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Le tre sfide della Nigeria di Muhammadu Buhari: democrazia, economia, sicurezza

Creato il 18 settembre 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Danilo Giordano

La vittoria di Muhammadu Buhari alle elezioni presidenziali nigeriane dello scorso 28 marzo, è stata accolta in maniera positiva dalla popolazione, dalla comunità internazionale, ma anche dalla Borsa nigeriana che ha fatto registrare un guadagno superiore all’8% il giorno della proclamazione dei dati ufficiali da parte della Commissione Elettorale Nazionale [1]. Buhari, che è stato già al potere in Nigeria dal 1983 al 1985, ha ottenuto un’affermazione netta, vincendo in 21 dei 36 Stati che compongono la federazione e sconfiggendo il presidente uscente Goodluck Jonathan. Jonathan ha pagata caro la miseria dilagante di gran parte della popolazione, nonostante una crescita media del PIL superiore al 6% negli ultimi 5 anni [2], e l’incapacità di opporsi alla minaccia terroristica di Boko Haram. Buhari, ex-generale delle forze armate nigeriane, artefice di una, seppur controversa, campagna anti-corruzione durante il suo precedente “mandato presidenziale”, è stato identificato come l’uomo forte a cui affidarsi, in ultima istanza, per sconfiggere la minaccia jihadista che sta martoriando il nord-est del Paese. In concreto, però, le sfide che il presidente Buhari dovrà affrontare durante il suo mandato saranno tre: consolidamento del processo democratico, miglioramento delle condizioni economiche della popolazione e creazione di una cornice di sicurezza stabile e duratura.

La sfida democratica

La conferma della solidità democratica della Nigeria è giunta direttamente dallo svolgimento dell’ultima tornata elettorale, che non è stata turbata neanche dall’estremo tentativo del presidente uscente Jonathan di condizionarne l’ordinato procedere, decidendo di rimandarle di un mese, ufficialmente per questioni legate alla sicurezza, probabilmente per mero opportunismo politico [3]. Il voto del 28 marzo ha rappresentato un momento importante per la Nigeria, non soltanto perché per la prima volta nella storia è stato lo sfidante ad affermarsi sull’incumbent, ma anche per lo svolgimento pacifico e sostanzialmente regolare della consultazione elettorale: ad eccezione di alcuni ritardi legati alle procedure di registrazione, le votazioni si sono svolte secondo i canoni tipici delle democrazie più mature, concludendosi con l’inaspettata telefonata di congratulazioni fatta da Jonathan a Buhari. Quello che può apparire scontato all’osservatore occidentale, rappresenta un motivo di orgoglio per i nigeriani, se si considera che il loro paese, indipendente dal 1960, è diventato una democrazia compiuta soltanto nel 1999. La storia nigeriana mostra che la democrazia è stata raggiunta dopo un processo lungo e travagliato, condito da repressione e violenza, ostacolato dalla presenza di migliaia di minoranze etno-linguistiche, dagli squilibri economici accumulati durante il periodo coloniale, dalle divisioni religiose tra un Nord a prevalenza musulmana e un sud a prevalenza cristiana. Nel 1966, qualche anno dopo aver ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna ed essersi costituita come una federazione di tre regioni, due colpi di stato consecutivi, messi in atto da due gruppi differenti di ufficiali dell’esercito, hanno sancito il controllo sul paese dei militari del nord. Subito dopo il secondo golpe il neo-presidente Yakubu Gowon ha modificato l’impianto costituzionale del paese, rimpiazzando i tre governi regionali con 12 governi statali, nella speranza di aumentare il controllo sul territorio. La suddivisione territoriale così delineata non ha fatto altro che aumentare le divisioni, e gli Igbo, il gruppo etnico dominante nella regione orientale, hanno deciso di approfittare della situazione dichiarando il 30 maggio del 1967 la nascita della Repubblica del Biafra. La risposta militare del governo centrale scatena la guerra civile che si concluderà trenta mesi e tre milioni di morti dopo, con la vittoria delle truppe governative e la sconfitta dei secessionisti Igbo. Gli anni ’70-‘90 sono caratterizzati dall’avvicendarsi di una serie di dittature, di estrazione prevalentemente militare, che hanno impoverito ulteriormente il paese sia dal punto di vista politico che economico: durante l’ultimo regime dittatoriale, quello di Sani Abacha, ex-generale del Nigerian Army, al potere dal 1993 al 1998, mentre tutti i partiti politici sono stati banditi, molti oppositori incarcerati e giustiziati, la sua famiglia è riuscita ad accumulare ricchezze per circa 3 miliardi di dollari, sottraendole alle casse dello stato [4]. Il 27 febbraio del 1999 la democrazia si riafferma, e la popolazione nigeriana, accorsa in massa ai seggi, elegge Olusegun Obasanjo alla carica di Presidente Federale. Le successive tornate elettorali del 2003, 2007 e 2011 nonostante la costante presenza di accuse di brogli da parte delle opposizioni, hanno mostrato il rafforzamento dell’impianto democratico nigeriano, il quale, adesso, con l’affermazione del principio dell’alternanza al potere, ha aggiunto un ulteriore tassello al proprio cammino di sviluppo.

La sfida economica

Per quanto riguarda l’economia, le performances dell’ultimo decennio hanno permesso alla Nigeria di diventare il primo Paese del continente, sorpassando il rivale sudafricano. Il tasso di crescita atteso per il 2015 è attorno al 5%, un valore decisamente ancora elevato, ma in diminuzione per i forti ribassi del prezzo del petrolio, che hanno causato un calo dei ricavi di 20 miliardi di dollari. A dipendere da questa risorsa è tutta l’economia del Paese, visto che il 40% del PIL nigeriano deriva proprio dall’estrazione dell’oro nero, con addirittura l’80% delle entrate dello stato che provengono dall’esportazione di petrolio. La vendita di petrolio all’estero rappresenta, inoltre, un modo per tutelarsi, acquistando valute pregiate, principalmente dollari ed euro, che possono essere riutilizzate per importare tecnologia e beni primari dall’estero. La scarsa redditività del petrolio e l’interruzione delle importazioni da parte degli Stati Uniti, che non acquistano greggio nigeriano già dal luglio 2014, hanno causato, di conseguenza, un impoverimento delle riserve in valuta estera. La conseguenza diretta di tutto ciò è stata la svalutazione della moneta nazionale, la naira, nei confronti del dollaro: in pratica, con un dollaro oggi si possono acquistare 250 naire, mentre un anno fa se ne potevano acquistare solo 160. L’improvviso crollo del prezzo del petrolio, sceso sotto i sessanta dollari al barile, ha rotto il circolo che teneva in piedi la fragile economia nigeriana, aumentando anche il tasso di povertà, che adesso riguarda il 70% della popolazione, mentre i ricchi hanno mantenuto i guadagni fatti con il petrolio quando il suo prezzo era oltre i 100 dollari al barile. La Nigeria è eccessivamente dipendente dalle economie straniere, e proprio per questo il compito del presidente Buhari sarà, innanzitutto, quello di ristrutturare l’economia del paese, diversificando gli investimenti, puntando sulla crescita del mercato interno. Buhari ha rilanciato il suo impegno pro-democrazia sottolineando che la priorità della sua agenda di governo sarà la lotta alla corruzione e all’illegalità diffusa: nell’annuale Corruption Perception Index pubblicato dall’organizzazione Transparency International, la Nigeria si colloca al 136esimo posto su 174 paesi valutati, nove persone su dieci ritengono corrotta la polizia, mentre “solo” il 45% degli intervistati punta il dito contro l’esercito [5]. In virtù di ciò ed anche delle accuse lanciate dal Consiglio Economico Nazionale circa la scomparsa di ingenti guadagni derivanti dalla vendita di petrolio, Buhari ha licenziato il management della Compagnia Nazionale Petrolifera (NNPC), assicurando il recupero dei fondi sottratti.

La sfida della sicurezza 

Di sicuro, le difficoltà più grandi che Buhari dovrà affrontare riguarderanno la sicurezza e la lotta al terrorismo jihadista di Boko Haram, che da alcuni anni esercita il controllo effettivo su vaste zone del nord-est del Paese, dove nemmeno la proclamazione dello stato di emergenza è servito ad allontanare la minaccia. La costituzione di un contingente multinazionale di 8700 soldati, voluto fortemente dall’Unione Africana e da Stati Uniti e Gran Bretagna, con truppe provenienti da Ciad, Camerun, Niger e Benin, oltre che della Nigeria, ad eccezione di alcuni successi iniziali, non ha portato benefici di lunga durata. I miliziani di Boko Haram hanno, invece, allargato la loro area di influenza, conquistando alcune grandi città del nord est nigeriano ed attaccando alcune località frontaliere in Ciad e Camerun. Al riguardo il neo-presidente Buhari ha chiesto con forza ed ottenuto che il comando della Forza Multinazionale, venisse assegnato ad un generale nigeriano, a testimoniare la volontà di incidere maggiormente nella strategia antiterroristica. Il suo predecessore, Goodluck Jonathan, era stato accusato dalle opposizioni, ma anche dai capi di governo di Ciad e Camerun, di essere troppo morbido nei confronti di Boko Haram e di averne “annunciato” troppe volte la sconfitta, salvo essere smentito puntualmente dai fatti. Lo stesso esercito nigeriano è stato indicato a più riprese come l’altro principale responsabile di questo fallimento, in quanto incapace di fronteggiare l’avanzata islamista e spesso accusato di favorirne la diffusione, nonché di aver compiuto soprusi ai danni della popolazione civile [6]. Buhari ha cercato, immediatamente, di porre rimedio a tale situazione, iniziando un massiccio giro di vite all’interno delle truppe, cercando di depurarle dagli elementi ritenuti inaffidabili e corrotti: inoltre, nelle ultime settimane sono stati rimossi i vertici dei Servizi Segreti e delle Forze Armate, colpevoli, secondo lui, di non aver saputo fornire le giuste risposte all’offensiva jihadista. In questo contesto, l’affiliazione di Boko Haram allo Stato Islamico, proclamata dal leader Abubakhar Shekau il 7 marzo, ha rappresentato un’ulteriore complicazione della situazione, con un inquietante interrogativo su cosa significhi tale affiliazione sia per la Nigeria che per la lotta al terrorismo globale. Di certo, dopo un iniziale momento di difficoltà dovuto all’offensiva strategica delle truppe dell’Unione Africana, Boko Haram ha ripreso la sua offensiva, mostrando alcuni cambiamenti di strategia e anche di immagine, dovuti probabilmente al travaso di “conoscenze” derivanti dall’affiliazione al gruppo guidato da Abu Bakr al-Baghdadi. La risposta di Buhari è stato quella di coinvolgere nella controffensiva le milizie di volontari delle tribù locali, tra le più penalizzate dall’avanzata jihadista e, proprio in quanto tali, tra i soggetti con le maggiori motivazioni nella lotta ai fondamentalisti.

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Diffusione territoriale di Boko Haram – Fonte: BBC

Quale futuro per la Nigeria?

Le sfide che Buhari dovrà affrontare sono l’una intrecciata all’altra: l’avanzata di Boko Haram non può essere fermata ricorrendo esclusivamente allo strumento militare, perché la sua ragion d’essere deriva principalmente dalle profonde disuguaglianze economiche tra il Nord, povero, e il Sud, più ricco, che beneficia di un’ineguale redistribuzione delle rendite petrolifere. L’offensiva politica di Muhammadu Buhari dovrà quindi occuparsi certamente di ristabilire la sicurezza nel paese, affrontando in maniera dura e decisa la minaccia jihadista, ma allo stesso tempo eliminare il malcontento sociale che è il principale terreno di coltura dell’avanzata territoriale ed ideologica di Boko Haram. Il vice-presidente Yemi Osinbajo, durante i primi giorni della presidenza Buhari, ha lanciato l’allarme sul fatto che dei 170 milioni di abitanti della Nigeria, ben 110 vivono in condizioni di povertà e miseria, mentre le ricchezze del paese finiscono nelle mani solo di una piccola parte della popolazione. La corsa al ribasso del prezzo del petrolio non aiuterà di certo il neo presidente ad intraprendere quei progetti infrastrutturali e di sviluppo di cui necessita il paese: gran parte della popolazione possiede generatori privati che suppliscono all’assenza di una fornitura elettrica costante, industrie e attività commerciali continuano a chiudere incrementando il numero dei disoccupati, negli ospedali manca praticamente tutto [7]. La popolazione ha enorme fiducia in Buhari, gli attribuisce la capacità di essere l’unico a poter salvare la più grande economia del continente, che è, allo stesso tempo, anche una delle più disastrate. I media e le Organizzazioni Non Governative, invece, hanno iniziato ad esprimere alcune perplessità sulle sue reali capacità di governare il paese: nonostante i proclami di voler sconfiggere la corruzione nessun dirigente è ancora finito in galera, non è ancora stata formata la squadra di governo, non sono state intraprese importanti decisioni relative al bilancio dello stato [8]. Se tali dubbi non si sono ancora trasformati in proteste più vivaci è soltanto perché la popolazione è cosciente del fatto che i problemi del paese sono di una tale portata da non essere risolvibili in tre mesi. Molti ritengono, parimenti, che l’assenza di una squadra di governo non sia un segnale positivo per i mercati ed il mondo imprenditoriale che aspettano di capire quale sarà la politica monetaria e fiscale della Nigeria degli anni a venire. Gli stessi miliziani di Boko Haram, dopo un’iniziale periodo di sbandamento, hanno imparato ad approfittare di questa mancanza governativa e hanno ripreso, forse con ancora più veemenza, gli attacchi terroristici ai danni della popolazione. E sullo sfondo c’è l’affiliazione di Boko Haram allo Stato Islamico che nulla di buono fa presagire per il futuro del gigante nigeriano: Buhari dovrà cercare di attirare l’attenzione della comunità internazionale, spingendola a decidere un maggior coinvolgimento effettivo, e non a limitarsi a semplici dichiarazioni di sostegno.

* Danilo Giordano è OPI Contributor

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[1] O. Bello, Nigerian economy reacts positively to Buhari’s election, www.leadership.ng, 6 aprile 2015.

[2] World Bank Database, www.data.worldbank.org.

[3] K. Attiah, Nigeria’s risky decision to postpone elections, The Washington Post, 8 febbraio 2015.

[4] Late nigerian dictator looted nearly $500 million, swiss say, The New York Times, 19 agosto 2004.

[5] K. Olaniyan, How corrupt is Nigeria?, Vanguard, 17 dicembre 2014.

[6] Nigeria: stars on their shoulders: blood on their hands: war crimes committed by the nigerian military, Amnesty International, 2 giugno 2015.

[7] S. Odunfa, Muhammadu Buhari’s Nigeria to-do list, BBC, 28 maggio 2015.

[8] O. Onigbinde, Nigeria’s staunch belief in new president Muhammadu Buhari being sorely tested, The Guardian, 7 settembre 2015.

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