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LE MILLE LUCI DI NEW YORK (1988) di James Bridges

Creato il 28 maggio 2011 da Close2me

la_mille_luci_di_new_yorkSceneggiato da Jay McInerney, autore del romanzo originale, considerato a tutt’oggi pietra miliare della new wave letteraria statunitense anni ‘80, Bright Lights, Big City (questo il titolo originale) rappresenta una cronaca spietata, cristallina e deliberatamente cinica della way of life che caratterizzò i giovani rampanti del decennio di riferimento. Il film esce solo un anno dopo l’adattamento cinematografico di un altro romanzo assai prossimo a quello di McInenrney, Meno di zero, a firma dell’altrettanto talentuoso Bret Easton Ellis.
“Un giovane giornalista addetto al reparto Verifica dei Fatti di un’importante quotidiano, attraversa un periodo di depressione dopo aver perso la madre ed essere stato abbandonato dalla moglie, forse partita per Parigi in cerca di successo come modella. Dando ascolto ai pessimi consigli dell’amico Tad, gira ogni notte alla ricerca di piaceri effimeri scivolando lentamente in una spirale di vizi, droga e alcolismo. Questa condotta lo farà licenziare dal lavoro ma, quando tutto sembra perduto, trova la forza di reagire”
Nonostante l’autore neghi riferimenti personali nella vicenda narrata luoghi, situazioni e personaggi della Lower East Side newyorkese appaiono allo spettatore espliciti riferimenti ad un bizzarro (sotto)mondo, che sconvolge ed affascina nella sua specificità. Tuttavia l’incredibile anomalia de Le mille luci di New York sta soprattutto nell’aver scelto, come protagonista assoluto, il simbolo per antonomasia di una cinematografia magica e scintillante, lontana anni luce dal vortice di perdizione sociale del corrispettivo letterario: Michael J. Fox. Scelta azzardata quanto azzeccata, verrebbe da dirsi. L’attore di origini canadesi, coadiuvato dalla regia misurata ma curatissima di Bridges (Sindrome cinese, Urban Cowboy), offre un’interpretazione impeccabile e struggente di un moderno disadattato in cravatta, vittima di sentimenti fuori tempo massimo e mal metabolizzati. Gravitano nel suo perimetro personaggi non meno sfaccettati che interpretano i propri ruoli sociali con quotidiana perseverante difficoltà, come la capo redattrice Clara (una strepitosa Frances Sternhagen) o il navigato Ferret Man (William Hickey), che affonda miseramente nell’alcool la propria disillusione. Comprensibile che il film, all’uscita nelle sale, fu un sonoro fiasco: assoluta mancanza di aspettative rassicuranti (se non nei fotogrammi finali, forse), un protagonista che è socialmente “perdente” ed una compagna bella e scaltra che fa dei propri sogni professionali l’unica ragione di vita, bypassando tranquillamente il trittico marito-figli-stabilità. Un controsogno americano che si schianta contro il pubblico del tempo, minandone lo scintillante edonismo.
Da recuperare immediatamente insieme al romanzo, perché entrambi troppo preziosi.


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