista quantitativo. La poesia di un ribelle governativo ucraino durante la recente guerra ancora in atto che condanna il sistema di regime e anela all’affratellamento del proprio paese al progresso dell’Europa non è più né meno rilevante in termini sociali a livello poetico dei versi indignati di un paraplegico verso la ricca città d’Italia dove vive che non gli permette di usufruire dei mezzi pubblici perché privi di adattamenti necessari alla salita e discesa.

Per queste ragioni la poesia civile è universale ossia appartiene a tutto il genere umano di ogni tempo e di ogni spazio. Da Alceo dell’Antica Grecia che si batteva con indignazione contro i tiranni di Metilene e che per durante il governo di Mìrsil fu costretto ad esiliare, all’uomo del futuro che, magari, s’appellerà alla clemenza di una maggior fruibilità di comunicazione con altri pianeti o che trova inadeguate le leggi del proprio paese (questa è una preoccupazione già viva al presente) in merito al fenomeno crionico. Da sempre (e per sempre) l’uomo in quanto parte di un costrutto sociale è portatore di esigenze, reclamatore di diritti e fautore di battaglie per la difesa del proprio senso di comunità e la sua lotta (sia contro le istituzioni, contro la religione, contro i suoi pari) è perennemente attiva e manifesta.

Le forme testuali che il poeta sociale impiega sono essenzialmente tre: quella del manifesto (dipinge una realtà e lascia intuire le problematicità), la critica (tratteggia in maniera particolare le problematicità sullo sfondo di una data realtà) e la denuncia (nella quale la tensione emotiva del singolo padroneggia sul testo con l’adozione di un linguaggio aspro, vendicativo o minatorio, aggressivo e rivoluzionario: è la manifestazione che lo sdegno del quale parla non è più accettabile e tale situazione motiva l’adozione di un atteggiamento (etico, di cui si diceva) che possa essere portavoce di una risposta dura che frutti considerazione e una risposta o per lo meno fornisca le basi di un dialogico tra le parti.

A seguire possiamo azzardare alcune delle tante peculiarità della poesia civile che la contraddistinguono da poetiche votate al perseguimento di un interesse diverso, al veicolare un messaggio che non è connaturato nell’esigenza dell’impegno attivo dell’uomo nelle tante cause sociali.

-  Aspetto democratico: La poesia civile appartiene a tutti, questo significa che essa può essere mezzo di comunicazione e di lotta che può adottare tanto l’imbianchino analfabeta, quanto il professore universitario. La strutturazione sulla carta di un componimento che urla vendetta o reclama libertà non conosce sperequazioni tra età, sesso, localizzazione geografica, periodo storico, grado di istruzione, razza e religione dei poeti che la producono. Essendo un canto che sgorga dall’intimità del singolo in quanto cittadino di una terra che condivide con suoi simili in quel gruppo umano che è la società essa non abbisogna di paradigmi imprescindibili o particolari conoscenze nel momento in cui necessita di dichiarare il suo stato, denunciare una violenza, reclamare il bisogno del riconoscimento dei diritti per un data popolazione sfruttata. Il fatto che tutti potenzialmente possano essere poeti civili non significa altrettanto lapalassianamente che tutti lo sono. Non tutti i componimenti che si basano sull’investigazione e la denuncia di un mondo negletto o disattento, infido e oppressivo hanno la stessa potenza lirica, o in altre parole, quella carica accesa e sapiente di trasfondere negli altri un’alta tensione emotiva.

-  Aspetto ambientale: Il messaggio contenuto nella poesia civile ha una sua validità nel contesto storico-ambientale in cui si localizza l’accusa, la denuncia o lo sdegno. Per esempio la poesia ispirata all’aver preso parte a una marcia non violenta sulle donne ha una sua tipicità perché è legata a quel particolare momento che si intende rievocare ma al contempo ha la capacità di valere (ed è anche questo il potere della poesia civile) nella stessa maniera in un contesto diverso da quello, essendo il tema della violenza di genere di portata mondiale. In questo caso l’aspetto ambientale della lirica non cozza con una portata universale delle tematiche. Per queste ragioni essa è diacronica, diastratica e diatopica.

-  Aspetto emozionale: nel denunciare con veemenza una società ridicola e sfruttatrice, accadimenti violenti o insani per la popolazione (si pensi alle battaglie ecologiste, animaliste, no-Tav, etc.) è immancabile, al di là del sentimento di insostenibile sopportazione e sdegno, la compartecipazione emotiva dello scrivente: si sente non solo la rabbia ma l’impeto emozionale, la foga, il vero e proprio pathos che il poeta sperimenta dinanzi a quella data realtà. Il trasporto emotivo in taluni casi è talmente pregnante che si trasmette virilmente anche al lettore della poesia che ne condivide l’impostazione dei ragionamenti di fondo. In questi casi, allora, la poesia civile cessa di essere tale e diviene una sorta di manifesto lucido, arma di battaglia, una sorta di documento regolatore o motivo attorno al quale un manipolo di persone che crede veemente nella causa può radunarsi, solidarizzare e inaugurare una più seria e feconda attività di proselitismo e di rinnovata autoconsapevolezza. Chiaramente si esce vistosamente dal campo poetico per abbracciare invece velleità politico-ideologiche mosse da una contestazione tesa al ribaltamento del modello (sia un governo o un qualsiasi modo di fare) in voga al momento.

-  Aspetto multidiscipliare: la poesia civile abbraccia elementi e motivi che possono derivare da un’amplissima categoria delle branche del sapere: sociologia, psicologia, psichiatrica, pedagogia, politologia, geopolitica, economia, religione, filosofia, etc…

-  Presenza di un interlocutore: anche nei casi in cui il destinatario (nella forma di un singolo o di un ente che rappresenta) non viene citato espressamente, è semplice stabilire a chi il canto civile è dedicato o diretto per mezzo del contesto situazionale che in esso viene evocato nonché degli elementi caratterizzanti la causa sulla quale si scrive.

-  Predisposizione a un linguaggio diretto e non di rado crudo: Trattandosi di una poesia che affronta i drammi e i disagi dell’uomo, le sue difficoltà nel vivere la vita di tutti i giorni, la poesia ha smesso di adottare un linguaggio aulico od elevato che sia, frutto di barocchismi ed orpelli retorici studiati a tavolino con l’intenzione di creare un effetto conturbante nel lettore. Al contrario lo stile (spesso prevalentemente sintetico ma non di rado anche caratterizzato da una certa prosaicità) è piuttosto lineare e pratico, facendo forza sulla concatenazione di fatti ed immagini, ponendo attenzione su parole chiave attorno alle quali si costruisce tutta la lirica. L’utilizzo di una lingua nel suo tessuto orale è frequente piuttosto che quella standardizzata dell’italiano ufficiale. Non mancano esterofilismi, dialettalismi e gergalismi, forme sincopate, scelte tipografiche diverse per permettere una differente visualizzazione del corpo di lettura e disposizione delle liriche sul formato pagina che rompono i canonici schematismi delle stanze poetiche. Ciò non deve stupire trattandosi di una poesia di negazione e di ribaltamento, sovversiva ed elettrica com’era, con intenti assai diversi, quella dell’avanguardia futurista. Frequente il ricorso anche all’abbattimento di punteggiatura, alla negazione e l’utilizzo dell’ossimoro che amplifica lo sconcerto dinanzi alla cruda realtà. Il poeta si esime dal citare i grandi ricorrendo più spesso ai contenuti di slogan, motti programmatici, articoli di costituzione o del codice civile offesi e bistrattati. Rilevante risulta l’elemento quantitativo: il numero, cifre, percentuali e articoli diventano parte integranti di questi testi poetici a marcare con ineludibile precisione il riferimento cronachistico a ciò a cui ci si sta riferendo.

Se si volesse affrontare ancor meglio quello che è l’aspetto storico relativo alla poesia civile allora è possibile prendere in considerazione una serie di eventi e momenti storici cruciali che hanno significato dei periodi particolarmente fecondi, nel bene o nel male, nella presa da parte di certi strati sociali di una nuova consapevolezza. Viene da pensare alla seconda guerra mondiale e ai poeti oggi riconosciuti come classici che lasciarono i loro versi scritti in bigliettini spiegazzati o addirittura in parole vergate sui muri delle loro squallide stanze. Viene anche da pensare ai referendum italiani per il divorzio e l’aborto, il gran parlare sui casi di pedofilia e violenza di genere, le battaglie ecologiche e la lotta alla criminalità organizzata ma anche agli incresciosi dilemmi che lo sviluppo genetico pone ad esempio nelle questioni relative alla fecondazione assistita o alla possibilità di produrre alimenti modificati medianti incroci da laboratorio. Questioni quali il diritto alla morte o il riconoscimento dell’eutanasia o la liberalizzazione delle droghe, il sistema della pena di morte o lo sfruttamento del pianeta nonché le guerre intestine tra tribù per il dominio di paesi a noi lontani. Sono questioni che sembrano esulare la poesia propriamente detta ma che in effetti entrano a piè pari anche all’interno dell’espressione più alta che il genere umano predispone. Le questioni prettamente bioetiche (eutanasia, OGM, pena di morte,…) così come le crisi geopolitiche (guerre, dominazioni, mire espansionistiche, minacce terroristiche…) e i fumi di contestazione (contro la guerra, la violenza di genere, contro un decreto del governo, etc..) sono tutte espressioni che sottolineano quanto l’uomo, pur vivendo nel suo ristretto spazio di provincia, sia fortemente interconnesso a tutto ciò che accade nel mondo. Ecco perché lo sfollato di guerra lo percepisce come amico sfortunato e l’abitante oltreoceano è il suo vicino di casa nel quale si rispecchia e con il quale inter-dialoga.

Il poeta greco Titos Patrikios, che visse la dominazione nazista durante la seconda guerra mondiale e poi la dittatura dei Colonnelli, è considerato oggi uno dei maggiori poeti civili a livello mondiale; testimone di questo è il Premio alla Carriera che il Festival di Poesia Civile – Città di Vercelli qualche anno fa gli ha attribuito.  In una sua poesia tanto apocalittica quanto profetica Patrikios non manca di osservare come la compagine umana non è inverecondamente sottoposta a, intervalli, a momenti di dolore e di pace più o meno stabile anche se pure in tali momenti di apparente concordia umana “è di nuovo nero come la pece il cielo” segno evidente di una minaccia sempre presente, che si minimizza o si allontana ma che è assai viva e foriera di drammi più o meno evitabili. Il clima di stordimento e paranoia venutosi a creare con l’11 settembre,  fomentato nel corso del tempo da stragi ed attacchi sempre più farseschi, ecatombe dolorose difficilmente congetturabili in cui l’Occidente si è visto molto vulnerabile sembra aver distrutto il senso di integrità della coscienza: gli uomini non sono più liberi e, anche se fingono a sé stessi di esserlo, non sono in grado di poter concedere la fiducia all’altro. Nelle spesse cortine di un mondo che più volte è stato descritto come all’esordio di un nuovo conflitto mondiale, Patrikios ne avverte la malcelata insicurezza dove l’azione spregiudicata di un singolo può decretare il destino dei molti: “Come una goccia di vetriolo brucia l’occhio/ così una fialetta di malvagità/ può avvelenare innumerevoli vite”. La deludente e critica situazione che il Nostro descrive, pur non essendo legata all’anno 2015, è di certo applicabile anche allo scenario geopolitico attuale dominato da frenetici affratellamenti tra paesi con l’obiettivo di unire le forze per un’ipotetica lotta di dimensioni globali. Ai timori di una collettività che pavidamente si pone con coscienza il quesito dell’esistenza ampliando i dilemmi di una società asservita al potere dei pochi impegnati in summit per discutere l’elisir ai mali, il Nostro –come il più confortante predicatore delle miserevolezze dell’oggi- affida alla parola la luce incontrastata che può far distinzione nella barbarie comunicativa dove tanti assurdi Marte in miniatura si sono armati di kalashnikov e incitano alla lotta delle masse:

Ma la poesia cosa fa, cosa fanno i poeti?”

gridano quelli che cercano il consenso

su ciò che hanno pensato e già deciso,

e vogliono che ancora oggi i poeti

siamo giullari, profeti o cortigiani.

Ma i poeti, nonostante la loro boria

o il loro sottomettersi ai potenti,

il narcisismo o l’adorazione di molti,

nonostante il loro stile ellittico o verboso,

a un certo punto scelgono, denunciano, sperano,

chiedono, come nell’istante cruciale

l’altro poeta chiese: più luce.

La poesia non riadatta al presente

la stessa opera rappresentata da anni,

non salmeggia istruzioni sull’uso del bene,

non risuscita i cani morti della metafisica.

Passando in rassegna le cose già accadute

la poesia cerca risposte

a domande non ancora fatte.

Written by Lorenzo Spurio


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