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Le relazioni tra guerra e terrorismo nell’età contemporanea

Creato il 26 novembre 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

I recenti attacchi a Parigi, definiti dai più come terrorismo, e la risposta nelle dichiarazioni del Presidente francese Hollande, il quale parla apertamente di guerra, ci devono condurre a riflettere su questi due termini: terrorismo e guerra. Il problema riguarda la definizione di questi due fenomeni, perché, malgrado si possano riempire biblioteche intere con volumi e articoli accademici che trattano di cosa sia l'uno e l'altra, in realtà una definizione condivisa non esiste. Cerchiamo dunque di capire con un procedimento induttivo la relazione esistente fra i due fenomeni per comprendere meglio sia la loro natura sia i legami che li uniscono.

Partiamo dal concetto di guerra stabilendo fin da subito alcuni principi basilari entro cui si deve muovere la nostra riflessione. Convenzionalmente dalla pace di Westfalia in poi (quindi dal 1648, ovvero un periodo di tempo molto limitato se si pensa all'intera storia dell'uomo e della guerra) e nel solo mondo europeo (ovvero una piccola seppur importante porzione di spazio geopolitico sul globo terrestre), la guerra è stata definita come lo scontro armato tra due Stati sovrani che si riconoscevano reciprocamente. Ciò ha permesso di creare un corpus giuridico per limitare e codificare la guerra (Carl Schmitt definì tutto ciò lo jus publicum europaeum), il problema però è che la guerra non è solo quella "cosa lì" come possiamo facilmente dimostrare attraverso due riflessioni.

La prima riflessione riguarda proprio il periodo d'oro dello jus publicum europaeum perché anche in quel contesto la guerra intesa come scontro tra eserciti statuali era solo una delle possibili forme di conflitto sia in Europa sia soprattutto al di fuori. A tal proposito si possono fare tre esempi che chiariscono perfettamente il punto. Il Kleiner Krieg o la petite guerre, concetti di guerra nati nella seconda metà del Diciottesimo secolo in cui "parti" (da qui il termine partigiano che nel corso del Ventesimo secolo assumerà poi le connotazioni a noi note) dell'esercito combattevano in modo non convenzionale per sorprendere o osservare il nemico, offrono già una via di fuga dal concetto formale di guerra e dalla rigidità tattica e strategica degli eserciti del tempo [1]. Tale procedura operativa è stata poi ripresa durante la Seconda Guerra Mondiale e dalle moderne Special Forces anche se in forme diverse [2]. Quel corpus dottrinale è stato poi utilizzato per sviluppare, ed è questo il secondo esempio, la guerriglia moderna (ovvero il popolo in armi e non un esercito statuale) che tanto influenzò l'esperienza di Napoleone in Spagna, la riflessione prussiana e lo stesso Clausewitz e poi ancora Carl Schmitt nel suo Teoria del partigiano [3]. La guerriglia è una presenza costante nella storia del Diciannovesimo e Ventesimo secolo, ma esula completamente dalla definizione di guerra classica e inoltre se in passato raramente ha modificato gli equilibri internazionali ciò non è più assolutamente vero almeno a partire dal 1945: la guerra in Indocina, del Vietnam, d'Algeria hanno tutte portato alla creazione di nuove entità statuali e conseguentemente a un parziale mutamento del sistema internazionale. Infine, si pensi all'infinità di guerre, piccole o grandi, lunghe o brevi, che le potenze occidentali hanno combattuto in tutto il mondo per conquistare spazio e crearsi i loro imperi coloniali proprio nei secoli dello jus publicum europaeum. Tali guerre non solo non videro mai, se non in rarissimi casi, lo scontro tra due eserciti statuali, ma spesso anche la parte europea combatté in modo non europeo sia arruolando forze locali sia impiegando le proprie forze in modo atipico rispetto ai manuali militari europei. Un classico testo a tal proposito è Callwell, Small Wars [4], in cui l'autore, un ufficiale inglese con circa 30 anni di esperienze militari coloniali, non solo mette in luce la natura del tutto particolare di questi conflitti, ma li definisce nell'unico modo in cui possiamo fare ancora noi oggi: " Small Wars è un termine che [...] include tutte le campagne tranne quelle in cui entrambi i contendenti sono composti da truppe regolari ".

Dunque anche nel periodo westfaliano la guerra fu solo in modo del tutto parziale uno scontro tra Stati sovrani (una forma di scontro inoltre statisticamente meno rilevante rispetto ad altre), ma oggi invece? Qui si inserisce la seconda riflessione di cui si diceva prima. È a partire dalla fine della Guerra fredda che all'interno degli Studi Strategici e non solo si dibatte su come sia cambiata la guerra: si parla di LIC ( Low Intensity Conflicts) [5], di "nuove guerre" [6], di "guerre di quarta generazione" [7], di "guerra ibrida" [8] e si potrebbe continuare ancora a lungo [9]. Detto che ogni autore propone la propria analisi e definizione partendo da un contesto conflittuale preciso e focalizzandosi spesso solo su alcuni aspetti, ciò che emerge da queste analisi è che i conflitti di oggi sono per definizione irregolari, non convenzionali ovvero lo Stato con il suo esercito non è più il protagonista assoluto del conflitto, anzi spesso non è nemmeno chiamato in causa. Per fare un chiaro esempio quantitativo basta rifarsi a uno dei diversi database che studiano il fenomeno bellico, il SIPRI, e si "scopre" così che tra il 2001 e il 2011 sono state combattute 69 guerre fra Stati ma ben 221 fra attori non statuali [10].

All'interno di questo dibattito viene quindi riscoperto il tema dell'insorgenza, altro termine di difficile definizione, ma per noi utile al fine di inquadrare meglio il problema della relazione tra guerra e terrorismo. Brevemente e con un po' di generalizzazione, l'insorgenza è la forma moderna di guerriglia in cui una forte ideologia (politica o religiosa che sia) si fonde a tattiche militari conosciute e praticate da sempre da quegli attori che non hanno la forza organizzativa, economica e militare dell'esercito statuale. Ma cosa ci insegna il termine insorgenza riguardo la relazione guerra-terrorismo?

La risposta è duplice. Prima di tutto quello a cui stiamo assistendo, specie nella regione del Mediterraneo che influisce poi sull'intera Europa, è un'insorgenza a carattere islamico certamente molto sfaccettata al suo interno e molto sparsa su ampi territori, ma allo stesso tempo collegata e organizzata. Lo Stato Islamico (IS) rappresenta oggi la forma più moderna di insorgenza e come tale deve essere affrontata. Secondariamente, il terrorismo, come la guerra, ha mutato la sua forma nel corso della storia per cui non è scontato che tale analisi su di esso sia valida per tutti i periodi storici, certamente lo è per l'oggi e per il fenomeno insurrezionale che ci interessa. Infatti, se osserviamo l'insorgenza nel suo sviluppo storico possiamo vedere come ciò che noi oggi definiamo terrorismo sia in realtà un elemento militare cardine di questo fenomeno.

Ciò è vero da due punti di vista. Primo, tattiche che possiamo definire terroristiche sono le più semplici da impiegare (a livello tattico, operativo, logistico) perché si colpiscono obiettivi indifesi, con armi semplici e piccoli commando più facili da gestire e coordinare. Tali tattiche sono, infatti, le prime mosse di un'insorgenza come mostra un'enorme letteratura ben radicata anche in testi italiani. Basti pensare al concetto di guerra per bande di Carlo Bianco in cui si sostiene che i primi passi verso un'insorgenza devono essere lo sviluppo di gruppi di 4-5 uomini che colpiscono poliziotti o elementi governativi del proprio villaggio per poi svilupparsi in un movimento insurrezionale nazionale e infine in un esercito regolare [11]; oppure al concetto di "propaganda dell'azione" sviluppato da Pisacane che in sostanza è la base del moderno terrorismo, poiché l'azione (l'attacco terroristico) serve come elemento di propaganda al fine di sollevare le masse per poi sviluppare un'insorgenza più ampia. Dunque, il terrorismo inteso in questo modo è semplicemente un elemento militare e tattico di un'insorgenza più ampia. Ciò è confermato, ed è questo il secondo punto di vista, dal fatto che le tattiche terroristiche non svaniscono quando l'insorgenza si è sviluppata e radicata, ma, come dimostra il caso IS, rimangono un elemento tattico centrale per una serie di ragioni: il movimento può sempre perdere terreno e quindi regredire a uno stadio meno avanzato e spostare il proprio baricentro nuovamente su elementi più terroristici; oppure le tattiche terroristiche servono al gruppo per ampliarsi e radicarsi in zone in cui non gode del controllo del territorio. È quest'ultimo (insieme ad altre considerazioni di politica internazionale, di strategia generale, di radicalizzazione sul territorio che qui non abbiamo modo di approfondire) il caso dell'attacco a Parigi così come quello contro Hezbollah a Beirut, o quello sul Sinai contro l'aereo russo o ancora quelli quotidiani a Baghdad.

Concludendo possiamo dire che, al di là di definizioni estremamente difficili da dare e che comunque non saranno mai precise e saranno sempre soggette alle mutazioni che la storia politica impone, la guerra oggi non è più solo un conflitto armato tra Stati ma un qualcosa di diverso in cui attori statuali e non si mischiano e si combattono. Ne consegue che oggi quando si utilizza il termine guerra si fa riferimento a questo concetto e non più al tradizionale scontro fra Stati e tale aspetto è centrale se si vogliono capire le dichiarazioni di François Hollande. La forma di guerra attuale, o quanto meno quella che l'IS rappresenta e che volenti o nolenti ci troviamo in casa, è definibile come un'insorgenza e in essa le tattiche terroristiche giocano un ruolo centrale. Non bisogna quindi confondere queste ultime per "semplici" azioni terroristiche perpetrate da un gruppo di "estremisti" più o meno isolati politicamente, strategicamente e socialmente, bensì vanno lette come azioni studiate e compiute all'interno di un movimento ben più ampio e che gode in loco e altrove di forti sostegni (sociali, economici, militari) che quindi vanno individuati e distrutti.

Terrorismo e guerra nel corso della storia hanno assunto forme molto diverse, questo spiega la difficoltà nel definirli precisamente, e non sempre è stato possibile un loro allineamento, ma oggi con l'insorgenza che fa capo a IS il terrorismo va inteso non come fenomeno a sé, ma come tattica militare ed è in questo quadro che guerra e terrorismo trovano un terreno comune.

* Andrea Beccaro, analista strategico, già docente a contratto di Relazioni Internazionali presso l'Università di Torino e DAAD Fellow presso la Freie Universität di Berlino. www.andreabeccaro.it

[1] M. Rink, Vom "Parthaygänger" zum Partisanen, Peter Lang, Frankfurt, 1999.

[2] B. Heuser, " Small Wars in the Age of Clausewitz: The Watershed Between Partisan War and People's War", Small Wars & Insurgencies, 33/1, 139-162, 2010.

[3] C. Schmitt, Teoria del partigiano, Adelphi, Milano, 2005.

[4] A. Beccaro, (a cura di), C. E. Callwell, Small Wars. Teoria e prassi dal XIX secolo all'Afghanistan, LEG, Gorizia, 2012).

[5] M. van Creveld, The Transformation of War , The Free Press, New York, 1991.

[6] M. Kaldor, New and Old Wars: Organized Violence in a Global Era, Polity Press, Oxford, 1999.

[7] W. Lind et al., The Changing Face of War: Into the Fourth Generation, Marine Corps Gazette, 10, pp. 22-26, 1989.

[8] F. Hoffman, Conflict in the 21st Century: the Rise of Hybrid Wars, Potomac Institute for Policy Studies, Arlington, 2007.

[9] Ho affrontato questo di battito qui: A. Beccaro, I conflitti del XXI secolo tra passato e futuro, Nuova Rivista Storica, 99-2, 2015 pp. 634-656.

[10] SIPRI Yearbook 2012, Italian edition, p. 5.

[11] C. Bianco, Manuale pratico del rivoluzionario italiano desunto dal Trattato sulla guerra per bande, Robin Edizioni, Roma, 2011.


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