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Le sacerdotesse di Demetra (1/2)

Creato il 15 aprile 2015 da Cultura Salentina

15 aprile 2015 di Redazione

Echi di antichi culti sopravvissuti nella tradizione contadina della provincia di Taranto e del Salento

di Gianfranco Mele

Introduzione

In diverse aree del Salento, del tarantino e della Puglia, sono rimaste molto vive, sino quasi ai giorni nostri, le tradizioni dell’uso medicamentoso della “papagna”[1] e del rito riparatorio alla “fascinazione” nel mondo contadino. Quanto sono legate queste usanze al mito demetriaco ? La  dea greca Demetra, e il suo corrispettivo romano, Cerere, sono legate al simbolismo delle spighe e delle capsule di papavero da oppio, sia nella mitologia che in molte raffigurazioni[2]. Persino una divinità precedente (e correlata anch’essa alla successiva Demetra) scoperta a Gazi[3], è strettamente legata al papavero: il famoso “idolo” femminile di Gazi è rappresentato con in testa delle capsule di papavero. Cerere e Demetra sono spesso “accompagnate”nelle varie raffigurazioni da spighe, oppio e serpenti.[4]

Nei Fasti di Ovidio, il comportamento di Cerere nutrice di Trittolemo  presenta numerose analogie con alcune pratiche di medicina e magia popolare (in particolare, il rito della “controfascinazione”). Il presente lavoro consiste, perciò, in  una comparazione tra gli elementi del rito, del culto e del mito di Demetra, e le tradizioni de “lu  ‘nfascinu” e dei medicamenti con l’impiego della “papagna” indagate nel corso di alcune personali ricerche sulle tradizioni popolari locali. Le “guaritrici” della nostra tradizione contadina, che apprendono per via iniziatica i rituali esoterici di guarigione dei bambini, potrebbero essere una emanazione delle  “sacerdotesse di Demetra” nell’ambito di un rito originato da antichi culti, e parzialmente riadattato.

Idolo di Gazi, particolare della statuetta

Idolo di Gazi, particolare della statuetta

Demetra e Kore nel tarantino e nella Messapia

Demetra e Kore furono delle divinità molto popolari sia in area magno-greca[5] che in area messapica.

Il loro mito, come si è detto, è notoriamente legato alla simbologia del papavero da oppio, tale simbologia è riscontrabile anche in culti e divinità precedenti e assimilate alla successiva Demetra,  o, per restare in ambito pugliese, nei culti della Daunia.[6]

In ambito romano, il culto di Demetra si fonde con quello della antica dea italica Cerere, che assimila le varie caratteristiche demetriache: ai tempi della colonizzazione romana perciò il mito sopravvive ancora nelle nostre terre.

Nella Chora tarantina era molto sentito il culto di Demetra, che trovava un punto di riferimento, come santuario di confine, ad Agliano[7]. La Dea era molto venerata anche tra i Messapi, e aveva nella vicina Oria, sul monte Papalucio, uno dei principali templi dedicati a lei e a sua figlia Persefone (Kore).[8]

La presenza “storica”, protrattasi fino a qualche decennio fa di imponenti “stazioni” spontanee di papavero da oppio in agro di Sava (zona in cui ho incentrato gran parte della mia ricerca, ma più in generale nel tarantino e nel Salento), e il perpetrarsi nei secoli dei suoi utilizzi nella cultura popolare locale, potrebbero essere di per sé sufficienti a ipotizzare un collegamento ricongiuntoproprio ai culti di Demetra e Kore in zona[9]. Ma analizzando alcune caratteristiche del culto demetriaco così come ci è stato tramandato dagli scrittori greci e latini, e in particolare il culto eleusino, si possono rintracciare una serie di elementi che ricongiungono ad esso anche una serie di rituali caratteristici della nostra tradizione popolare e che avvicinano le nostre “guaritrici” ad una tradizione esoterica molto antica.

Demetra-Cerere con spighe, oppio e serpenti

Demetra-Cerere con spighe, oppio e serpenti

“Lu ‘nfascinu” – una ricerca sul campo

Intorno al 1983, nell’ambito di un seminario-laboratorio di Antropologia Culturale all’Università di Urbino, avviai una ricerca sulle tradizioni magico-popolari a Sava e in particolare sull’usanza de “lu ‘nfascinu”. A ciascuno di noi studenti era richiesto di indagare nel proprio territorio di residenza intorno alle tradizioni della magia contadina. Condussi una serie di interviste nei confronti di tre tipologie di persone legate alla tradizione de “lu ‘nfascinu”: persone che avevano subìto questa tipologia di sortilegio in prima persona o nella propria famiglia”, donne riconosciute nel paese come “infascinatrici”, e donne guaritrici, che avevano ereditato il potere e la capacità di “togliere lu ‘nfascinu”. Riporterò in un’altra occasione un dettagliato resoconto della ricerca. Molto sinteticamente, gli elementi che emergevano erano i seguenti:

  • soggetti maggiormente colpiti: bambini/e e fanciulli/e
  • sintomatologia: mal di testa, vomito, sonnolenza, pesantezza delle palpebre, perdita delle forze, pallore, febbre, intontimento, spossatezza, dolori diffusi.
  • aggravamento dei sintomi non accompagnato da “cure” : morte
  • tipologia del “male” : sortilegio, maleficio (anche e spesso involontario)
  • come viene dato: sguardo, complimenti
  • riti preventivi: amuleti (“cornetti” appesi al collo), immagini sacre, sacchettini appesi con una spilla agli indumenti e contenenti piombo, immagini sacre, acini di sale
  • riti esplorativi (“diagnostici”): rituali relativamente complessi con utilizzo di orazioni segrete, formule, preghiere , piattino con acqua e olio[10] ;
  • utilizzo della lingua (segno della croce per 3 volte) sulla fronte del bambino per “saggiare” se è ammalato o meno
  • rituali riparatori: formule, gesti, orazioni segrete o preghiere o segni della croce ripetuti per 3 volte. Iil rito del “piattino con acqua e olio” ha in genere una funzione esplorativa ma si protrare sino alla fase riparatoria (è in un certo senso parte integrante anche della “cura” e viene ripetuto per verificare se il soggetto è guarito)
  • persone deputate a “guarire”: donne, in genere anziane, che hanno appreso la pratica per via “segreta o iniziatica (spesso tramandata di generazione in generazione a “eredi” prescelti e/o considerati predestinati, attraverso – in ogni caso – una vera e propria iniziazione)

La papagna

La pianta del Papaver somniferum è conosciuta nella nostra tradizione popolare come “papagna”.  della quale ci è pervenuto un utilizzo di tipo medicamentoso nella cultura popolare contadina (calmante e analgesico per adulti e bambini a dosaggi variabili).

Per calmare e far addormentare i bambini irrequieti sino a qualche decennio fa veniva preparato un infuso dal risultato “sicuro” e immediato, fatto con camomilla e uno o due bulbi di Papaver somniferum. Una variante molto utilizzata era il “pupieddu” (o “pupiddu” a seconda del dialetto di provenienza), un succhietto artigianale che prendeva forma di capezzolo attraverso la chiusura in una pezzuola, o un angolo di fazzoletto, dei seguenti ingredienti: mollica di pane, fiori di camomilla, foglie di alloro tritate, semi di papavero da oppio e zucchero (o miele).

L’infuso di “papagna” era utilizzato, ovviamente, anche per curare individui adulti (tosse, insonnia, irrequietezza, ecc.): in questo caso i dosaggi erano maggiori e rapportati alla sintomatologia o ai risultati desiderati.

Note bibliografiche:

[1]Denominazione dialettale del papavero da oppio

[2]Cfr. Nencini, Paolo, Il fiore degli inferi. Papavero da oppio e mondo antico. Editore, 2004 ; Samorini, Giorgio I misteri eleusini nei reperti archeologici http://samorini.it/site/archeologia/europa/misteri-eleusini/archeologia/  ; Samorini, Giorgio I misteri eleusini http://samorini.it/site/archeologia/europa/misteri-eleusini/   

[3]L’idolo di Gazi è una statuetta in terracotta assegnata al tardo periodo minoico (1350-1250 a.C.) : ha un copricapo con capsule di papavero.

[4]Cfr. Nencini e Samorini, opere citate. In un ulteriore approfondimento vedremo come anche la figura del serpente è legata al “fascinus” di cui si tratta in questo scritto: esso è l’animale mitico affascinatore per eccellenza

[5]Tra i vari santuari magno-greci dedicati a Demetra, uno del quale si sono approfonditi studi e ricercè quello situato a Policoro (cfr. Golin, Marta: Brinna Otto – Il Santuario di Demetra a Policoro, gli spazi del culto le divinie i rituali, Scorpione Editrice, Taranto, 2007  

[6]Samorini, Giorgio Il culto dell’oppio fra i Dauni della Puglia http://samorini.it/site/archeologia/europa/archeologia-oppio/oppio-dauni-puglia/

[7]Cfr. Pichierri, Gaetano Agliano nella storia Magna Grecvia in “Sava nella storia” a cura di Lomartire, G., Cressati, taranto, 1975 pp.  98-112

[8] Si suppone che i Messapi fossero entrati in contatto con il culto di Demetra e Kore grazie alla vicinanza con Taranto e alle frequenti unioni e interscambi con donne greche

[9]Cfr. Mele, Gianfranco:  Piante spontanee ad uso magico, rituale, medicinale e inebriante in provincia di Taranto e nel Salento. Usi tradizionali, note etnobotaniche, ricostruzioni storiche e documentarie https://www.academia.edu/9407506/Piante_spontanee_ad_uso_magico_rituale_medicinale_e_inebriante_in_provincia_di_Taranto_e_nel_Salento._Usi_tradizionali_note_etnobotaniche_ricostruzioni_storiche_e_documentarie

[10]Le varianti del rituale sono numerose. In altra sede mi riservo di descriverle compiutamente. L’utilizzo del piattino con acqua e olio a scopo divinatorio e diagnostico è un classico: si lasciano cadere 3 gocce di olio in un piattino colmo d’acqua e si osserva il “comportamento” delle gocce al fine di individuare se il soggetto è stato “affascinato”, e anche se l’ “affascinatore” sia stato un uomo o una donna.


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