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Le mille ombre di Broadway

Creato il 03 agosto 2014 da Basketcaffe @basketcaffe

If you can make it anywhere, you might not make it here”. Phil Jackson ha sentito ronzare questa frase decine di volte; il suo ritorno a New York ha riacceso le luci del Madison Square Garden nel momento più buio della stagione, ma non ha ancora spezzato i meccanismi contorti che hanno regolato la vita della franchigia più discussa dell’NBA. L’Eterno Ritorno delle spese folli ha zavorrato l’ultimo decennio della storia dei Knicks e ha proiettato la sua ombra lunga sui pensieri dell’imperturbabile Coach Zen; il tecnico più vincente di sempre continua a nascondere magistralmente i suoi stati d’animo, ma i sussurri degli scettici avvolgono il suo sobrio profilo con gli scomodi benefici del dubbio.

Se ce l’hai fatta ovunque, non è detto che tu riesca anche qui”. Jackson non ha resistito al richiamo dell’Arena più famosa del mondo e ai 12 milioni di dollari annui che il proprietario dei New York Knicks, James Dolan, gli ha offerto per convincerlo a lasciare Los Angeles e a tornare nella città del suo destino: Phil ha vinto il suo primo anello con le sneakers ai piedi, la canotta bianco-blu-arancio e un look da hippy che lasciava presagire una coscienza critica piuttosto sviluppata, ma non proiettava ancora lo scintillio dorato del pino. Coach Zen ha abbandonato il suo felice pensionamento e ha accettato la poltrona di Presidente delle basketball operations: il suo spirito cercava una nuova sfida, le contingenze storiche gli hanno consegnato la più difficile in assoluto. Quando Jackson è rientrato al Madison Square Garden, i Knicks speravano in un’improbabile primavera di bellezza, ma le sciagure di uno degli inverni più tristi della loro storia zavorravano la loro classifica; la rimonta-Playoffs è stata soffocata nella culla e ha lasciato il posto alle polemiche sul payroll e sulla luxury tax. Dolan ha onorato le prestazioni dei suoi atleti con 94.114.692 di dollari; gli emolumenti hanno superato di 31.049.692 il salary cap NBA, ma la squadra non ha mai acceso le speranze dei suoi tifosi e ha lasciato che la passione cestistica di New York tornasse verso i templi più autentici della Grande Mela, i playground delle leggende.

Mentre il sudore dei ballers incorniciava la devozione di una città intera alla religione della palla a spicchi, le grandi manovre della dirigenza aprivano contraddizioni insanabili: la conferma di Carmelo Anthony passava attraverso le forche caudine della free agency e i malcelati desideri di rifondazione totale che stimolavano le brame di Phil Jackson. La stella dei Knicks ha ascoltato le sirene di Chicago, Houston e Los Angeles, ma non ha ceduto ai loro richiami; la sua stilografica ha siglato un accordo quinquennale da 125 milioni di dollari e la sua lingua ha elogiato lo straordinario carisma di Coach Zen, l’uomo che – più di ogni altro – aveva mostrato le sue perplessità sull’opportunità di un’operazione così onerosa. La dirigenza ha tenuto duro e ha convinto il mentore tecnico della franchigia a trattenere l’unico giocatore che avrebbe potuto riempire il Madison Square Garden e dare un senso all’interminabile transizione verso la libertà salariale del luglio 2015; l’Anno Zero dei nuovi Knicks partirà solo quando i contratti di Amar’e Stoudemire e Andrea Bargnani smetteranno di prosciugare le casse di James Dolan. La stagione che verrà sarà un coacervo di contraddizioni: anche se Jackson ha ripetuto fino alla noia che nessuno dovrà attendersi risultati immediati e benché tutto l’ambiente abbia lasciato intendere che il progetto della Grande Mela guarda al prossimo lustro, la passione di New York e la tremenda stampa della città caricheranno un tremendo fardello sulle spalle di Derek Fisher: il Venerabile Maestro ha smesso di dispensare consigli a Kevin Durant e Russell Westbrook e si è seduto sulla panchina più scottante della Lega. Coach Zen ha immaginato che la sua sapienza cestistica e il carisma che ha infuso negli spogliatoi dello Staples Center e della Chesapeake Energy Arena valessero bene un contratto e gli ha offerto un quinquennale da 25 milioni di dollari; non poco, per un rookie del pino… Da Fish ha accettato e si è trovato al volante di una fuoriserie incapace di rimuovere il limitatore e di controllare i consumi.

"I’m willing to ride or die for New York.” — @carmeloanthony #Knicks #NYMade pic.twitter.com/dAhPwSOjWZ

NBA New York Knicks (@nyknicks) 13 Luglio 2014

Il suo roster costa $89.703.079, ma non garantisce alcun tipo di affidabilità: le contraddizioni di Amar’e Stoudemire producono statistiche trascurabili, prestazioni rivedibili, intese impossibili e un bonifico da $23.410.988; la fragilità strutturale e i vuoti difensivi di Andrea Bargnani trasformano le meraviglie offensive del suo repertorio in oggetti di lusso che fanno inferocire le coscienze dilaniate dalla crisi e chiudono quasi tutte le opportunità di mercato; le bizze ingestibili di J.R. Smith nascondono uno dei talenti più cristallini e poliedrici della Lega dietro una coltre di stravaganze e impediscono allo staff tecnico di pianificare in maniera puntuale la gestione delle gare poiché il figlio del New Jersey può offrire prestazioni irresistibili e scivolare in topiche impensabili con la stessa nonchalance che lo spinge a divorare un hot dog. La trade con i Dallas Mavericks ha portato in Texas due elementi che hanno sofferto tremendamente il caos dell’ultima stagione, Tyson Chandler – cavallo di ritorno – e Raymond Felton; gli arrivi di José Calderon, Samuel Dalembert, Wayne Ellington e Shane Larkin hanno aperto qualche speranza di miglioramento del sistema, ma non hanno levato le schegge dalla panchina di Derek Fisher. La point guard spagnola offrirà al suo nuovo coach una visione di gioco, una capacità di coinvolgere i compagni e una pericolosità perimetrale decisamente superiori a quelle di Felton, ma non si separerà piuttosto facilmente dai problemi difensivi e dagli scetticismi diffusi che hanno accompagnato la sua lunga carriera NBA. Il centro haitiano porterà rimbalzi, stoppate, impegno e serietà, ma le trentatré primavere peseranno in maniera sempre più significativa sul suo fisico; l’esplosività dei tempi di Philadelphia rischia di rimanere un lontano ricordo per i tabelloni del Garden e per i tifosi dei Knicks. Jason Smith metterà i suoi centimetri a disposizione di Fisher e cercherà di integrare l’apporto di Dalembert aumentando la pericolosità con tiro frontale e allargando la rotazione di New York.

Basterà? Se la Eastern Conference vivesse le dinamiche convulse del 2013/2014, la Grande Mela dovrebbe pensare con estrema determinazione ai Playoffs: senza gli infortuni e alcune delle incertezze che hanno segnato la stagione più controversa dell’ultimo lustro, Carmelo Anthony e compagni hanno le carte in regola per approdare a una primavera agonistica, ma la tenuta psico-fisica di Bargnani, la bipolarità di Smith e l’ego di Stoudemire rischiano di sconvolgere ancora gli equilibri dei Knicks. Se a questi dubbi si aggiungono le grida di guerra che sorgono da Cleveland e Chicago, le certezze in costruzione di Toronto e Washington, le solidità ferite di Indiana e Miami, i progetti di Charlotte e il fascino di Brooklyn, si intuisce che le ombre del fallimento non si sono ancora allontanate da Broadway.

Anno meno uno, anno di passaggio, anno pericoloso.


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