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Le prospettive strategiche del Baltico nel confronto tra Est e Ovest

Creato il 13 ottobre 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Simone Vettore

Sin dal Tardo Medioevo, e con maggior precisione a partire dal momento in cui i progressi nelle tecniche costruttive e di governo delle navi consentirono una navigazione che non fosse di puro cabotaggio, il raggiungimento del dominium maris Baltici è stato, a turno, l’obiettivo strategico costante e principale delle politiche “estere” di pressoché tutti gli attori, peraltro non sempre propriamente statuali [1], con interessi su questo bacino. L’importanza di avere libero accesso al mare e di potervi navigare era infatti tale che, allorquando uno Stato si avvicinava o peggio raggiungeva un simile obiettivo, i rimanenti creavano alleanze volte a ristabilire lo status quo spesso e volentieri mediante l’uso della forza.

La particolare conformazione oro-idrografica di questo bacino e la tipologia di traffici che in esso si svolgevano aiuta a comprendere meglio l’importanza da esso assunta per i vari Stati rivieraschi: il Baltico è infatti un mare chiuso caratterizzato da bassi fondali e coste frastagliate sulla sponda settentrionale, decisamente più basse, sabbiose e lineari su quella meridionale; numerose sono le isole, spesso collocate in punti chiave (ad es. di accesso a golfi o stretti [2]) e pertanto utilizzabili a seconda delle circostanze sia per scopi pacifici (come punti d’appoggio alla navigazione capaci di fornire un approdo sicuro alle navi mercantili ed ai pescherecci) sia per fini militari (dal controllo delle rotte marittime all’imposizione di blocchi navali).

Tali caratteristiche, sostanzialmente immutate sino ai giorni nostri, rendevano pertanto il Baltico un mare nel quale la navigazione era complessivamente agevole e di conseguenza lo trasformavano, nei mesi in cui esso non è ghiacciato, in una magnifica via di comunicazione attraverso la quale far transitare merci, derrate alimentari e persone; se aggiungiamo poi la presenza di ulteriori fattori climatici e geografici (ci si riferisce nello specifico, a nord dell’area in considerazione, alle proibitive condizioni climatiche e, ad est, all’enormità degli spazi del bassopiano sarmatico, che costituivano l’entroterra della Confederazione polacco-lituana ed il cuore stesso della Russia [3]), che lo rendevano l’unica opzione concretamente percorribile, si comprende appieno il ruolo vitale svolto da questo mare per gli Stati dell’area [4]. 

Vale la pena sottolineare come quest’importanza è rimasta tale e quale praticamente fino ai giorni nostri: difatti se è innegabile che anche il Baltico, con un destino per certi versi analogo al Mar Mediterraneo, divenne periferico in raffronto ai grandi oceani ed ai commerci che su di essi si svolgevano in seguito alle scoperte geografiche, è altrettanto incontestabile che esso rimase al centro delle “attenzioni” degli Stati baltici ed aspiranti tali, ne siano riprova le politiche estremamente offensive portate avanti da Brandeburgo/Prussia/Germania e dalla Russia e, per contro, la strenua difesa opposta dagli Stati minacciati da queste ultime.

Riguardo a tali politiche, pur non essendo questa la sede per ripercorrere nel dettaglio le complesse ed alterne vicende che videro parallelamente al declino della Svezia e della Confederazione polacco-lituana l’ascesa inarrestabile della Prussia/Germania e della Russia, risulta ugualmente utile effettuare un sommario excursus dei principali passaggi storici, tanto più che il loro ricordo permea profondamente, connotandole nel senso di una  profonda diffidenza, le odierne politiche estere di quegli Stati della regione che si trovarono a subire dette mire espansionistiche.

La Svezia, dominatrice del Baltico per buona parte del XVII secolo, perse a favore della Russia la maggior parte dei propri strategici possedimenti nella sponda sud (Ingria, Estonia, Livonia e Pomerania) con il trattato di Nystad che sancì la conclusione della disastrosa II guerra del Nord (1700-1721). La Polonia, formalmente vincitrice di questo conflitto, si trovò schiacciata tra Prussia, Sacro Romano Impero Germanico/Austria e Russia, Stati che non a caso di lì a pochi decenni se ne spartirono il territorio in tre tornate (1772, 1793 e 1795), fino a farla sparire dalla carta geografica; ritrovata l’indipendenza nel 1918, entrò subito in conflitto con la Russia sovietica (1919-1920) e venne di nuovo spartita tra Germania e Russia nel 1939 per poi entrare nell’orbita sovietica nel 1945. Similmente la Finlandia venne ceduta dalla Svezia alla Russia nel 1809, ottenne l’indipendenza nel 1917 ma nel 1940 subì di nuovo l’attacco sovietico, al quale seppe opporre una strenua resistenza che le consentì di preservare l’indipendenza (stipulato l’accordo di pace, nel 1941 fu Helsinki a riprendere le ostilità a fianco della Germania nazista fino al 1944, salvo poi rivoltarsi contro Berlino nell’ultimo anno di guerra). Le tre repubbliche baltiche, infine, vennero anch’esse progressivamente assorbite dalla Russia: l’Estonia e la Lettonia, come accennato poc’anzi, come conseguenza del disfacimento del cosiddetto “impero svedese”, la Lituania a seguito della spartizione della Polonia [5]. Ritrovata l’indipendenza nel 1918, vennero tutte e tre occupate nel 1939 dall’Unione Sovietica, all’interno della quale rimasero sino al crollo di quest’ultima.

Appare dunque evidente come, al termine della Seconda Guerra Mondiale, venuta meno anche la potenza germanica, a dominare il Baltico era indubbiamente l’Unione Sovietica: tutta la sponda sud fino al Meclemburgo, nell’allora Germania Est, era in suo possesso mentre dalla sponda nord non provenivano pericoli evidenti, stante la prudente politica di neutralità assunta da Stoccolma e quella più o meno imposta/auto-imposta di Helsinki (la celebre “finlandizzazione”).

Purtroppo per Mosca la situazione strategica era complicata dal fatto che la NATO, della quale Danimarca e Norvegia erano (sono) membri fondatori, ne controllava gli accessi; nel contempo bisogna pure riconoscere come, alla luce delle dimensioni globali assunte dalla sfida politico-ideologica tra Est ed Ovest, il Baltico non era più centrale né per il blocco comunista nel suo complesso [6], avendo esso ben altri modi di accedere ai mari caldi (dalla flotta del Pacifico con base a Vladivostok ai punti d’appoggio progressivamente ottenuti a Cuba, in Siria, nel Vietnam, etc.), né per il Patto di Varsavia, la cui sopravvivenza era assicurata dai collegamenti diretti con Mosca (dalla quale provenivano approvvigionamenti energetici, cibo, armamenti, etc.), i quali si svolgevano per linee interne e, aspetto qui centrale, lungo rotte terrestri.

Preso dunque atto di questa minor importanza dell’area baltica nel quadro complessivo, è comunque opportuno sottolineare come essa rimanesse a tutti gli effetti una “zona calda”: qui, come da nessuna parte altrove, correva in maniera netta la linea di demarcazione tra l’Est e l’Ovest e qui, non a caso, si testavano le rispettive capacità dei sistemi di scoperta, i tempi di warning e reazione affidando missioni più o meno segrete a sottomarini, aerei, etc. 

Questo quadro, pressoché immobile per oltre un cinquantennio, subisce importanti cambiamenti con l’implosione dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda: il Baltico, da “lago” sovietico che era, nonostante alcune importanti permanenze ritorna: 1) ad essere un bacino nel quale si svolgono fiorenti commerci e non solo lungo la classica rotta est-ovest ma anche tra gli stessi Paesi baltici (si pensi al network tra Finlandia ed Estonia all’epoca d’oro di Nokia) così come, nel contempo, 2) ad essere un mare aperto a molteplici influenze ovvero, per usare un lessico militare, conteso/contendibile con tutto ciò che ne consegue.

Il Baltico, in altri termini, mostra a partire dall’ultima decade dello scorso secolo una duplice faccia e può essere tanto luogo di prosperosi commerci e feconde relazioni nei periodi di concordia quanto facilmente incendiabile nei momenti di tensione internazionale.

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Confronto tra Russia e Paesi del Baltico – Fonte: Wall Street Journal

Il principale fattore di novità è indubbiamente rappresentato dalla profonda avanzata ad est della NATO, che accettando tra i suoi membri Polonia (1999), Lituania, Lettonia ed Estonia (2004), ha ottenuto il controllo di tutta la sponda meridionale del Baltico, eccezion fatta per l’exclave russa di Kaliningrad (l’ex Königsberg): tale allargamento da una parte ha risposto ai desiderata statunitensi che miravano ad “ingabbiare” l’orso russo il più possibile finché era debole, dall’altro veniva incontro alla comprensibili (tanto più alla luce dei precedenti storici sopra esposti) esigenze di difesa degli Stati dell’area che, in particolare i tre baltici, non sarebbero altrimenti stati in grado di provvedere autonomamente alla propria difesa.

Si è trattata dunque di una decisione, dal punto di vista politico, per certi versi naturale ma che presenta più di una contro-indicazione: in primo luogo la marcata estensione ad Est, portando le frontiere della NATO a diretto contatto con quelle della Russia, aumenta esponenzialmente la possibilità di rimanere invischiati in crisi con l’ingombrante vicino senza peraltro essere in grado di fornire, in assenza di un sostanzioso riposizionamento in avanti dei propri asset militari, la garanzia assoluta di protezione ai propri membri [7]. Purtroppo l’eventuale, sostanzioso rischiaramento di uomini e mezzi (quanto fin qui annunciato e fatto è soprattutto simbolico) potrebbe acuire ulteriormente quelle tensioni che sarebbe invece opportuno allentare.

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Punti strategici nella regione del Baltico – Fonte: Heritage Foundation

Un secondo problema è lo squilibrio esistente tra sponda nord e sponda sud: mentre la seconda, come si è visto, è entrata con decisione nell’ambito NATO, quella nord (con Svezia e Finlandia) ha mantenuto, in continuità con la politica portata avanti per tutta la durata della Guerra Fredda, la sua neutralità. Si tratta di un “vuoto” tra i due schieramenti che potrebbe avere gravi implicazioni; in particolare la Russia, sfruttando l’evidente decoupling esistente tra capacità di difesa della NATO e capacità di difesa dell’UE (della quale sia Stoccolma che Helsinki, come noto, fanno parte), potrebbe tentare di rafforzare le proprie posizioni nell’area colpendo uno di questi Stati che, appunto, rappresentano l’anello debole nel sistema difensivo regionale, tanto più che essi, improvvidamente, negli ultimi decenni (con un’accelerazione a partire dalla crisi del 2008) hanno diminuito le proprie spese nel settore difesa nella convinzione che da est non sarebbero provenute più minacce, finendo col perdere significative capacità nei cruciali settori della lotta anti-som, anti-nave e nelle operazioni anfibie.

Lo shock provocato dalla crisi Ucraina ha comunque portato ad una rapida inversione di tendenza: sia la Svezia che la Finlandia hanno mostrato i muscoli partecipando alle consuete esercitazioni congiunte (BALTOPS 2015) tenute dalla NATO all’inizio dell’estate [8] ed hanno annunciato l’aumento del proprio budget di spesa in armamenti.

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Esercitazioni NATO (blu) e Russia (rosso) – marzo-luglio 2015 – Fonte: The Washington Post

In particolare la Svezia progetta di rifortificare la strategica isola di Gotland la cui caduta in mano nemica (leggasi russa), con il conseguente dispiegamento di sistemi di difesa aerea a largo raggio e di missili anti-nave da parte di questi ultimi, secondo alcuni studi a) comporterebbe l’impossibilità da parte delle navi da guerra NATO di entrare nel Baltico attraverso gli stretti danesi, b) costringerebbe in porto le unità di superficie svedesi, c) obbligherebbe aerei ed elicotteri svedesi a restare a terra e costituirebbe naturalmente una grossa minaccia per l’operatività in questo teatro anche per tutti gli altri velivoli dell’Alleanza [9].

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Capacità militari dei Paesi del Baltico – Fonte: Wall Street Journal

Un simile scenario bellico, si badi, per quanto inquietante e da rifuggire esso sia, non è poi così irrealistico: per la Russia gli interessi in ballo nel Baltico sono così vitali che neppure l’opzione militare è da escludere, tanto più dopo il precedente della Crimea/Ucraina.

Con quest’ultimo teatro, peraltro, seppur con le debite differenze esistono alcune interessanti analogie che è opportuno qui riportare:

  • in entrambi i casi siamo in presenza di un bacino ristretto (Mar Baltico e Mar Nero) i cui angusti accessi sono in mano a Stati aderenti alla NATO (Danimarca e Norvegia da una parte, Turchia dall’altra) e che dunque lo possono virtualmente trasformare in un mare chiuso;
  • in entrambi i casi vi si trovano importanti basi navali russe, ovvero Sebastopoli da una parte e Kronstadt e Baltysk (nell’oblast di Kaliningrad) dall’altra; il possesso di Sebastopoli, come noto, è stato uno dei fattori scatenanti l’intervento russo nella crisi ucraina e, a riprova dell’importanza delle valutazioni di carattere navale, l’obiettivo di estendere i tratti di costa sotto il proprio controllo (od almeno sotto quello dei separatisti filo-russi) è stato perseguito con chiara determinazione nei mesi successivi. Nel Mar Baltico le condizioni sono diverse ma sicuramente il possesso di Kaliningrad è considerato vitale, dal momento che questa base consente un accesso al mare ben più agevole rispetto a Kronstadt (facilmente bloccabile com’è, in fondo al golfo di Finlandia), e tale da provocare reazioni se messo in discussione;
  • in entrambi i casi il mare rappresenta un importante canale di transito in entrata ed uscita nel mercato russo e soprattutto un fondamentale snodo per il suo export energetico; infatti se nel Mar Nero vi è il Blue Stream (mentre il progetto South Stream pare essere stato), nel Baltico vi è il North Stream che, partendo da Vyborg, poco a nord di San Pietroburgo, scorre per oltre 1200 chilometri sottacqua prima di riaffiorare a Greifswald, in Germania, e di qui rifornire i mercati dell’Europa settentrionale [10]. Accanto al gas vi è poi il petrolio: un recente studio dell’US Energy Information Administration ha svelato come gli stretti danesi, con 3,3 milioni di barili al giorno (praticamente tutti di produzione russa), siano uno dei principali colli di bottiglia a livello globale per quanto riguarda le rotte navali dell’oro nero, di poco inferiore per intenderci allo stretto di Bab al-Mandeb nel Mar Rosso (con 3,9 bpd) e superiore a quanto transita per gli stretti turchi (2,9 bpd) [11].

Questi ultimi numeri parlano da soli e testimoniano l’importanza vitale ricoperta per l’economia russa dal Mar Baltico, tanto più in considerazione del peso che assume l’export di materie prime nella bilancia commerciale di Mosca ed alla luce del rallentamento dell’economia cinese, che fa tramontare, almeno provvisoriamente, la speranza del Cremlino di diversificare i propri mercati di sbocco.

Appare una volta di più in modo lampante la profonda interdipendenza esistente tra economia russa ed europea, constatazione che da sola dovrebbe indurre entrambe gli le parti ad un atteggiamento più prudente ed a linguaggi più moderati.

Purtroppo, si è già avuto modo di ricordarlo, i precedenti storici non contribuiscono a che ci sia un clima di distensione ed anzi per gli Stati un tempo appartenenti al blocco sovietico sottrarsi dalla dipendenza energetica di Mosca è un modo per affermare la propria indipendenza; dal canto suo la Russia continua ad utilizzare in modo sin troppo spregiudicato la leva energetica come arma di ricatto politico, atteggiamento che non aiuta evidentemente alla creazione di un clima di reciproca fiducia.

In questo senso un fattore di depotenziamento degli attriti potrebbe essere rappresentato, in prospettiva, dall’affermarsi della rotta artica che passa a nord della massa eurasiatica e che è nota come Via Marittima Settentrionale (o passaggio a Nord-Est); per Mosca, infatti, poter fare affidamento su un canale di sbocco alternativo, posto peraltro per la maggior parte del tragitto sotto il proprio controllo, potrebbe significare una volta per tutte liberarsi da quella sorta di timore innato di trovarsi soffocata all’interno della propria (imponente) massa continentale, priva di alcun accesso al mare aperto, timore che tradizionalmente caratterizza la sua politica estera.

Anche questo scenario futuribile contiene tuttavia in nuce degli elementi di criticità: non è infatti inverosimile ipotizzare che lo spostamento a nord degli interessi sposti a nord anche i possibili attriti. Nello specifico la presenza nelle regioni settentrionali di Svezia e Finlandia, rispettivamente, delle basi aeree di Lulea e di Rovaniemi, potrebbe essere percepita come una minaccia latente al terminale russo di Murmansk (peraltro base della Flotta del Nord) e pertanto potrebbe indurre Mosca, di nuovo, a prendere in considerazione l’opzione di porre sotto il proprio controllo l’intera area [12].

Evidentemente il quadro è per il momento abbozzabile se non a grandi linee e con ampli margini di errore ma una indicazione conclusiva si ritiene comunque di poterla ricavare: il Mar Baltico anche nel prossimo futuro potrebbe mantenere pressoché immutata la sua importanza, divenendo esso il retrovia, non meno strategico giacché posto alle spalle dei terminali occidentali, del nuovo big game in atto sui mari artici. Un ulteriore motivo per mantenerlo al centro della propria agenda.

* Simone Vettore è OPI Adjunct Fellow

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[1] Si pensi all’Ordine dei Portaspada o alle città dell’Hansa; per una panoramica sull’importanza del Baltico nel Medioevo e nella prima età moderna vedi J. Glete, Navies and nations. Warships, Navies and State Building in Europe and America, 1500 – 1860, Stockholm, Akademitryck, 1993.

[2] Si pensi alle danesi Sjaelland (l’isola su cui sorge Copenaghen) e Bornholm, poste giusto a presidio del Kattegat, alla svedese Gotland, proprio in mezzo al Baltico, all’arcipelago finlandese delle Åland, situate all’imboccatura del golfo di Botnia oppure alle estoni Saaremaa e Hiiumaa, a protezione del golfo di Riga.

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Strategicità delle maggiori isole nel Baltico – Fonte: Heritage Foundation

[3] Relativamente al tema delle distanze giova ricordare che, con le tecnologie dell’epoca, il commercio via nave non solo era il più conveniente dal punto di vista economico (in fatto di capacità di carico e rapidità di trasporto) ma anche, specie per le merci deperibili, l’unico materialmente possibile. La comparsa e diffusione di mezzi di trasporto a propulsione meccanica avrebbe ovviamente mutato radicalmente questo quadro, fermo restando che la nave avrebbe preservato fino ai nostri giorni, specie sulle lunghissime distanze, il suo vantaggio.

[4] Da manuale il ruolo svolto dal porto di Danzica quale collettore delle granaglie prussiane, ucraine e russe che di qui prendevano la via di Amsterdam che a sua volta le smistava nell’intera Europa occidentale. La capacità di accedere al surplus cerealicolo dell’Europa orientale era dunque garanzia di sopravvivenza in caso di carestie; di qui l’interesse anche per le potenze extra baltiche (Francia e Paesi Bassi in primis) a che tale flusso non venisse per nessuna ragione interrotto. Vedi C. Tilly, Approvvigionamento alimentare ed ordine pubblico nell’Europa moderna, in C. Tilly (a c. di), La formazione degli stati nazionali nell’Europa occidentale, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 227-96.

[5] Un paio di doverose precisazioni: la Lettonia è approssimativamente sovrapponibile alla Livonia, regione storica facente capo a Riga; la Lituania, invece, era regno costitutivo della cosiddetta Confederazione polacco-lituana o Repubblica delle Due Nazioni.

[6] Un’analoga considerazione può essere fatta per il blocco occidentale ed in particolare per la NATO: le linee di comunicazione marittime tra Europa occidentale e Stati Uniti si appoggiavano infatti sui grandi porti del Mare del Nord (quali Rotterdam, Amburgo, Anversa, etc.), ovvero tutti situati ad ovest dello Skagerak.

[7] Il generale ceco Petr Pavel, attuale Presidente del Comitato Militare della NATO, ha affermato che in caso di attacco russo ai Paesi baltici, l’occupazione avverrebbe nel giro 48 ore, lasso di tempo entro il quale l’Alleanza non sarebbe in grado di organizzare un’adeguata risposta per impedirla. Vedi Russia would be able to occupy Baltics in two days-Czech general, ČeskéNoviny.cz, 25 maggio 2015. Il quadro politico-militare ricorda per certi versi quello della Polonia prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale: alleata di Francia e Regno Unito, Varsavia faceva affidamento (in assenza di truppe francesi e britanniche schierate nel proprio territorio) soprattutto sul valore dissuasivo dell’alleanza.

[8] BALTOPS è giunta alla 43ͣª edizione. Vedi NATO Allies begin naval exercise BALTOPS in the Baltic Sea.

[9] L’aumento delle spese in armamenti è un trend peraltro comune agli altri Stati baltici. Su queste tematiche vedi rispettivamente G. O’Dwyer, Rising Tensions Boost Nordic, Baltic Spending, DefenseNews.com, June 27, 2015, e, dello stesso autore, Russia’s Aggression Spurs Sweden to Boost Spending, Acquire New Capabilities, DefenseNews.com, May 7, 2014.

[10] È notizia di qualche giorno fa l’accordo che prevede il raddoppio di questo gasdotto, che verrà costruito da parte di un consorzio che annovera tra i suoi soci Gazprom (con il 51%) e, con quote minori, Basf, E.On, Shell, Engie (ex GdF-Suez) ed OMV. Vedi S. Bellomo, Gazprom, al via Nord Stream 2, Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2015.

[11] Vedi World oil transit chokepoints critical to global energy security.

[12] Questi due Stati rientrerebbero dunque, di nuovo, nelle mire russe. Si ribadisce pertanto l’importanza che essi si integrino maggiormente nei meccanismi di difesa collettivi regionali (NATO od Unione Europea), nonostante il rischio concreto che tanto l’una quanto l’altra organizzazione, specie qualora dovessero permanere le ristrettezze nei bilanci del comparto difesa, perdano l’indispensabile equilibrio tra il fronte settentrionale ed il non meno critico fronte meridionale.

Photo credits: NATO

 

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