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Le squadre che hanno fatto i mondiali: Croazia 1998

Creato il 25 aprile 2014 da Lundici @lundici_it
L’allenatore degli allenatori del DLF.

 

Piccoli è bello (ma cattivi è ancora meglio)

Ai fratelli di Knin faccio solo una promessa. Ritorneremo!”. Franjo Tudjman, Presidente della Croazia dal 1991 al 1999

Le premesse

Knin è una città della Krajina, al confine tra Bosnia e Croazia, a maggioranza serba fino al 1995. Quando gli accordi di Washington del 1994 la assegnano alla Bosnia, il presidente croato Tudjman se ne esce con la frase di cui sopra, carica di afflato pacifista, ricerca della fratellanza e fiducia in un mondo migliore. L’anno dopo, approfittando dell’ennesimo episodio di disordine nella disastrata Bosnia, e con il supporto anche logistico della Nato, Tudjman manda due battaglioni dell’esercito croato a riprendersi Knin e la Krajina, da allora saldamente compresa entro i confini croati (e quindi oggi entro i confini dell’Unione Europa). Per festeggiare la guerra lampo (Operazione Tempesta, 3-7 agosto) organizza nella città liberata un emotivo evento di ritorno alla madrepatria, evento presenziato da Dino Radja e Toni Kukoc, star dell’NBA e vicecampioni olimpici, ed alcuni membri della nazionale di calcio che si appresta a partecipare a Euro 96.

Mario Stanic da Parma, … che signore!

Mario Stanic da Parma, … che signore!

Perché da buon populista, Tudjman conosce bene l’importanza dello sport per la conquista ed il mantenimento del consenso e ne fa un pilastro del suo sistema di potere, abbandonato solo nel 1999 con la morte.

Questa idea di sport guida la Croazia al suo esordio mondiale a France 1998. Un mondiale con tanti begli stadi pieni, clima continentale, orari europei, tanti bei campioni, ma insomma, un mondiale non memorabile, quantomeno visto da casa e da noi italiani (per i nostri beneamati cugini transalpini, saranno già più memorabili).

Noi li immortaliamo parlando della Croazia. Un paese di 4,1 milioni di persone, la metà di Londra, nato meno di 10 anni prima, che arriverà terza e cullerà a lungo il sogno della finalissima.

Comunicazione di servizio: è anche il mondiale che inaugura la formula attuale a 32 squadre divise in 4 gironi, di cui si qualificano le prime due, ed eliminazione diretta dagli ottavi fino in fondo.

Curiosità: il Brasile campione in carica punta a “a penta”, il quinto titolo. Ha un’ottima squadra di campioni sparsi per il mondo e li affida – non senza una bella dose di scaramanzia – all’amuleto ultrasessantenne Mario Zagalo, campione le quattro volte precedenti, come detto nella scorsa puntata. Ma ‘sta volta, non servirà

Come va il mondiale

Al primo turno non si vedono grosse sorprese, se si esclude forse il girone in cui entrambe le favorite Spagna, sempre fallimentare ai mondiali (2010 excluded), e Bulgaria (quarta quattro anni prima, ma ormai invecchiata e imbrocchita) lasciano il passo alle rivelazioni Nigeria e Paraguay. Per il resto passano Brasile e Norvegia (con sospetto di biscotto finale, in cui i brasilieri già primi nel girone si scostano gentilmente a farsi rimontare negli ultimi sette minuti dalla Norvegia, che fa fuori così il Marocco in extremis); Francia e Danimarca, con i padroni di casa dominatori di un girone di ferro che, oltre ai reduci dei campioni d’Europa di appena sei anni prima (!), prevede Sud Africa (!!) e Arabia Saudita (!!!); Olanda e Messico (che tira su due partire da 0-2 a 2-2 e supera così il Belgio); Romania e Inghilterra; Argentina e Croazia (nel girone che vede l’esordio mondiale della Giamaica, alla fine capace anche di vincere una partita); Germania e Jugoslavia in un gruppo in cui, tra USA, Iran e Yugoslavia, più di uno pensa che sarebbe bene mandare ad arbitrarli i caschi blu; invece in campo non succede niente (neanche dal punto di vista dello spettacolo).

Terza cacciata consecutiva ai rigori. Poi sarà solo Corea.

Terza cacciata consecutiva ai rigori. Poi sarà solo Corea.

L’Italia di Cesarone Maldini passa il turno, pure in scioltezza dopo un esordio faticoso con il Cile (2-2). È un Italia in cui si rivede un eroico Zio Bergomi nel ruolo di libero (inizialmente di riserva ma, come per Materazzi nel 2006, se il titolare è Nesta il posto è assicurato), in cui fa il suo esordio mondiale Bobone Vieri e che sarà accompagnata per tutto il mondiale dal dualismo tra Roberto Baggio, convocato dopo una gran bella stagione da pensionato d’oro al Bologna – con tanto di litigio poi rientrato a novembre con il fumantino Renzaccio Ulivieri e apoteosi finale addirittura da terzo capocannoniere della Serie A (22 gol dietro Bierhoff e Ronaldo) – e Del Piero alla sua stagione in assoluto più scintillante, ma complicata da un infortunio nel finale. Del Piero è il titolare, ma nelle prime due partite, in attesa che si riprenda, Robertino incanta dall’alto dei suoi 31 anni di classe purissima. Da quel momento usque tandem? Vai con la polemica, che sostanzialmente si risolve a: chi tifa Juve vuole Del Piero, il resto del mondo vuole Baggio. Le fazioni non risparmiano nemmeno il povero Cesarone Maldini, che non sarà una cima, ma per buona parte della critica e dei tifosastri ha un marchio di infamia indelebile: avere sostituito Arrigo Sacchi. “Se Sacchi è stato cacciato via perché è arrivato secondo quattro anni fa, Maldini dovrà assicurarci almeno – prego notare: “almeno” – la vittoria finale!” tuona quel principe del giornalismo che è Maurizio Pistocchi dagli schermi amichevoli di Mediaset. Peccato che Sacchi non sia stato cacciato via dopo il secondo posto mondiale e nemmeno dopo l’eliminazione al primo turno agli Europei di Inghilterra del 1996: Sacchi si dimette dalla nazionale nel dicembre successivo e solo perché richiamato da Berlusconi che ha appena esonerato Tabarez. Ma siamo in piena era berlusconiana, i fatti – soprattutto a Mediaset – diventano facilmente opinioni. Piccola curiosità per chiudere del girone: l’Austria chiude con due pari e una sconfitta, è eliminata, ma segna un gol a partita; tutti e tre oltre il 90mo. Altro che zona Cesarini.

Le sorprese non scattano nemmeno agli ottavi, dove passano – chi facilmente, chi faticando un po’ come Italia e padroni di casa – Brasile, Italia, Danimarca, Argentina (ai rigori sull’Inghilterra), Francia, Germania e Olanda. L’unico pronostico a suo modo rovesciato, con la seconda che elimina la prima si ha con Romania-Croazia. I romeni si presentano con i capelli tinti di giallo come la loro maglietta per festeggiare il passaggio del turno. Vinceranno i croati (1-0) e Stanic pensa bene di festeggiare presentandosi in campo nei quarti di finale con la Germania con i capelli tinti di giallo. Come mai? “Perché porto addosso con orgoglio lo scalpo preso ai romeni”. Quando si dice saper vincere… vediamoli un po’ più da vicino, questi guerrieri reduci dalla presa di Knin.

L’allenatore degli allenatori del DLF.

L’allenatore degli allenatori del DLF.

La Croazia

Il generalissimo della Croazia è Miroslav Blazevic, “l’allenatore degli allenatori”. Croato di Bosnia (nato a Travnik, la cittadina raccontata dal premio Nobel Ivo Andric, l’immenso cantore del Ponte sulla Drina), amico personale di Tudjman, di cui condivide passioni ed inclinazioni partitarie, oltre ad uno spiccato anti-europeismo, nelle sue numerose incursioni nella politica una volta si professa anche sostenitore di Ahmadinejad e pronto a vestire l’uniforme dell’esercito iraniano in caso di aggressione USA. Al termine di ogni partita vinta, produce un siparietto in cui veste cappello e paletta da ferroviere (?)

Blazevic schiera la sua nazionale con un 3-4-1-2 anche relativamente offensivo. Affidata la porta a un portiere giovane e molto reattivo (Ladic), la difesa a tre è guidata dal libero Bilic, futuro scalmanato allenatore della stessa nazionale (lo si ricorderà forse fare le capriole ad ogni gol dei suoi a Euro 2012). Sulle fasce giocano Jarni, ex terzino di Bari e Juve, e il succitato Mario Stanic, ala offensiva del Parma, come lui stesso ammette un poco fuori ruolo a correre su e giù per tutta la fascia, ma “fino a che si tratta di farlo per 5-6 partite ai mondiali, mi metto anche in porta”.

Difesa solida, centrocampo dinamico, attacco talentuoso e letale.

Difesa solida, centrocampo dinamico, attacco talentuoso e letale.

Davanti a due mediani più di lotta che di governo, giocano: Zvone Boban, regista. Mezzapunta e capitano tutto assieme; figlio di un generale dell’esercito, oggi commentatore Sky filo milanista (del resto è la squadra che lo ha acquistato da ragazzino, fatto crescere, fatto vincere e consacrato), Zvone è un idolo in patria da quando nel 1990 aggredisce con un calcio volante un poliziotto che sta manganellando un tifoso della Dinamo Zagabria prima della partita con la Stella Rossa, simbolo del potere centrale serbo.

I due attaccanti puri, tecnici e bene assortiti sono Suker, fresco campione di Europa con il Madrid proprio a scapito della Juventus, e Vlaovic, bell’attaccante da contropiede conosciuto in Italia per un paio di buonissime stagioni al Padova.

Il primo cambio è Robert Prosinecki, centrocampista tecnico con trascorsi anche al Real Madrid, ormai un po’ lento e fermo in mezzo al campo, che può vantare un record. Come Luisito Monti (finalista nel 1930 con l’Argentina e Campione del mondo nel 1934 con l’Italia), Ferenc Puskas (nel 1954 nella grandissima Ungheria, nel 1962 con la bolsa Spagna) e Josè Altafini (Campione con il Brasile nel 1958, nei 22 azzurri nel 1962), Prosinecki gioca due mondiali con casacche diverse: Yugoslavia nel 1990 e Croazia otto anni dopo. Ma, ad oggi, è stato l’unico capace di segnare con due nazionali diverse.

Laudrup al primo mondiale.

Laudrup al primo mondiale.

Come va a finire

Riprendiamo il filo del discorso dai quarti di finale, dove si infrange contro il Brasile, al termine di un gagliardo 3-2, la esperienza mondiale di Micky Laudrup; signore in campo e fuori, il Principe di Danimarca era arrivato in Messico nel 1986 ventiduenne, lascia mondiale e nazionale a 34.

L’Olanda elimina all’ultimo respiro di una bella partita l’Argentina di Passarella (vedi sotto). La Croazia resiste nel primo tempo alle incornate di Bierhoff e poi passeggia sui resti della vecchia Germania nel secondo (3-0). E l’Italia? L’Italia per la terza volta consecutiva finisce la sua corsa mondiale ai rigori, dopo uno 0-0 nemmeno troppo catenacciaro con i padroni di casa. Ma sono sicuro che sapremo vendicarci (me lo sento).

Tutti alle semi, dunque! Nella prima, il Brasile elimina ai rigori e con tanta fortuna una bella Olanda. Nell’altra, tutto è pronto per le cortege royal che deve accompagnare la Francia alla finale. Mogli, presidenti, Platini (presidente del comitato organizzatore) si presentano in tribuna a tifare Bleu con la maglietta della nazionale sotto la giacca, il rito di Blanc che bacia la zucca pelata di Barthez prima del calcio di inizio, i piccoli croati come vittime sacrificali predestinate… Per un tempo non succede niente, ma al primo del secondo tempo, Thuram sbaglia i tempi di un fuorigioco e Suker lo infilza. 0-1 e manca meno di un tempo. Ok, Panic!! Panic? Ma no. Il tempo di rimettere la palla al centro e, come in una puntata di Holly e Benji, lo stesso Thuram pareggia con uno dei pochi gol della sua carriera. Neanche un quarto d’ora dopo, lo stesso Thuram bissa, segnando l’unica doppietta della sua carriera e portando di peso la France in finale, contro i campioni in carica.

 Il mondiale invecchia anche se si ha la faccia pulita che neanche Alba Chiara.


Il mondiale invecchia anche se si ha la faccia pulita che neanche Alba Chiara.

È un Brasile che non ha convinto, ma viene da quattro anni di irrobustimento di una squadra già campione. Orfana di Romario proprio alla vigilia del mondiale, ha in Rivaldo e, soprattutto, in Ronaldo i suoi trascinatori. Ronaldo, che da tre anni non segna meno di 30 gol a stagione tra Olanda (PSV), Spagna (Barcellona) e Italia (Inter). Ma Ronaldo arriva all’appuntamento mondiale con una caviglia un po’ in disordine, gioca solo grazie a iniezioni prima della

partita e proprio prima della finale succede un episodio mai raccontato del tutto e mai chiarito: pare infatti che Ronaldo abbia un attacco epilettico in reazione all’antidolorifico. Scenderà regolarmente in campo, ma sarà uno zombie.

La Francia passeggia su un Brasile impacciato, secondo alcuni frastornato anche per l’episodio: 2-0 alla fine del primo tempo con doppietta di Zidane, 3-0 al termine. Sfuma il sogno della Penta verdeoro, la Francia vince il suo primo mondiale.

E lo vince giocando sì champagne, ma anche concedendosi una sola partita, la finale, alla grande: nel primo turno il calendario le consegna tre partite piuttosto semplici (mettiamola così), non le bastano 90’ per superare ottavi e quarti ai supplementari (Boghossian a due minuti dai rigori contro il resistibile Paraguay, si è già detto dei quarti contro l’Italia) ed è brava e fortunata a rimetterla in piedi nella semi con i Croati. È vero, sconta in fase realizzativa gli errori di due acerbi, giovanissimi Henry e Trezeguet, che diventeranno falchi dell’area di rigore appena un paio di anni dopo. Però visto con lo schermo degli anni, non pare più la cavalcata trionfale che era sembrata ai tempi. Quella squadra ha un fulgido campione nel divin Zinedino, Pallone d’oro di quel suo irripetibile 1998. oggi l’abbiamo un po’ trascurato, ma sono sicuro che sapremo rifarci in una delle prossime puntate.

Ah, dimenticavamo la protagonista di questa puntata. La Croazia vincerà la finalina di consolazione contro una Olanda con la testa ancora all’occasione persa in semifinale. Chiude con cinque vittorie e due sconfitte di misura contro l’Argentina ed i futuri campioni. Complimenti al ferroviere.

Il gol del mondiale

In realtà, è tutto molto semplice e lineare: se il calcio fosse uno sport che si gioca solo con i piedi, Bergkamp sarebbe nell’empireo, alla destra dei padri (Maradona e Pelè) a contendersi con il fratello (Zidane) la palma del figlio prediletto. Uno, per intendersi che ogni tanto tirava fuori dal cilindro gol come questo.

Ma il fatto è che il football è sì foot, ma è soprattutto ball, e quanto a ball il nostro Bergkamp non sa nemmeno dove stiano di casa.

Coniglio bagnato, esangue tulipano, decidete voi quale degli epiteti a lui dedicati calzi maggiormente; basti per tutte la costernazione con cui Sarsiccia Desideri raccontava una volta alla Gialappa’s: “arriva Bergkamp e gli dico che se superava la metà campo gli avrei spaccato una gamba. Beh, ha iniziato a girare al largo e appena mi vedeva dava via il pallone. Non ci volevo credere”.

Poi, al 90° di un quarto di finale dei mondiali sull’1-1 contro l’Argentina, quindi non all’inutile trofeo estivo con minipartite di 45’, questo tacchino freddo si inventa una giocata così: controllo felpato su lancione di 40 metri di uno dei due de Boer, tocco sotto a saltare l’uomo e destro incrociato di collo esterno, fulminante.

Il difficile sta nel primo tocco, che non serve solo ad addomesticare un pallone complicato, ma soprattutto a tagliare fuori il ritorno del difensore (ricordo un Baggio bresciano contro la Juve nel 2001 o Messi, un gol sì ed uno no).

Un capolavoro e un gol pesantissimo al tempo stesso, di quelli che uno ci chiede quanta classe, potenza, freddezza, palle ci vogliano per fare un gol così. E invece, era solo Bergkamp.


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