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Le ricette della signora Toku

Creato il 23 dicembre 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
Le ricette della signora Tokuplay video
  • Anno: 2015
  • Durata: 113'
  • Distribuzione: Cinema
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Giappone
  • Regia: Naomi Kawase
  • Data di uscita: 10-December-2015

Sinossi: Sentaro gestisce una piccola panetteria in cui serve dorayakis – dolci ripieni con pasta dolce di fagioli rossi (“an”). Quando una vecchia signora, Tokue, si offre di dare un aiuto in cucina, Sentaro, accetta a malincuore. Ma Tokue dimostra di avere una magia nelle mani quando si tratta di fare gli “an”. Grazie alla sua ricetta segreta, il piccolo negozio fiorisce presto… E con il tempo, Sentaro e Tokue apriranno i loro couri per rivelare vecchie ferite.

Recensione: Ce ne sono tanti ultimamente di film che vedono il cibo come veicolo di sentimenti ed emozioni, ma questo è giapponese e dell’estremo Oriente ha tutta la pacatezza che rilassa lo spettatore. Il genere è drammatico, ma ritmo, poesia e lirismo sanno stemperare il dolore, renderlo tollerabile, contenerlo in un’atmosfera rarefatta di fiaba contemporanea, per buona parte della narrazione.

Al centro della scena i dorayaki: immaginateli come frittelle cotte alla piastra, soffici e morbide, farcite poi con una marmellata di fagioli rossi che si chiama an. An è anche il titolo originale del film (e del romanzo di Durian Sukegawa  da cui è tratta la storia), e lo avremmo di molto preferito. Due lettere soltanto, oltretutto le prime della parola anima, a richiamare qualcosa di misterioso ed esotico, suggestivo, anziché Le ricette della signora Toku.

Anche perché la ricetta che l’anziana signora (Kirin Kiki) passa al protagonista molto più giovane,  Sentaro (Masatoshi Nagase),  è una sola: quella dello an, arricchita di tanta saggezza. È un modo diverso di trattare tutti gli elementi della cucina, di guardarli, ascoltarli, aspettare i loro tempi, rispettarli. Tutto il suo insegnamento può riassumersi in un’unica parola, in un’unica ricetta, quella della consapevolezza. È come leggere un libro di Thích Nhất Hạnh sulla presenza mentale. Esserci, stare con le piccole cose, dai fagioli che sobbollono agli uccellini del parco, dal vento che sembra volerci parlare ai mitici ciliegi in fiore. Con i ciliegi in fiore inizia il racconto e con i ciliegi in fiore termina, a segnare l’arco di un anno, il tempo che ci vuole perché anche il cuore di Sentaro si apra al mondo, perché la sua anima si schiuda.

L’incipit del film lo vede di spalle che esce da casa per aprire il suo piccolo chiosco, un bugigattolo dove ci si muove a fatica. Casa e bottega, pochi passi, e lenti, che pesano per il rimbombo dei piedi sulle scale di ferro, a farci sentire tutta la fatica della mattina presto, mentre si raggiunge un lavoro non amato. Il suo sguardo così triste, il suo mutismo, vengono derisi dalle ragazzine del quartiere, ma attraggono l’adolescente Wakana (Uchida Kyara), che, sola e povera, ha maturato una particolare sensibilità. A lei Sentaro regala, con tatto e delicatezza,  tutti i dorayaki venuti male. C’è solidarietà, conforto, amicizia tra i due se pure di età così diverse, ma manca la capacità del prendersi cura davvero dell’altro, tanto spaesati entrambi nei confronti di se stessi.

Poi arriva lei, la nonnina che tutti vorremmo avere (nella realtà è la nonna di Uchida Kyara): settantasei anni, le mani rovinate da un’antica malattia, i grandi occhiali che non sanno nascondere lo stupore dello sguardo, la capacità di ringraziare gli altri e la natura, il passo lieve, al contrario di quello di Sentaro.  Da cinquant’anni prepara dorayaki, sempre con la stessa dedizione, ed ora lo farà per lui che, riluttante prima, diventa sempre più attento all’approccio di Toku verso le cose. È empatia, la sua, terapeutica per Sentaro ed anche per Wakana. E così, tre persone che sembrano non avere nulla in comune mettono insieme le loro diverse sofferenze e le identiche solitudini, per assaporare anche i lati più ovvii dell’esistenza, esercitandosi nella compassione.

Della regista Naomi Kawase, Giancarlo Zappoli dice: “Il suo è il cinema dei piccoli gesti, dei simboli solo accennati, delle metafore che non invadono lo schermo ma quasi lo accarezzano”. E di questo in particolare, “un sussurro che lascia tracce profonde”. Ma per alcuni che lo ritengono il suo film migliore, altri affermano che qui la Kawase ha rinnegato la sua cifra stilistica per una scelta di comodo, tradendo la sua capacità di non dire, di alludere, di rimanere solo sull’essenziale. Addirittura che questa storia è stata tradotta ed è uscita in Italia proprio per questo, per la stucchevolezza soprattutto della seconda parte che ha voluto dire e spiegare troppo. È vero che nel momento in cui la storia prende una piega più drammatica, dramma e fiaba non sanno ben amalgamarsi, come invece sanno fare i fagioli e lo zucchero dello an, lasciati riposare a lungo per permettere loro di conoscersi. La storia perde, verso la fine, un po’ della sua efficacia e originalità. Ad ogni modo, speriamo che Le ricette della signora Toku, anzi An, sia la strada per farci conoscere anche le altre opere di Naomi Kawase, che finora hanno avuto molto successo nei festival, ma non sono arrivate a tutto il pubblico. Nell’attesa, godiamoci comunque questo film, come racconto magico di Natale, ma buono per tutte le stagioni.

Margherita Fratantonio

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